martedì 24 novembre 2015

Gregorio Nazianzeno - Lettere Teologiche


                     Gregorio Nazianzeno

                    Prima Lettera al Presbitero Cledonio

   1.  All'illustrissimo fratello, il carissimo a Dio e compagno di sacerdozio Cledonio, Gregorio invia i suoi saluti nel Signore.

   2. Vogliamo sapere cos'è questa novità che percorre tutta la Chiesa, per cui chiunque lo voglia, come sta scritto, << il primato che passa >>, si permettere di disperdere il gregge così ben guidato e di depredarlo con assalti furtivi, o meglio con insegnamenti ladreschi e assurdi.  3). Se, infatti, quelli che or ora sono venuti da te avevano da rimproverarci qualcosa a proposito della fede, neppure in tal caso avrebbero dovuto osare tanto senza avvertirci.  4). Dovevano, infatti, prima persuaderci o lasciarsi persuadere da noi, se è vero che si deve fare conto anche di noi, che abbiamo timor di Dio, abbiamo sofferto in difesa della sua parola e abbiamo giovato alla Chiesa: soltanto allora, se proprio lo volevamo, potevamo proporre le loro novità, e, in tal caso, la loro prepotenza avrebbe potuto avere anche qualche giustificazione.  5). Ma poiché la nostra fede è stata proclamata per iscritto e non per iscritto, qui da noi e in paesi lontani, affrontando pericoli  e senza correr pericoli, come possono gli uni accingersi a siffatti comportamenti e gli altri tollerare tutto ciò senza fiatare?   6).  E non è ancora grave - per quanto grave esso sia - il fatto che certuni istillino nelle anime più sprovvedute la loro perversa dottrina; più grave è il fatto che costoro ci calunniano,  gabellandoci per loro compagni di dottrine e di pensiero.  7).  Essi circondano l'amo con l'esca e per mezzo di questo espediente compiono disonestamente quanto si sono proposti, e fanno della loro semplicità, che ci induceva a guardarli fraternamente e non come se fossero degli estranei, uno strumento per la loro malvagità.  8). Non solo, ma vanno affermando di essere stati accettati dal sinodo dell'Occidente, a quanto mi risulta, mentre esso li aveva precedentemente condannati, come tutti sanno.  9).  Se, dunque, quelli che seguono il pensiero di Apollinare furono accettati, o recentemente o prima, ce lo dimostrino, e li accoglieremo in mezzo a noi. E' chiaro, infatti, che questo è avvenuto ( se è avvenuto ) perché sono stati in accordo con la retta parola, e, se è avvenuto questo, non può essere diversamente.  10).  E lo dovranno mostrare senza alcun dubbio per mezzo del decreto sinodale o per mezzo di lettere di comunicazione: ché questa è la norma dei sinodi.  11). Ma se queste sono solamente parole e invenzioni per farsi belli e per procurarsi credibilità presso la gente, grazie all'autorità delle persone, insegna loro a starsene buoni e confutati. Noi pensiamo infatti, che questo comportamento si addica al tuo modo di agire e alla tua retta fede.  12 .  Non ingannino gli altri, questi uomini, e non si ingannino essi stessi, ammettendo che l'uomo del Signore, come essi lo chiamano, sia stato privo di intelletto, o piuttosto che lo sia stato il Signore e Dio nostro.  13). Ché noi non separiamo l'uomo dalla natura divina, ma insegniamo che ci fu un unico e medesimo, e che questi prima non era uomo, ma Dio e Figlio di Dio solamente e anteriore ai secoli, senza unione con il corpo e con tutto quello che appartiene al corpo;  14).  Alla fine dei tempi è divenuto anche uomo, che egli assunse per la nostra salvezza; passabile nella carne, impassibile per la natura divina, circoscritto nel corpo, non circoscritto nello spirito;  15). Inoltre il medesimo si è fatto terrestre e celeste insieme, visibile e comprensibile con l'intelletto, comprensibile e incomprensibile, affinché nella sua totalità di uomo e Dio insieme, fosse riplasmato tutto l'uomo che era caduto sotto il potere del peccato.

 

                                        Maria Genitrice di Dio

  16.  Se uno non crede che la Santa Maria sia genitrice di Dio, costui è separato da Dio. Se uno crede che il Logos sia passato attraverso la Vergine come attraverso un canale e non invece che in lei esso sia stato formato in modo divino e umano, insieme - divino in quanto senza la partecipazione di un uomo; umano, in quanto secondo la legge del parto - ,costui è parimenti ateo.  17).  Se uno pensa che sia stato formato l'uomo e che poi Dio lo abbia assunto, è condannato. Perché questo non significa la generazione di Dio, bensì il negare la generazione.  18).  Se uno introduce due figli, uno che proviene da Dio e dal Padre, e un secondo figlio che proviene dalla madre, e non uno solo e il medesimo, possa costui ,perdere l'adozione a figlio di Dio, promessa a coloro che credono rettamente.  19). Ché due sono le nature, Dio e l'uomo, poiché nell'uomo vi sono l'anima e il corpo; ma non si tratta di due figli né di due dei. Allo stesso modo, in questa terra non ci sono due uomini, sebbene Paolo abbia così definito la parte interiore e la parte esteriore dell'uomo.  20).  E se bisogna esprimersi concisamente, le sostanze da cui è composto il Salvatore sono una e un'altra, dal momento che l'invisibile non è la stessa cosa del visibile e ciò che è al di fuori del tempo non si identifica con quello che è soggetto al tempo, ma non vi sono << uno >> e  << un altro >>: non sia mai!  21). Le due sostanze, infatti, diventano un essere solo per mezzo della loro mescolanza, dato che Dio si incarna e l'uomo diventa divino - o comunque lo si voglia definire. Io dico << una sostanza e un'altra >> nel significato opposto a quello che si applica alla Trinità. Nell'ambito della Trinità, infatti, vi è uno e un altro, perché non dobbiamo confondere le ipostasi, ma non una e un'altra sostanza: una cosa sola, infatti, sono i Tre, e la medesima, quanto alla natura divina.

22.  Chi dice che nel Cristo la divinità ha operato per grazia, come in un profeta, e che non è stata congiunta e unita secondo la sostanza, possa essere privo dell'opera più alta, o meglio, possa essere ripieno dell'opera opposta.  Se uno adora colui che è stato crocifisso, << sia anatema >> e sia e sia classificato insieme ai deicidi.  23). Se uno dice che Cristo è stato giudicato degno della adozione a figlio di Dio in seguito alle opere da lui compiute o dopo il battesimo o dopo la sua risurrezione dai morti, come quegli dei intrusi che i pagani si inventano, << sia anatema >>.  24). Quello che ha avuto inizio o progredisce o riceve la perfezione non è Dio, anche se dice così per il fatto che Cristo si è manifestato gradatamente.  25). Se uno dice che adesso Cristo ha deposto la carne e che la natura divina si è spogliata del proprio corpo, e che tale natura non è e non verrà insieme con la carne assunta da Cristo, possa costui non vedere la gloria della parusia.  26). Dov'è, infatti, il corpo, ora, se non insieme con colui che lo assume? Non è certamente riposto nel sole, secondo le scempiaggini insegnate dai Manichei, i quali vorrebbero onorarlo con questo disonore;  27). e nemmeno si è diffuso e dissolto nell'aria, come si verifica ,per ,la voce o come svanisce un profumo o come balena il lampo, che non si ferma.  28). Dove mettiamo allora le parole della Scrittura, che egli sarebbe stato toccato dopo la risurrezione e che un giorno sarà visto da coloro che lo hanno trafitto? Certo, la natura divina di per sé è invisibile!  29). Ma verrà insieme con il suo corpo (questa è la mia interpretazione),e verrà così come fu visto dai discepoli sul monte, o si mostrò loro, allorquando la sua natura divina aveva un'enorme preponderanza sulla sua carne. Come stiamo dicendo questo per respingere certi sospetti nei nostri confronti, così le parole precedenti sono state da noi dette per confutare questa nuova dottrina.

  30. Se qualcuno viene a dire che la carne di Cristo è discesa dal cielo e che non ha avuto origine dal mondo, << sia anatema >>. Ché << il secondo uomo viene dal cielo >> , e << quale uomo celeste, tali sono gli uomini celesti >> e << nessuno è risalito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il figlio dell'uomo >>: quante sono le espressioni di questo genere, tutte si deve credere che siano state pronunciate a causa dell'unione con l'uomo celeste;  31).  così come le parole << tutto è stato creato per mezzo di Cristo >> e << Dio abita nei nostri cuori >> non sono state dette in riferimento all'aspetto visibile di Dio ma in riferimento all'aspetto di lui, che si vede con l'intelletto, perché, come le due nature si mescolano, così si confondono anche le denominazioni e si compenetrano l'una nell'altra in rapporto alla congiunzione reciproca delle due nature.

  32. Se uno ha riposto la sua speranza in un uomo privo di intelletto, costui è veramente insensato e non è degno di essere salvato nella sua totalità. Poiché quello che non è stato assunto da Cristo è rimasto non sanato, mentre quello che ha formato un'unione con Dio è stato anche salvato.  33). Se il peccato fu commesso da un mezzo Adamo, allora è la metà dell'uomo anche quello che è stato assunto e salvato da Cristo. Se invece ha peccato Adamo nella sua totalità, allora l'uomo è stato unito a colui che è stato generato nella sua totalità e tutto intero si salva. Non ci guardiamo di malocchio, dunque, per questa salvezza completa e non circondino la figura del Salvatore di ossa e di nervi solamente, cioè di un uomo dipinto e non reale!

  34. Se l'uomo di Cristo, infatti, è privo di anima, questo lo sostengono anche gli Ariani per attribuire alla natura divina incarnata la passione, perché secondo loro quello che muove il corpo è anche quello che soffre. Se, invece, è un essere dotato di anima, ma non dotato di intelletto, come può essere un uomo? Che l'uomo non è un essere vivente privo di intelletto.  35). E allora sembra inevitabile che questo aspetto esteriore, cioè la sua << tenda >>, fosse quello di un uomo, mentre la sua anima sarebbe quella di un cavallo o di un bue o di qualche altro essere privo di intelletto. Allora sarà questo essere che viene salvato; e allora la Verità mi ha ingannato, perché io, che mi vanto di essere salvato, sono diverso da quello che ne riceve l'onore. Se, invece, l'uomo è razionale e non è privo di intelletto, la smettano veramente costoro di essere senza intelletto.

  36.  << Ma bastava >>, dicono, << che la natura divina prendesse il posto dell'intelletto umano >>. Ma che mi riguarda questa osservazione? La natura divina, se è unita con la sola carne umana, non può costituire un uomo, così come non lo costituisce se è con la sola anima umana o con la carne e con l'anima separate dall'intelletto, perché è soprattutto l'intelletto che costituisce l'uomo. Conserva, dunque, l'uomo completo e unisci ad esso la natura divina, se vuoi farmi un beneficio completo.  37).  << Ma l'uomo>>, obiettano, << non poteva contenere due esseri completi >>. Certamente no, se tu consideri la cosa sotto l'aspetto corporeo: un recipiente di un medimno non contiene, infatti due medimni, né il posto per il corpo solo può contenere due o più corpi.  38). Se, invece, tu consideri come due realtà intellegibili e incorporee, allora osserva che io, da solo, contengo l'anima e la ragione e l'intelletto e lo Spirito Santo; osserva che, ancor prima di me, questo mondo, cioè il complesso formato di cose visibili e di cose invisibili,contiene il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.  39).  Questa, infatti, è la natura delle realtà intellegibili, cioè quella di unirsi l'una con l'altra e con i corpi in modo incorporeo e senza sottostare alla divisione. tanto è vero che, ad esempio, molte voci sono comprese da un solo orecchio, e molti oggetti sono visti dai medesimi organi visivi e l'odorato è esercitato dai medesimi organi olfattivi, senza che le facoltà sensitive si danneggino vicendevolmente o si guastino, e senza che gli oggetti percepiti dalla sensazione si facciano più piccoli a causa del gran numero delle percezioni stesse.

 

                         Intelletto Anima e Corpo

  40. << E come può essere perfetto l'intelletto di un uomo o di un angelo se si congiunge con la natura divina, per cui una sostanza è eliminata dalla presenza della sostanza più grande? >>. Ma nemmeno il raggio del sole, infatti, è perfetto in paragone al sole e non lo è un poco di umidità in confronto con un fiume: dovremmo perciò quello che è più piccolo ed eliminare dalla casa il raggio del sole e dalla terra l'umidità, perché vengano successivamente contenute dalla casa e dalla terra le sostanze più grandi e più perfette?  41). Esaminiamo quindi come potranno contenersi due sostanze perfette, come possa la casa contenere il raggio e il sole, come possa la terra contenere l'umidità e il fiume, perché questo argomento è degno veramente di molta attenzione.  42). O ignoriamo forse che quello che è perfetto nei confronti di una sostanza è imperfetto nei confronti di un'altra, come il colle rispetto alla montagna e il granello di senape rispetto alla fava o a qualche altro seme più grande, anche se si può dire che quel granello è più grande di altri dello stesso genere? O se no, ignorano come si possa dire perfetto un angelo di fronte a Dio e l'uomo di fronte all'angelo.  43). Dunque il nostro intelletto è perfetto e dominatore, ma lo è nei confronti dell'anima e del corpo; non lo è in sensi assoluto, in quanto è sottomesso e servo di Dio, e non è dominatore o degno di onore tanto quanto lo è lui.  44). Giacché anche per il Faraone, Mosè era come un dio, ma era servo di Dio, come sta scritto; e le stelle brillano nella notte, ma sono nascoste dalla luce del sole, così che di giorno nemmeno si vedono che ci sono;  45). e una piccola lampada, se accostata ad un grande rogo, non perisce e non si vede e non si distingue da lui, ma tutto quanto è rogo, perché la sostanza più forte vince.

  46.  << Ma il nostro intelletto >>, essi obiettano, << è stato condannato >>. E la carne allora?  Non è stata condannata anch'essa? Allora, o spogli Cristo anche della carne a causa del peccato o gli attribuisci anche l'intelletto a causa della salvezza. Se è stato assunto da Cristo l'elemento peggiore perché fosse santificato per mezzo dell'incarnazione, allora non sarà stato assunto l'elemento migliore, perché fosse anch'esso santificato per mezzo dell'in umanizzazione? Se il fango ricevette il lievito e divenne  << un nuovo impasto >>, sapienti che siete, l'immagine non sarà impastata con quel lievito e non sarà forse mescolata a Dio, resa divina grazie alla natura di Dio?  47).  Aggiungiamo anche quest'altro punto: se l'intelletto viene assolutamente rifiutato in quanto è peccatore ed è stato ed è stato condannato e per questo motivo Cristo ha assunto, sì, il corpo ma non ha voluto l'intelletto, allora c'è una possibilità di scusare coloro che peccano con l'intelletto: la testimonianza di Dio dimostra esplicitamente che è impossibile curarlo.  48). Devo dire la cosa più importante? In questo modo tu, illustrissimo, disonori il mio intelletto divenendo adoratore della carne, se è vero che io sono adoratore dell'uomo: tu vuoi legare Dio alla carne perché sei convinto che Dio non può essere legato in altro modo, e per questo motivo tu elimini << il muro intermediario >>.  49). Ma qual è il mio ragionamento? E' quello di una persona priva di filosofia e cultura: l'intelletto si mescola all'intelletto, cioè alla sostanza che gli è più vicina e più affine, e attraverso l'intelletto, che fa da intermediario tra la natura divina e la grossezza umana, si è unito alla carne.

  50. Vediamo, dunque, qual è il motivo del divenire uomo, secondo loro, o del divenire carne, come essi dicono. Se è stato quello di far circoscritto Dio, che altrimenti non è circoscritto, e perché Dio si aggirasse con gli uomini per mezzo della carne come sotto un velo, spiritosa è la loro mascherata e spiritosa è l'attuazione di questa finzione teatrale - per non dire che Dio avrebbe anche potuto aver rapporto con noi in molti altri modi, come è vero che precedentemente si era mostrato nel roveto di fuoco, o nella forma umana.  51). Se, invece, si è fatto uomo per cancellare la condanna del peccato santificando l'elemento simile con il simile, come ebbe bisogno della carne a causa della carne che era stata condannata, e dell'anima a causa dell'anima, allo stesso modo ebbe bisogno anche dell'intelletto a causa dell'intelletto, che in Adamo non solo peccò, ma anche fu il primo a sentire i sintomi del male, come dicono i medici a proposito delle malattie.  52). Giacché quell'essere che ricevette l'ordine non osservò l'ordine, quell'essere che non osservò l'ordine fu anche quello che osò compiere la trasgressione; e quello che commise la trasgressione ebbe anche bisogno in modo particolare della salvezza; infine quello che ebbe bisogno della salvezza fu anche quello che fu assunto da Cristo. Dunque, l'intelletto fu assunto da Cristo.

  53). Questo è stato ormai dimostrato, anche se non vogliono ammetterlo, per mezzo di necessità e di dimostrazioni geometriche, come essi dicono. Tu invece ti comporti più o meno come se, quando un uomo viene colpito in un occhio e in un piede, tu gli curassi il piede ma lasciassi l'occhio senza cure; o come un pittore che non esegue una bella pittura, e allora tu correggessi il dipinto, ma non ti occupassi del pittore,  come se lavorasse bene.  54). Se, infine, stretti da questi ragionamenti, essi si rifugiano nell'espediente di dire che Dio può salvare l'uomo anche senza assumere l'intelletto, allora è certo che lo può fare anche senza la carne, col suo solo volere, così ,come egli ha compiuto e compie tutte le altre opere senza bisogno del corpo umano. Allora elimina anche la carne insieme con l'intelletto, in modo che l'opera della tua stoltezza sia completa!  55). Ma costoro si lasciano ingannare dalla lettera e corrono verso la carne perché ignorano la consuetudine di esprimersi della Scrittura. E allora noi li istruiremo anche su questo.

  56).  Che in ogni punto della Scrittura Cristo sia chiamato << uomo >> e << figlio dell'uomo >>, essi lo sanno bene: che bisogno c'è, quindi, di ripeterlo? E si fanno forti dell'affermazione che << il Logos divenne carne ed abitò tra noi >> e per questo motivo eliminano dall'uomo la sua parte migliore, come fanno i calzolai che eliminano dalle pelli le parti più grossolane, al fine di incollare Dio con la carne umana,  57).  allora costoro debbono dire che Dio è Dio solo della carne e non anche dell'anima, perché sta scritto << Come gli hai dato il potere su ogni carne >> e: << Ogni carne accorrerà a te >>, e << Benedica il tuo santo nome ogni carne >>, vale a dire, ogni uomo.  58).  Viceversa essi dovranno dire che i nostri padri sono scesi nell'Egitto senza corpo e invisibili, e che il Faraone mise in catene l'anima solamente di Giuseppe,  perché è stato scritto: << disceso in Egitto in settantacinquemila anime >> e: << Passò attraverso il ferro la sua anima >>, cioè una sostanza che non può essere incatenata.  59).  Coloro che fanno simili affermazioni ignorano, infatti, che tali parole sono pronunciate per via di sineddoche, e che il tutto viene designato per mezzo della parte, come anche nella frase seguente: << I piccoli dei corvi invocano Dio >>, perché sia indicato tutto il genere alato, e le Pleiadi e Vespero ed Arturo vengono  menzionati invece di tutte le altre costellazioni e dell'ordine che le governa.

 

           La Carne e L'anima

  60.  E, inoltre, l'amore di Dio nei nostri confronti non poteva manifestarsi in altro modo se non ricordando la carne e dicendo che egli per amor nostro discese in terra, discese, anzi, fino all'elemento peggiore. Ogni persona di buon senso, infatti, ammetterà che la carne è di minor pregio dell'anima.  61).  Orbene, l'espressione: << Il Logos divenne carne >> mi sembra che significhi la stessa cosa di quando si dice che egli è divenuto peccato e maledizione, non nel senso che il Signore si sia trasformato in peccato e in maledizione - come sarebbe possibile? - ma nel senso che, accettando il peccato e la maledizione, assunse su di se i nostri peccati e le nostre infermità.  62).  Questo mi sembra che possa bastare per il momento, perché tutti possano comprendere il mio pensiero: la cosa è chiara, infatti. Ché  noi stiamo scrivendo queste considerazioni non per comporre un trattato ma per porre un freno all'errore, mentre un ragionamento più completo su questi argomenti, se sarà necessario, lo presenteremo per mezzo di considerazioni più dettagliate.

  63. Ma quello che è più grave ancora di tutto questo, noi non possiamo tralasciarlo. << Bisognerebbe che fossero mutilati coloro che vi turbano >> e introducono un altro giudaismo e un'altra circoncisione e altri sacrifici.  64). Ché se è vero questo, che cosa impedisce che Cristo nasca una seconda volta per abrogare queste prescrizioni e per essere tradito una seconda volta da Giuda e per essere messo in croce e sepolto e risorgere, affinché si compiano tutti gli avvenimenti nella medesima successione, secondo il ritorno ciclico che piace ai pagani, quello per cui il movimento circolare degli astri riconduce gli stessi avvenimenti sulla terra?  65).  Che significato ha, infatti, questo vostro sorteggio, per cui avvengono solo alcune delle cose avvenute allora, mentre altre non vengono menzionate? Lo spieghino i sapienti, che si vantano del gran numero di libri che hanno scritto.

  66. Ma siccome, gonfi di superbia per il trattato che hanno scritto sulla Trinità, ci calunniano e dicono che noi non possediamo una retta fede e adescano la massa dei fedeli, allora è necessario che si sappia che Apollinare ha attribuito, sì, il nome di Dio allo Spirito Santo, ma non gli ha conservato la potenza della natura divina.  67). Se, infatti, la Trinità è composta da un essere grande e da uno più grande del primo e da uno più grande di tutti, come da uno splendore e da un raggio e dal sole ( vale a dire dallo Spirito, dal Figlio e dal Padre ), come è stato esposto a chiare lettere nei suoi scritti, questo non è altro che una scala della natura divina, la quale non porta al cielo, ma fa discendere dal cielo.  68) .  Noi, invece, conosciamo Dio il Padre il Figlio e lo Spirito Santo, e questi non sono dei puri nomi che dividono dignità e potenze disuguali, ma un'unica e medesima denominazione, e parimenti un'unica e medesima natura e sostanza e potenza dell'essere divino.

  69 . Se uno pensa che questo sia stato detto rettamente, ma ci rimprovera la nostra comunione con gli eretici, ci dimostri che effettivamente questo comportamento è stato proprio del nostro modo di vivere, e allora noi lo convinceremo del contrario o ci ritireremo.  Ma prima del giudizio non è prudente fare nessun altra innovazione, tanto più a proposito di un problema di tale importanza e su questioni così gravi.  70). Noi, comunque, abbiamo chiamato e chiamiamo a testimoni di queste nostre dottrine Dio e gli uomini. E nemmeno ora, sappilo, avremmo scritto queste cose, se non vedessimo che la Chiesa è dilacerata e divisa da tutte le altre mirabolanti invenzioni e soprattutto dal << concilio della vanità >>, che ha luogo in questi giorni. 71). Ma se qualcuno nonostante quel che noi diciamo e protestiamo, o per vantaggio personale o per paura degli uomini o per meschinità fuori luogo o per il fatto che è mancato fino ad ora il pastore e il governo o per il gusto delle stranezze o per l'inclinazione alle novità, 72). ci respinge, non considerandoci meritevoli di nessuna considerazione, mentre accorre da costoro e così divide in parti il bel corpo della Chiesa, ebbene, costui subirà la condanna, chiunque egli sia, e renderà conto a Dio il giorno del giudizio.  73). Se poi i lunghi discorsi e i nuovi salteri, che hanno un suono opposto a quello di Davide, e la piacevolezza dei metri vengono considerati come il terzo Testamento, allora anche noi comporremo salmi e molto scriveremo in prosa e in versi. Giacché anche noi crediamo di possedere lo Spirito di Dio, se questo è grazia dello Spirito e non novità degli uomini.  74). Questo io voglio che tu attesti alla folla dei fedeli, affinché noi non sentiamo questo peso, di trascurare una così grande calamità, e come se per causa della nostra pigrizia questa malvagia dottrina trovasse pascolo e forza.

 

                                   

 

 

domenica 22 novembre 2015

Regola di San Benedetto

20/3/2015 REGOLA DI S. BENEDETTO - ITALIANO e LATINO

http://ora-et-labora.net/RSB_itlat.html 1/64

LA "SANTA REGOLA" DI SAN BENEDETTO


Citazioni e riferimenti biblici

Solo testo italiano


Regula Sancti Benedicti

Capitula Regulae

Regola di S. Benedetto

Indice dei capitoli

Prologus Prologo

I - De generibus monachorum I - Le varie categorie di monaci

II - Qualis debeat esse abbas II - L'Abate

III - De adhibendis ad consilium fratribus III - La consultazione della comunità

IV - Quae sunt instrumenta bonorum

operum

IV - Gli strumenti delle buone opere

V - De oboedientia V - L'obbedienza

VI - De tacitunitate VI - L'amore del silenzio

VII - De humilitate VII - L'umiltà

VIII - De officiis divinis in noctibus VIII - L'Ufficio divino nella notte

IX - Quanti psalmi dicendi sunt nocturnis

horis

IX - I salmi dell'Ufficio notturno

X - Qualiter aestatis tempore agatur

nocturna laus

X - L'Ufficio notturno dell'estate

XI - Qualiter diebus dominicis vigiliae

agantur

XI - L'Ufficio notturno nelle Domeniche

XII - Quomodo matutinorum sollemnitas

agatur

XII - Le lodi

XIII - Privatis diebus qualiter agantur

matutini

XIII - Le lodi nei giorni feriali

XIV - In nataliciis Sanctorum qualiter

agantur vigiliae

XIV - L'Ufficio vigilare nelle feste dei Santi

XV - Alleluia quibus temporibus dicatur XV - Quando si deve dire l'Alleluia

XVI - Qualiter divina Opera per diem

agantur

XVI - La celebrazione delle ore del giorno

XVII - Quot psalmi per easdem horas

canendi sunt

XVII - Salmi delle ore del giorno


20/3/2015 REGOLA DI S. BENEDETTO - ITALIANO e LATINO

http://ora-et-labora.net/RSB_itlat.html 2/64

XVIII - Quo ordine ipsi psalmi dicendi sunt XVIII - L'ordine dei salmi nelle ore del

giorno

XIX - De disciplina psallendi XIX - La partecipazione interiore all'Ufficio

divino

XX - De reverentia orationis XX - La riverenza nella preghiera

XXI - De decanis monasterii XXI - I decani del monastero

XXII - Quomodo dormiant monachi XXII - Il dormitorio dei monaci

XXIII - De excommunicatione culparum XXIII - La scomunica per le colpe

XXIV - Qualis debet esse modus

excommunicationis

XXIV - La misura della scomunica

XXV - De gravioribus culpis XXV - Le colpe più gravi

XXVI - De his qui sineiussione iungunt se

excommunicatis

XXVI - Rapporti dei confratelli con gli

scomunicati

XXVII - Qualiter debeat abbas sollicitus esse

circa excommunicatos

XXVII - La sollecitudine dell'abate per gli

scomunicati

XXVIII - De his qui saepius correpti

emendare noluerint

XXVIII - La procedura nei confronti degli

ostinati

XXIX - Si debeant fratres exeuntes de

monasterio iterum recipi

XXIX - La riammissione dei fratelli che

hanno lasciato il monastero

XXX - De pueris minori aetate, qualiter

corripiantur

XXX - La correzione dei ragazzi

XXXI - De cellarario monasterii, qualis sit XXXI - Il cellerario del monastero

XXXII - De ferramentis vel rebus monasterii XXXII - Gli arnesi e gli oggetti del

monastero

XXXIII - Si quid debeant monachi

proprium habere

XXXIII - Il "vizio" della proprietà

XXXIV - Si omnes aequaliter debeant

necessaria accipere

XXXIV - La distribuzione del necessario

XXXV - De septimanariis coquinae XXXV - Il servizio della cucina

XXXVI - De infirmis fratribus XXXVI - I fratelli infermi

XXXVII - De senibus vel infantibus XXXVII - I vecchi e i ragazzi

XXXVIII - De hebdomadario lectore XXXVIII - La lettura in refettorio

XXXIX - De mensura cibus XXXIX - La misura del cibo

XL - De mensura potus XL - La misura del vino

XLI - Quibus horis oportet reficere fratres XLI - L'orario dei pasti

XLII - Ut post completorium nemo loquatur XLII - Il silenzio dopo compieta

XLIII - De his qui ad Opus Dei vel ad

mensam tarde occurrunt

XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in

refettorio

XLIV - De his qui excommunicantur,

quomodo satisfaciant

XLIV - La riparazione degli scomunicati

XLV - De his qui falluntur in oratorio XLV - La riparazione per gli errori


20/3/2015 REGOLA DI S. BENEDETTO - ITALIANO e LATINO

http://ora-et-labora.net/RSB_itlat.html 3/64

commessi in coro

XLVI - De his qui in aliis quibuslibet rebus

delinquunt

XLVI - La riparazione per le altre mancanze

XLVII - De significanda hora Operis Dei XLVII - Il segnale per l'Ufficio divino

XLVIII - De opera manuum cotidiana XLVIII - Il lavoro quotidiano

XLIX - De Quadragesimae observatione XLIX - La Quaresima dei monaci

L - De fratribus qui longe ab oratorio

laborant aut in via sunt

L - I monaci che lavorano lontano o sono in

viaggio

LI - De fratribus qui non longe satis

proficiscuntur

LI - I monaci che si recano nelle vicinanze

LII - De oratorio monasterii LII - La chiesa del monastero

LIII - De hospitibus suscipiendis LIII - L'accoglienza degli ospiti

LIV - Si debeat monachus litteras vel aliquid

suscipere

LIV - La distribuzione delle lettere e dei

regali destinati ai singoli monaci

LV - De vestiario vel calciario fratrum LV - Gli abiti e le calzature dei monaci

LVI - De mensa abbatis LVI - La mensa dell'abate

LVII - De artificibus monasterii LVII - I monaci che praticano un'arte o un

mestiere

LVIII - De disciplina suscipiendorum

fratrum

LVIII - Norme per l'accettazione dei fratelli

LIX - De filiis nobilium aut pauperum qui

offeruntur

LIX - I piccoli oblati

LX - De sacerdotibus qui forte voluerint in

monasterio habitare

LX - I sacerdoti aspiranti alla vita monastica

LXI - De monachis peregrinis, qualiter

suscipiantur

LXI - L'accoglienza dei monaci forestieri

LXII - De sacerdotibus monasterii LXII - I sacerdoti del monastero

LXIII - De ordine congregationis LXIII - L'ordine della comunità

LXIV - De ordinando abbate LXIV - L'elezione dell'abate

LXV - De praeposito monasteri LXV - Il priore del monastero

LXVI - De ostiariis monasterii LXVI - I portinai del monastero

LXVII - De fratribus in viam directis LXVII - I monaci mandati in viaggio

LXVIII - Si fratri impossibilia iniungantur LVIII - Le obbedienze impossibili

LXIX - Ut in monasterio non praesumat

alter alterum defendere

LXIX - Divieto di arrogarsi le difese dei

confratelli

LXX - Ut non praesumat passim aliquis

caedere

LXX - Divieto di arrogarsi la riprensione dei

confratelli

LXXI - Ut oboedientes sibi sint invicem LXXI - L'obbedienza fraterna

LXXII - De zelo bono quod debent monachi

habere

LXXII - Il buon zelo dei monaci

LXXIII - De hoc quod non omnis iustitiae LXXIII - La modesta portata di questa


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observatio in hac sit regula constituta regola


Prologus

1. Obsculta, o fili, praecepta magistri, et inclina

aurem cordis tui, et admonitionem pii patris

libenter excipe et efficaciter comple,

2. ut ad eum per oboedientiae laborem redeas, a

quo per inoboedientiae desidiam recesseras.

3. Ad te ergo nunc mihi sermo dirigitur, quisquis

abrenuntians propriis voluntatibus, Domino

Christo vero regi militaturus, oboedientiae

fortissima atque praeclara arma sumis.

4. In primis, ut quicquid agendum inchoas

bonum, ab eo perfici instantissima oratione

deposcas,

5. ut qui nos iam in filiorum dignatus est numero

computare non debet aliquando de malis

actibus nostris contristari.

6. Ita enim ei omni tempore de bonis suis in nobis

parendum est ut non solum iratus pater suos

non aliquando filios exheredet,

7. sed nec, ut metuendus dominus irritatus a malis

nostris, ut nequissimos servos perpetuam tradat

ad poenam qui eum sequi noluerint ad gloriam.

8. Exsurgamus ergo tandem aliquando excitante
nos scriptura ac dicente: Hora est iam nos de

somno surgere,


9. et apertis oculis nostris ad deificum lumen,

attonitis auribus audiamus divina cotidie

clamans quid nos admonet vox dicens:
10. Hodie si vocem eius audieritis, nolite obdurare

corda vestra.

11. Et iterum: Qui habet aures audiendi audiat

quid spiritus dicat ecclesiis.

12. Et quid dicit? Venite, filii, audite me; timorem



Domini docebo vos

13. Currite dum lumen vitae habetis, ne tenebrae

mortis vos comprehendant.

14. Et quaerens Dominus in multitudine populi cui

haec clamat operarium suum, iterum dicit:
15. Quis est homo qui vult vitam et cupit videre



dies bonos?

16. Quod si tu audiens respondeas: Ego, dicit tibi

Deus:
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Prologo

1. Ascolta, figlio mio, gli insegnamenti del

maestro e apri docilmente il tuo cuore; accogli

volentieri i consigli ispirati dal suo amore

paterno e mettili in pratica con impegno,

2. in modo che tu possa tornare attraverso la

solerzia dell'obbedienza a Colui dal quale ti sei

allontanato per l'ignavia della disobbedienza.

3. Io mi rivolgo personalmente a te, chiunque tu

sia, che, avendo deciso di rinunciare alla

volontà propria, impugni le fortissime e

valorose armi dell'obbedienza per militare sotto

il vero re, Cristo Signore.

4. Prima di tutto chiedi a Dio con costante e

intensa preghiera di portare a termine quanto di

buono ti proponi di compiere,

5. affinché, dopo averci misericordiosamente

accolto tra i suoi figli, egli non debba un giorno

adirarsi per la nostra indegna condotta.

6. Bisogna dunque servirsi delle grazie che ci

concede per obbedirgli a ogni istante con tanta

fedeltà da evitare, non solo che egli giunga a

diseredare i suoi figli come un padre sdegnato,

7. ma anche che, come un sovrano tremendo,

irritato dalle nostre colpe, ci condanni alla pena

eterna quali servi infedeli che non lo hanno

voluto seguire nella gloria.

8. Alziamoci, dunque, una buona volta, dietro

l'incitamento della Scrittura che esclama: "E'

ora di scuotersi dal sonno!"

9. e aprendo gli occhi a quella luce divina

ascoltiamo con trepidazione ciò che ci ripete

ogni giorno la voce ammonitrice di Dio:

10. " Se oggi udrete la sua voce, non indurite il

vostro cuore!"

11. e ancora: " Chi ha orecchie per intendere,

ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese!".
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17. Si vis habere veram et perpetuam vitam,
prohibe linguam tuam a malo et labia tua ne

loquantur dolum; deverte a malo et fac bonum,

inquire pacem et sequere eam.


18. Et cum haec feceritis, oculi mei super vos et

aures meas ad preces vestras, et antequam me
invocetis dicam vobis: Ecce adsum.


19. Quid dulcius nobis ab hac voce Domini

invitantis nos, fratres carissimi?

20. Ecce pietate sua demonstrat nobis Dominus

viam vitae.

21. Succinctis ergo fide vel observantia bonorum

actuum lumbis nostris, per ducatum evangelii
pergamus itinera eius, ut mereamur eum qui

nos vocavit in regnum suum videre.


22. In cuius regni tabernaculo si volumus habitare,

nisi illuc bonis actibus curritur, minime

pervenitur.

23. Sed interrogemus cum propheta Dominum
dicentes ei: Domine, quis habitabit in



tabernaculo tuo, aut quis requiescet in monte

sancto tuo?

24. Post hanc interrogationem, fratres, audiamus

Dominum respondentem et ostendentem nobis

viam ipsius tabernaculi,
25. dicens: Qui ingreditur sine macula et operatur



iustitiam;

26. qui loquitur veritatem in corde suo, qui non

egit dolum in lingua sua;

27. qui non fecit proximo suo malum, qui

opprobrium non accepit adversus proximum

suum;

28. qui malignum diabolum aliqua suadentem sibi,

cum ipsa suasione sua a conspectibus cordis
sui respuens, deduxit ad nihilum, et parvulos


cogitatos eius tenuit et allisit ad Christum;

29. qui, timentes Dominum, de bona observantia

sua non se reddunt elatos, sed ipsa in se bona

non a se posse sed a Domino fieri existimantes,
30. operantem in se Dominum magnificant, illud

cum propheta dicentes: Non nobis, Domine,



non nobis, sed nomini tuo da gloriam;

31. sicut nec Paulus apostolus de praedicatione sua
sibi aliquid imputavit, dicens: Gratia Dei sum



id quod sum;

32. et iterum ipse dicit: Qui gloriatur, in Domino

glorietur.
33. Unde et Dominus in evangelio ait: Qui audit



verba mea haec et facit ea, similabo eum viro

sapienti qui aedificavit domum suam super

petram;

34. venerunt flumina, flaverunt venti, et

impegerunt in domum illam, et non cecidit,

quia fundata erat super petram.

12. E che dice? " Venite, figli, ascoltatemi, vi

insegnerò il timore di Dio.

13. Correte, finché avete la luce della vita, perché

non vi colgano le tenebre della morte".

14. Quando poi il Signore cerca il suo operaio tra

la folla, insiste dicendo:

15. "Chi è l'uomo che vuole la vita e arde dal

desiderio di vedere giorni felici?".

16. Se a queste parole tu risponderai: "Io!", Dio

replicherà:

17. "Se vuoi avere la vita, quella vera ed eterna,

guarda la tua lingua dal male e le tue labbra

dalla menzogna. Allontanati dall'iniquità, opera

il bene, cerca la pace e seguila".

18. Se agirete così rivolgerò i miei occhi verso di

voi e le mie orecchie ascolteranno le vostre

preghiere, anzi, prima ancora che mi invochiate

vi dirò: "Ecco sono qui!".

19. Fratelli carissimi, che può esserci di più dolce

per noi di questa voce del Signore che ci

chiama?

20. Guardate come nella sua misericordiosa bontà

ci indica la via della vita!

21. Armati dunque di fede e di opere buone, sotto

la guida del Vangelo, incamminiamoci per le

sue vie in modo da meritare la visione di lui,

che ci ha chiamati nel suo regno.

22. Se, però, vogliamo trovare dimora sotto la sua

tenda, ossia nel suo regno, ricordiamoci che è

impossibile arrivarci senza correre verso la

meta, operando il bene.

23. Ma interroghiamo il Signore, dicendogli con le

parole del profeta: "Signore, chi abiterà nella

tua tenda e chi dimorerà sul tuo monte santo?".

24. E dopo questa domanda, fratelli, ascoltiamo la

risposta con cui il Signore ci indica la via che

porta a quella tenda:

25. "Chi cammina senza macchia e opera la

giustizia;

26. chi pronuncia la verità in cuor suo e non ha

tramato inganni con la sua lingua;

27. chi non ha recato danni al prossimo, né ha

accolto l'ingiuria lanciata contro di lui";

28. chi ha sgominato il diavolo, che malignamente

cercava di sedurlo con le sue suggestioni,

respingendolo dall'intimo del proprio cuore e

ha impugnato coraggiosamente le sue

insinuazioni per spezzarle su Cristo al loro

primo sorgere;

29. gli uomini timorati di Dio, che non si

insuperbiscono per la propria buona condotta e,

pensando invece che quanto di bene c'è in essi

non è opera loro, ma di Dio,

30. lo esaltano proclamando col profeta: "Non a

noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà

gloria!".

31. Come fece l'apostolo Paolo, che non si attribuì
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35. Haec complens Dominus exspectat nos cotidie

his suis sanctis monitis factis nos respondere

debere.

36. Ideo nobis propter emendationem malorum

huius vitae dies ad indutias relaxantur,
37. dicente Apostolo: An nescis quia patientia Dei



ad paenitentiam te adducit?

38. Nam pius Dominus dicit: Nolo mortem



peccatoris, sed convertatur et vivat.

39. Cum ergo interrogassemus Dominum, fratres,

de habitatore tabernaculi eius, audivimus

habitandi praeceptum, sed si compleamus

habitatoris officium.

40. Ergo praeparanda sunt corda nostra et corpora

sanctae praeceptorum oboedientiae militanda,

41. et quod minus habet in nos natura possibile,

rogemus Dominum ut gratiae suae iubeat nobis

adiutorium ministrare.

42. Et si, fugientes gehennae poenas, ad vitam

volumus pervenire perpetuam,

43. dum adhuc vacat et in hoc corpore sumus et

haec omnia per hanc lucis vitam vacat implere,

44. currendum et agendum est modo quod in

perpetuo nobis expediat.

45. Constituenda est ergo nobis dominici schola

servitii.

46. In qua institutione nihil asperum, nihil grave,

nos constituturos speramus;

47. sed et si quid paululum restrictius, dictante

aequitatis ratione, propter emendationem

vitiorum vel conservationem caritatis

processerit,

48. non ilico pavore perterritus refugias viam

salutis quae non est nisi angusto initio

incipienda.

49. Processu vero conversationis et fidei, dilatato

corde inenarrabili dilectionis dulcedine curritur

via mandatorum Dei,

50. ut ab ipsius numquam magisterio discedentes,

in eius doctrinam usque ad mortem in

monasterio perseverantes, passionibus Christi

per patientiam participemur, ut et regno eius

mereamur esse consortes. Amen.

alcun merito della sua predicazione, ma disse:"

Per grazia di Dio sono quel che sono"

32. e ancora: "chi vuole gloriarsi, si glori nel

Signore".

33. Perciò il Signore stesso dichiara nel Vangelo:

"Chi ascolta da me queste parole e le mette in

pratica, sarà simile a un uomo saggio il quale

edificò la sua casa sulla roccia.

34. E vennero le inondazioni e soffiarono i venti e

si abbatterono su quella casa, ma essa non

cadde, perché era fondata sulla roccia".

35. Dopo aver concluso con queste parole il

Signore attende che, giorno per giorno,

rispondiamo con i fatti alle sue sante

esortazioni.

36. Ed è proprio per permetterci di correggere i

nostri difetti che ci vengono dilazionati i giorni

di questa vita

37. secondo le parole dell'Apostolo: "Non sai che

con la sua pazienza Dio vuole portarti alla

conversione?"

38. Difatti il Signore misericordioso afferma: "Non

voglio la morte del peccatore, ma che si

converta e viva".

39. Dunque, fratelli miei, avendo chiesto al

Signore a chi toccherà la grazia di dimorare

nella sua tenda, abbiamo appreso quali sono le

condizioni per rimanervi, purché sappiamo

comportarci nel modo dovuto.

40. Perciò dobbiamo disporre i cuori e i corpi

nostri a militare sotto la santa obbedienza.

41. Per tutto quello poi, di cui la nostra natura si

sente incapace, preghiamo il Signore di aiutarci

con la sua grazia.

42. E se vogliamo arrivare alla vita eterna,

sfuggendo alle pene dell'inferno,

43. finche c'è tempo e siamo in questo corpo e

abbiamo la possibilità di compiere tutte queste

buone azioni,

44. dobbiamo correre e operare adesso quanto ci

sarà utile per l'eternità.

45. Bisogna dunque istituire una scuola del

servizio del Signore

46. nella quale ci auguriamo di non prescrivere

nulla di duro o di gravoso;

47. ma se, per la correzione dei difetti o per il

mantenimento della carità, dovrà introdursi una

certa austerità, suggerita da motivi di giustizia,

48. non ti far prendere dallo scoraggiamento al

punto di abbandonare la via della salvezza, che

in principio è necessariamente stretta e ripida.

49. Mentre invece, man mano che si avanza nella

vita monastica e nella fede, si corre per la via

dei precetti divini col cuore dilatato

dall'indicibile sovranità dell'amore.

50. Così, non allontanandoci mai dagli

insegnamenti di Dio e perseverando fino alla
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morte nel monastero in una fedele adesione

alla sua dottrina, partecipiamo con la nostra

sofferenza ai patimenti di Cristo per meritare di

essere associati al suo regno. Amen.

Explicit Prologus Fine del Prologo
INCIPIT TEXTUS REGULAE

Regula appellatur ab hoc quod oboedientum dirigat

mores.
INIZIA IL TESTO DELLA REGOLA

Regola è chiamata perchè dirige la vita di quelli che

obbediscono.
I - De generibus monachorum

1. Monachorum quattuor esse genera manifestum

est.

2. Primum coenobitarum, hoc est monasteriale,

militans sub regula vel abbate.

3. Deinde secundum genus est anachoritarum, id

est eremitarum, horum qui non conversationis

fervore novicio, sed monasterii probatione

diuturna,

4. qui didicerunt contra diabolum multorum

solacio iam docti pugnare,

5. et bene exstructi fraterna ex acie ad singularem

pugnam eremi, securi iam sine consolatione

alterius, sola manu vel brachio contra vitia

carnis vel cogitationum, Deo auxiliante,

pugnare sufficiunt.

6. Tertium vero monachorum taeterrimum genus

est sarabaitarum, qui nulla regula approbati,

experientia magistra, sicut aurum fornacis, sed

in plumbi natura molliti,

7. adhuc operibus servantes saeculo fidem,

mentiri Deo per tonsuram noscuntur.

8. Qui bini aut terni aut certe singuli sine pastore,

non dominicis sed suis inclusi ovilibus, pro

lege eis est desideriorum voluntas,

9. cum quicquid putaverint vel elegerint, hoc

dicunt sanctum, et quod noluerint, hoc putant

non licere.

10. Quartum vero genus est monachorum quod

nominatur gyrovagum, qui tota vita sua per

diversas provincias ternis aut quaternis diebus

per diversorum cellas hospitantur,

11. semper vagi et numquam stabiles, et propriis

voluntatibus et gulae illecebris servientes, et

per omnia deteriores sarabaitis.

12. De quorum omnium horum miserrima

conversatione melius est silere quam loqui.

13. His ergo omissis, ad coenobitarum fortissimum

genus disponendum, adiuvanteDomino,

veniamus.
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I - Le varie categorie di monaci

1. E' noto che ci sono quattro categorie di monaci.

2. La prima è quella dei cenobiti, che vivono in

un monastero, militando sotto una regola e un

abate.

3. La seconda è quella degli anacoreti o eremiti,

ossia di coloro che non sono mossi

dall'entusiastico fervore dei principianti, ma

sono stati lungamente provati nel monastero,

4. dove con l'aiuto di molti hanno imparato a

respingere le insidie del demonio;

5. quindi, essendosi bene addestrati tra le file dei

fratelli al solitario combattimento dell'eremo,

sono ormai capaci, con l'aiuto di Dio, di

affrontare senza il sostegno altrui la lotta corpo

a corpo contro le concupiscenze e le passioni.

6. La terza categoria di monaci, veramente

detestabile è formata dai sarabaiti: molli come

piombo, perché non sono stati temprati come

l'oro nel crogiolo dell'esperienza di una regola,

7. costoro conservano ancora le abitudini

mondane, mentendo a Dio con la loro tonsura.

8. A due a due, a tre a tre o anche da soli, senza la

guida di un superiore, chiusi nei loro ovili e

non in quello del Signore, hanno come unica

legge l'appagamento delle proprie passioni,

9. per cui chiamano santo tutto quello che torna
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loro comodo, mentre respingono come illecito

quello che non gradiscono.

10. C'è infine una quarta categoria di monaci, che

sono detti girovaghi, perché per tutta la vita

passano da un paese all'altro, restando tre o

quattro giorni come ospiti nei vari monasteri,

11. sempre vagabondi e instabili, schiavi delle

proprie voglie e dei piaceri della gola, peggiori

dei sarabaiti sotto ogni aspetto.

12. Ma riguardo alla vita sciagurata di tutti costoro

è preferibile tacere piuttosto che parlare.

13. Lasciamoli quindi da parte e con l'aiuto del

Signore occupiamoci dell'ordinamento della

prima categoria, ossia quella fortissima e

valorosa dei cenobiti.
II - Qualis debeat esse abbas

1. Abbas qui praeesse dignus est monasterio

semper meminere debet quod dicitur et nomen

maioris factis implere.

2. Christi enim agere vices in monasterio creditur,

quando ipsius vocatur pronomine,
3. dicente Apostolo: Accepistis spiritum



adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba,

Pater.

4. Ideoque abbas nihil extra praeceptum Domini

quod sit debet aut docere aut constituere vel

iubere,

5. sed iussio eius vel doctrina fermentum divinae

iustitiae in discipulorum mentibus

conspargatur,

6. memor semper abbas quia doctrinae suae vel

discipulorum oboedientiae, utrarumque rerum,

in tremendo iudicio Dei facienda erit discussio.

7. Sciatque abbas culpae pastoris incumbere

quicquid in ovibus paterfamilias utilitatis

minus potuerit invenire.

8. Tantundem iterum erit ut, si inquieto vel

inoboedienti gregi pastoris fuerit omnis

diligentia attributa et morbidis earum actibus

universa fuerit cura exhibita,

9. pastor eorum in iudicio Domini absolutus dicat
cum propheta Domino: iustitiam tuam non



abscondi in corde meo, veritatem tuam et

salutare tuum dixi; ipsi autem contemnentes

spreverunt me,

10. et tunc demum inoboedientibus curae suae

ovibus poena sit eis praevalens ipsa mors.
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II - L'Abate

1. Un abate degno di stare a capo di un monastero

deve sempre avere presenti le esigenze

implicite nel suo nome, mantenendo le proprie

azioni al livello di superiorità che esso

comporta.

2. Sappiamo infatti per fede che in monastero egli

tiene il posto di Cristo, poiché viene chiamato

con il suo stesso nome,

3. secondo quanto dice l'Apostolo: "Avete

ricevuto lo Spirito di figli adottivi, che vi fa

esclamare: Abba, Padre!"

4. Perciò l'abate non deve insegnare, né stabilire o

ordinare nulla di contrario alle leggi del

Signore,

5. anzi il suo comando e il suo insegnamento

devono infondere nelle anime dei discepoli il

fermento della santità.

6. Si ricordi sempre che nel tremendo giudizio di

Dio dovrà rendere conto tanto del suo

insegnamento, quanto dell'obbedienza dei

discepoli
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11. Ergo, cum aliquis suscipit nomen abbatis,

duplici debet doctrina suis praeesse discipulis,

12. id est omnia bona et sancta factis amplius

quam verbis ostendat, ut capacibus discipulis

mandata Domini verbis proponere, duris corde

vero et simplicioribus factis suis divina

praecepta monstrare.

13. Omnia vero quae discipulis docuerit esse

contraria in suis factis indicet non agenda, ne

aliis praedicans ipse reprobus inveniatur,
14. ne quando illi dicat Deus peccanti: Quare tu



enarras iustitias meas et assumis testamentum

meum per os tuum? Tu vero odisti disciplinam

et proiecisti sermones meos post te,

15. et: Qui in fratris tui oculo festucam videbas, in

tuo trabem non vidisti.

16. Non ab eo persona in monasterio discernatur.

17. Non unus plus ametur quam alius, nisi quem in

bonis actibus aut oboedientia invenerit

meliorem.

18. Non convertenti ex servitio praeponatur

ingenuus, nisi alia rationabilis causa exsistat.

19. Quod si ita, iustitia dictante, abbati visum

fuerit, et de cuiuslibet ordine id faciet. Sin

alias, propria teneant loca,

20. quia sive servus sive liber, omnes in Christo

unum sumus et sub uno Domino aequalem
servitutis militiam baiulamus, quia non est



apud Deum personarum acceptio.

21. Solummodo in hac parte apud ipsum

discernimur, si meliores ab aliis in operibus

bonis et humiles inveniamur.

22. Ergo aequalis sit ab eo omnibus caritas, una

praebeatur in omnibus secundum merita

disciplina.

23. In doctrina sua namque abbas apostolicam

debet illam semper formam servare in qua
dicit: Argue, obsecra, increpa,


24. id est, miscens temporibus tempora, terroribus

blandimenta, dirum magistri, pium patris

ostendat affectum,

7. e sappia che il pastore sarà considerato

responsabile di tutte le manchevolezze che il

padre di famiglia avrà potuto riscontrare nel

gregge.

8. D'altra parte è anche vero che, se il pastore

avrà usato ogni diligenza nei confronti di un

gregge irrequieto e indocile, cercando in tutti i

modi di correggerne la cattiva condotta,

9. verrà assolto nel divino giudizio e potrà

ripetere con il profeta al Signore: "Non ho

tenuto la tua giustizia nascosta in fondo al

cuore, ma ho proclamato la tua verità e la tua

salvezza; essi tuttavia mi hanno disprezzato,

ribellandosi contro di me".

10. E allora la giusta punizione delle pecore ribelli

sarà la morte, che avrà finalmente ragione della

loro ostinazione.

11. Dunque, quando uno assume il titolo di Abate

deve imporsi ai propri discepoli con un duplice

insegnamento,

12. mostrando con i fatti più che con le parole tutto

quello che è buono e santo: in altri termini,

insegni oralmente i comandamenti del Signore

ai discepoli più sensibili e recettivi, ma li

presenti esemplificati nelle sue azioni ai più

tardi e grossolani.

13. Confermi con la sua condotta che bisogna

effettivamente evitare quanto ha presentato ai

discepoli come riprovevole, per non correre il

rischio di essere condannato dopo aver

predicato agli altri

14. e di non sentirsi dire dal Signore per i suoi

peccati: "Come ti arroghi di esporre i miei

precetti e di avere sempre la mia alleanza sulla

bocca, tu che hai in odio la disciplina e ti getti

le mie parole dietro le spalle?"

15. e ancora: "Tu che vedevi la pagliuzza

nell'occhio del tuo fratello, non ti sei accorto

della trave nel tuo".

16. Si guardi dal fare preferenze nelle comunità:

17. non ami l'uno piò dell'altro, a eccezione di

quello che avrà trovato migliore nella condotta

e nell'obbedienza:

18. non anteponga un monaco proveniente da un

ceto elevato a uno di umili origini, a meno che

non ci sia un motivo ragionevole per stabilire

una tale precedenza.

19. Ma se, per ragioni di giustizia, riterrà di dover

agire così lo faccia per chiunque; altrimenti

ciascuno conservi il proprio posto,

20. perché, sia il servo che il libero, tutti siamo una

cosa sola in Cristo e, militando sotto uno stesso

Signore, prestiamo un eguale servizio. Infatti,

"dinanzi a Dio non ci sono parzialità"

21. e una cosa sola ci distingue presso di lui: se

siamo umili e migliori degli altri nelle opere

buone.
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25. id est indisciplinatos et inquietos debet durius

arguere, oboedientes autem et mites et

patientes ut in melius proficiant obsecrare,

neglegentes et contemnentes ut increpat et

corripiat admonemus.

26. Neque dissimulet peccata delinquentium; sed

et mox ut coeperint oriri radicitus ea ut

praevalet amputet, memor periculi Heli

sacerdotis de Silo.

27. Et honestiores quidem atque intellegibiles

animos prima vel secunda admonitione verbis

corripiat,

28. improbos autem et duros ac superbos vel

inoboedientes verberum vel corporis castigatio

in ipso initio peccati coerceat, sciens scriptum:
Stultus verbis non corrigitur,

29. et iterum: Percute filium tuum virga et



liberabis animam eius a morte.

30. Meminere debet semper abbas quod est,

meminere quod dicitur, et scire quia cui plus

committitur, plus ab eo exigitur.

31. Sciatque quam difficilem et arduam rem

suscipit regere animas et multorum servire

moribus, et alium quidem blandimentis, alium

vero increpationibus, alium suasionibus;

32. et secundum uniuscuiusque qualitatem vel

intellegentiam, ita se omnibus conformet et

aptet ut non solum detrimenta gregis sibi

commissi non patiatur, verum in

augmentatione boni gregis gaudeat.

33. Ante omnia, ne dissimulans aut parvipendens

salutem animarum sibi commissarum, ne plus

gerat sollicitudinem de rebus transitoriis et

terrenis atque caducis,

34. sed semper cogitet quia animas suscepit

regendas, de quibus et rationem redditurus est.

35. Et ne causetur de minori forte substantia,
meminerit scriptum: Primum quaerite regnum



Dei et iustitiam eius, et haec omnia adicientur

vobis,

36. et iterum: Nihil deest timentibus eum.


37. Sciatque quia qui suscipit animas regendas

paret se ad rationem reddendam,

38. et quantum sub cura sua fratrum se habere

scierit numerum, agnoscat pro certo quia in die

iudicii ipsarum omnium animarum est

redditurus Domino rationem, sine dubio addita

et suae animae.

39. Et ita, timens semper futuram discussionem

pastoris de creditis ovibus, cum de alienis

ratiociniis cavet, redditur de suis sollicitus,

22. Quindi l'abate ami tutti allo stesso modo,

seguendo per ciascuno una medesima regola di

condotta basata sui rispettivi meriti.

23. Per quanto riguarda poi la direzione dei

monaci, bisogna che tenga presente la norma

dell'apostolo: "Correggi, esorta, rimprovera"

24. e precisamente, alternando i rimproveri agli

incoraggiamenti, a seconda dei tempi e delle

circostanze, sappia dimostrare la severità del

maestro insieme con la tenerezza del padre.

25. In altre parole, mentre deve correggere

energicamente gli indisciplinati e gli irrequieti,

deve esortare amorevolmente quelli che

obbediscono con docilità a progredire sempre

più. Ma è assolutamente necessario che

rimproveri severamente e punisca i negligenti e

coloro che disprezzano la disciplina.

26. Non deve chiudere gli occhi sulle eventuali

mancanze, ma deve stroncarle sul nascere,

ricordandosi della triste fine di Eli, sacerdote di

Silo.

27. Riprenda, ammonendoli una prima e una

seconda volta, i monaci più docili e assennati,

28. ma castighi duramente i riottosi, gli ostinati, i

superbi e i disobbedienti, appena tentano di

trasgredire, ben sapendo che sta scritto: "Lo

stolto non si corregge con le parole"

29. e anche: "Battendo tuo figlio con la verga,

salverai l'anima sua dalla morte".

30. L'abate deve sempre ricordarsi quel che è e

come viene chiamato, nella consapevolezza

che sono maggiori le esigenze poste a colui al

quale è stato affidato di più.

31. Bisogna che prenda chiaramente coscienza di

quanto sia difficile e delicato il compito che si

è assunto di dirigere le anime e porsi al

servizio dei vari temperamenti, incoraggiando

uno, rimproverando un altro e correggendo un

terzo:

32. perciò si conformi e si adatti a tutti, secondo la

rispettiva indole e intelligenza, in modo che,

invece di aver a lamentare perdite nel gregge

affidato alle sue cure, possa rallegrarsi per

l'incremento del numero dei buoni.

33. Soprattutto si guardi dal perdere di vista o

sottovalutare la salvezza delle anime, di cui è

responsabile, per preoccuparsi eccessivamente

delle realtà terrene, transitorie e caduche,

34. ma pensi sempre che si è assunto l'impegno di

dirigere delle anime, di cui un giorno dovrà

rendere conto

35. e non cerchi una scusante nelle eventuali

difficoltà economiche, ricordandosi che sta

scritto :"Cercate anzitutto il regno di Dio e la

sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date

in soprappiù"

36. e anche: "Nulla manca a coloro che lo
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40. et cum de monitionibus suis emendationem

aliis sumministrat ipse efficitur a vitiis

emendatus.

temono".

37. Sappia inoltre che chi si assume l'impegno di

dirigere le anime deve prepararsi a renderne

conto

38. e stia certo che, quanti sono i monaci di cui

deve prendersi cura, tante solo le anime di cui

nel giorno del giudizio sarà ritenuto

responsabile di fronte a Dio, naturalmente oltre

che della propria.

39. Così nel continuo timore dell'esame a cui verrà

sottoposto il pastore riguardo alle pecore che

gli sono state affidate mentre si preoccupa del

rendiconto altrui, si fa più attento al proprio

40. e corregge i suoi personali difetti, aiutando gli

altri a migliorarsi con le sue ammonizioni.
III - De adhibendis ad consilium

fratribus

1. Quotiens aliqua praecipua agenda sunt in

monasterio, convocet abbas omnem

congregationem et dicat ipse unde agitur,

2. et audiens consilium fratrum tractet apud se et

quod utilius iudicaverit faciat.

3. Ideo autem omnes ad consilium vocari diximus

quia saepe iuniori Dominus revelat quod

melius est.

4. Sic autem dent fratres consilium cum omni

humilitatis subiectione, et non praesumant

procaciter defendere quod eis visum fuerit,

5. et magis in abbatis pendat arbitrio, ut quod

salubrius esse iudicaverit ei cuncti oboediant.

6. Sed sicut discipulos convenit oboedire

magistro, ita et ipsum provide et iuste condecet

cuncta disponere.

7. In omnibus igitur omnes magistram sequantur

regulam, neque ab ea temere declinetur a

quoquam.

8. Nullus in monasterio proprii sequatur cordis

voluntatem,

9. neque praesumat quisquam cum abbate suo

proterve aut foris monasterium contendere.

10. Quod si praesumpserit, regulari disciplinae

subiaceat.

11. Ipse tamen abbas cum timore Dei et

observatione regulae omnia faciat, sciens se

procul dubio de omnibus iudiciis suis

aequissimo iudici Deo rationem redditurum.

12. Si qua vero minora agenda sunt in monasterii
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III - La consultazione della

comunità

1. Ogni volta che in monastero bisogna trattare

qualche questione importante, l'abate convochi

tutta la comunità ed esponga personalmente

l'affare in oggetto.

2. Poi, dopo aver ascoltato il parere dei monaci, ci

rifletta per proprio conto e faccia quel che gli

sembra più opportuno.

3. Ma abbiamo detto di consultare tutta la

comunità, perché spesso è proprio al più

giovane che il Signore rivela la soluzione

migliore.

4. I monaci poi esprimano il loro parere con tutta

umiltà e sottomissione, senza pretendere di

imporre a ogni costo le loro vedute;

5. comunque la decisione spetta all'abate e, una

volta che questi avrà stabilito ciò che è più

conveniente, tutti dovranno obbedirgli.

6. D'altra parte, come è doveroso che i discepoli

obbediscano al maestro, così è bene che anche
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utilitatibus, seniorum tantum utatur consilio,
13. sicut scriptum est: Omnia fac cum consilio et



post factum non paeniteberis.

lui predisponga tutto con prudenza ed equità.

7. Dunque in ogni cosa tutti seguano come

maestra la Regola e nessuno osi allontanarsene.

8. Nessun membro della comunità segua la

volontà propria,

9. né si azzardi a contestare sfacciatamente con

l'abate, dentro o fuori del monastero.

10. Chi si permette un simile contegno, sia

sottoposto alle punizioni previste dalla Regola.

11. L'abate però dal canto suo operi tutto col timor

di Dio e secondo le prescrizioni della Regola,

ben sapendo che di tutte le sue decisioni dovrà

certamente rendere conto a Dio, giustissimo

giudice.

12. Se poi in monastero si devono trattare

questioni di minore importanza, si serva solo

del consiglio dei più anziani,

13. come sta scritto: "Fa' tutto col consiglio e dopo

non avrai a pentirtene".
IV - Quae sunt instrumenta

bonorum operum

1. In primis Dominum Deum diligere ex toto

corde, tota anima, tota virtute;

2. deinde proximum tamquam seipsum.

3. Deinde non occidere,

4. non adulterare,

5. non facere furtum,

6. non concupiscere,

7. non falsum testimonium dicere,

8. honorare omnes homines,

9. et quod sibi quis fieri non vult, alio ne faciat.

10. Abnegare semetipsum sibi ut sequatur

Christum.

11. Corpus castigare,

12. delicias non amplecti,

13. ieiunium amare.

14. Pauperes recreare,

15. nudum vestire,

16. infirmum visitare,

17. mortuum sepelire.

18. In tribulatione subvenire,

19. dolentem consolari.

20. Saeculi actibus se facere alienum,
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IV - Gli strumenti delle buone

opere

1. Prima di tutto amare il Signore Dio con tutto il

cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze;

2. poi il prossimo come se stesso.

3. Quindi non uccidere,

4. non commettere adulterio,

5. non rubare,

6. non avere desideri illeciti,

7. non mentire;

8. onorare tutti gli uomini,
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21. nihil amori Christi praeponere.

22. Iram non perficere,

23. iracundiae tempus non reservare.

24. Dolum in corde non tenere,

25. pacem falsam non dare.

26. Caritatem non derelinquere.

27. Non iurare ne forte periuret,

28. veritatem ex corde et ore proferre.

29. Malum pro malo non reddere.

30. Iniuriam non facere, sed et factas patienter

sufferre.

31. Inimicos diligere.

32. Maledicentes se non remaledicere, sed magis

benedicere.

33. Persecutionem pro iustitia sustinere.

34. Non esse superbum,

35. non vinolentum,

36. non multum edacem,

37. non somnulentum,

38. non pigrum,

39. non murmuriosum,

40. non detractorem.

41. Spem suam Deo committere.

42. Bonum aliquid in se cum viderit, Deo applicet,

non sibi;

43. malum vero semper a se factum sciat et sibi

reputet.

44. Diem iudicii timere,

45. gehennam expavescere,

46. vitam aeternam omni concupiscentia spiritali

desiderare,

47. mortem cotidie ante oculos suspectam habere.

48. Actus vitae suae omni hora custodire,

49. in omni loco Deum se respicere pro certo scire.

50. Cogitationes malas cordi suo advenientes mox

ad Christum allidere et seniori spiritali

patefacere,

51. os suum a malo vel pravo eloquio custodire,

52. multum loqui non amare,

53. verba vana aut risui apta non loqui,

54. risum multum aut excussum non amare.

55. Lectiones sanctas libenter audire,

56. orationi frequenter incumbere,

57. mala sua praeterita cum lacrimis vel gemitu

cotidie in oratione Deo confiteri,

58. de ipsis malis de cetero emendare.

59. Desideria carnis non efficere,

60. voluntatem propriam odire,

61. praeceptis abbatis in omnibus oboedire, etiam

si ipse aliter-- quod absit-- agat, memores illud
dominicum praeceptum: Quae dicunt facite,



quae autem faciunt facere nolite.

62. Non velle dici sanctum antequam sit, sed prius

esse quod verius dicatur.

9. e non fare agli altri ciò che non vorremmo

fosse fatto a noi.

10. Rinnegare completamente se stesso. per

seguire Cristo;

11. mortificare il proprio corpo,

12. non cercare le comodità,

13. amare il digiuno.

14. Soccorrere i poveri,

15. vestire gli ignudi,

16. visitare gli infermi,

17. seppellire i morti ;

18. alleviare tutte le sofferenze,

19. consolare quelli che sono nell'afflizione.

20. Rendersi estraneo alla mentalità del mondo;

21. non anteporre nulla all'amore di Cristo.

22. Non dare sfogo all'ira,

23. non serbare rancore,

24. non covare inganni nel cuore,

25. non dare un falso saluto di pace,

26. non abbandonare la carità.

27. Non giurare per evitare spergiuri,

28. dire la verità con il cuore e con la bocca,

29. non rendere male per male,

30. non fare torti a nessuno, ma sopportare

pazientemente quelli che vengono fatti a noi;

31. amare i nemici,

32. non ricambiare le ingiurie e le calunnie, ma

piuttosto rispondere con la benevolenza verso i

nostri offensori,

33. sopportare persecuzioni per la giustizia.

34. Non essere superbo,

35. non dedito al vino,

36. né vorace,

37. non dormiglione,

38. né pigro;

39. non mormoratore,

40. né maldicente.

41. Riporre in Dio la propria speranza,

42. attribuire a Lui e non a sé quanto di buono

scopriamo in noi,

43. ma essere consapevoli che il male viene da noi

e accettarne la responsabilità.

44. Temere il giorno del giudizio,

45. tremare al pensiero dell'inferno,

46. anelare con tutta l'anima alla vita eterna,

47. prospettarsi sempre la possibilità della morte.

48. Vigilare continuamente sulle proprie azioni,

49. essere convinti che Dio ci guarda dovunque.

50. Spezzare subito in Cristo tutti i cattivi pensieri

che ci sorgono in cuore e manifestarli al padre

spirituale.

51. Guardarsi dai discorsi cattivi o sconvenienti,

52. non amare di parlar molto,

53. non dire parole leggere o ridicole,

54. non ridere spesso e smodatamente.

55. Ascoltare volentieri la lettura della parola di

Dio,
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63. Praecepta Dei factis cotidie adimplere,

64. castitatem amare,

65. nullum odire,

66. zelum non habere,

67. invidiam non exercere,

68. contentionem non amare,

69. elationem fugere.

70. Et seniores venerare,

71. iuniores diligere.

72. In Christi amore pro inimicis orare;

73. cum discordante ante solis occasum in pacem

redire.

74. Et de Dei misericordia numquam desperare.

75. Ecce haec sunt instrumenta artis spiritalis.

76. Quae cum fuerint a nobis die noctuque

incessabiliter adimpleta et in die iudicii

reconsignata, illa merces nobis a Domino

recompensabitur quam ipse promisit.
77. Quod oculus non vidit nec auris audivit, quae



praeparauit Deus his qui diligunt illum.

78. Officina vero ubi haec omnia diligenter

operemur claustra sunt monasterii et stabilitas

in congregatione.

56. dedicarsi con frequenza alla preghiera;

57. in questa confessare ogni giorno a Dio con

profondo dolore le colpe passate

58. e cercare di emendarsene per l'avvenire.

59. Non appagare i desideri della natura corrotta,

60. odiare la volontà propria,

61. obbedire in tutto agli ordini dell'abate, anche se

- Dio non voglia! - questi agisse diversamente

da come parla, ricordando quel precetto del

Signore:" Fate quello che dicono, ma non fate

quello che fanno".

62. Non voler esser detto santo prima di esserlo,

ma diventare veramente tale, in modo che poi

si possa dirlo con più fondamento.

63. Adempiere quotidianamente i comandamenti di

Dio.

64. Amare la castità,

65. non odiare nessuno,

66. non essere geloso,

67. non coltivare l'invidia,

68. non amare le contese,

69. fuggire l'alterigia

70. e rispettare gli anziani,

71. amare i giovani,

72. pregare per i nemici nell'amore di Cristo,

73. nell'eventualità di un contrasto con un fratello,

stabilire la pace prima del tramonto del sole.

74. E non disperare mai della misericordia di Dio.

75. Ecco, questi sono gli strumenti dell'arte

spirituale!

76. Se li adopereremo incessantemente di giorno e

di notte e li riconsegneremo nel giorno del

giudizio, otterremo dal Signore la ricompensa

promessa da lui stesso:

77. "Né occhio ha mai visto, né orecchio ha udito,

né mente d'uomo ha potuto concepire ciò che

Dio ha preparato a coloro che lo amano".

78. L'officina poi in cui bisogna usare con la

massima diligenza questi strumenti è formata

dai chiostri del monastero e dalla stabilità nella
propria famiglia monastica.



V - De oboedientia

1. Primus humilitatis gradus est oboedientia sine

mora.

2. Haec convenit his qui nihil sibi a Christo carius

aliquid existimant.

3. Propter servitium sanctum quod professi sunt

seu propter metum gehennae vel gloriam vitae

aeternae,

4. mox aliquid imperatum a maiore fuerit, ac si

divinitus imperetur moram pati nesciant in

faciendo.
5. De quibus Dominus dicit: Obauditu auris



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oboedivit mihi.

6. Et item dicit doctoribus: Qui vos audit me



audit.

7. Ergo hii tales, relinquentes statim quae sua sunt

et voluntatem propriam deserentes,

8. mox exoccupatis manibus et quod agebant

imperfectum relinquentes, vicino oboedientiae

pede iubentis vocem factis sequuntur,

9. et veluti uno momento praedicta magistri iussio

et perfecta discipuli opera, in velocitate timoris

Dei, ambae res communiter citius explicantur.

10. Quibus ad vitam aeternam gradiendi amor

incumbit,

11. ideo angustam viam arripiunt-- unde Dominus
dicit: Angusta via est quae ducit ad vitam,


12. ut non suo arbitrio viventes vel desideriis suis

et voluptatibus oboedientes, sed ambulantes

alieno iudicio et imperio, in coenobiis degentes

abbatem sibi praeesse desiderant.

13. Sine dubio hi tales illam Domini imitantur
sententiam qua dicit: Non veni facere



voluntatem meam, sed eius qui misit me.

14. Sed haec ipsa oboedientia tunc acceptabilis erit

Deo et dulcis hominibus, si quod iubetur non

trepide, non tarde, non tepide, aut cum

murmurio vel cum responso nolentis efficiatur,

15. quia oboedientia quae maioribus praebetur Deo
exhibetur; ipse enim dixit: Qui vos audit me



audit.

16. Et cum bono animo a discipulis praeberi
oportet, quia hilarem datorem diligit Deus.


17. Nam, cum malo animo si oboedit discipulus et

non solum ore sed etiam in corde si

murmuraverit,

18. etiam si impleat iussionem, tamen acceptum

iam non erit Deo qui cor eius respicit

murmurantem,

19. et pro tali facto nullam consequitur gratiam;

immo poenam murmurantium incurrit, si non

cum satisfactione emendaverit.
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V - L'obbedienza

1. Il segno più evidente dell'umiltà è la prontezza

nell'obbedienza.

2. Questa è caratteristica dei monaci che non

hanno niente più caro di Cristo

3. e, a motivo del servizio santo a cui si sono

consacrati o anche per il timore dell'inferno e

in vista della gloria eterna,

4. appena ricevono un ordine dal superiore non si

concedono dilazioni nella sua esecuzione,

come se esso venisse direttamente da Dio.

5. E' di loro che il Signore dice: " Appena hai

udito, mi hai obbedito"

6. mentre rivolgendosi ai superiori dichiara: "Chi

ascolta voi, ascolta me".

7. Quindi, questi monaci, che si distaccano subito

dalle loro preferenze e rinunciano alla propria

volontà,

8. si liberano all'istante dalle loro occupazioni,

lasciandole a mezzo, e si precipitano a

obbedire, in modo che alla parola del superiore

seguano immediatamente i fatti.

9. Quasi allo stesso istante, il comando del

maestro e la perfetta esecuzione del discepolo

si compiono di comune accordo con quella

velocità che è frutto del timor di Dio:

10. così in coloro che sono sospinti dal desiderio di

raggiungere la vita eterna.

11. Essi si slanciano dunque per la via stretta della

quale il Signore dice: "Angusta è la via che

conduce alla vita";

12. perciò non vivono secondo il proprio capriccio

né seguono le loro passioni e i loro gusti, ma

procedono secondo il giudizio e il comando

altrui; rimangono nel monastero e desiderano

essere sottoposti a un abate.

13. Senza dubbio costoro prendono a esempio

quella sentenza del Signore che dice: "Non

sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di
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colui che mi ha mandato".

14. Ma questa obbedienza sarà accetta a Dio e

gradevole agli uomini, se il comando ricevuto

verrà eseguito senza esitazione, lentezza o

tiepidezza e tantomeno con mormorazioni o

proteste,

15. perché l'obbedienza che si presta agli uomini è

resa a Dio, come ha detto lui stesso: "Chi

ascolta voi, ascolta me".

16. I monaci dunque devono obbedire con slancio

e generosità, perché "Dio ama chi dà

lietamente".

17. Se infatti un fratello obbedisce malvolentieri e

mormora, non dico con la bocca, ma anche

solo con il cuore,

18. pur eseguendo il comando, non compie un atto

gradito a Dio, il quale scorge 1a mormorazione

nell'intimo della sua coscienza;

19. quindi, con questo comportamento, egli non si

acquista alcun merito, anzi, se non ripara e si

corregge, incorre nel castigo comminato ai

mormoratori.
VI - De taciturnitate

1. Faciamus quod ait propheta: Dixi: Custodiam



vias meas, ut non delinquam in lingua mea.

Posui ori meo custodiam. Obmutui et

humiliatus sum et silui a bonis.

2. Hic ostendit propheta, si a bonis eloquiis

interdum propter taciturnitatem debet taceri,

quanto magis a malis verbis propter poenam

peccati debet cessari.

3. Ergo, quamvis de bonis et sanctis et

aedificationum eloquiis, perfectis discipulis

propter taciturnitatis gravitatem rara loquendi

concedatur licentia,
4. quia scriptum est: In multiloquio non effugies



peccatum,

5. et alibi: Mors et vita in manibus linguae.


6. Nam loqui et docere magistrum condecet,

tacere et audire discipulum convenit.

7. Et ideo, si qua requirenda sunt a priore, cum

omni humilitate et subiectione reverentiae

requirantur.

8. Scurrilitates vero vel verba otiosa et risum

moventia aeterna clausura in omnibus locis

damnamus et ad talia eloquia discipulum

aperire os non permittimus.
VI - L'amore del silenzio

1. Facciamo come dice il profeta: "Ho detto:

Custodirò le mie vie per non peccare con la

lingua; ho posto un freno sulla mia bocca, non

ho parlato, mi sono umiliato e ho taciuto anche

su cose buone".

2. Se con queste parole egli dimostra che per

amore del silenzio bisogna rinunciare anche ai

discorsi buoni, quanto più è necessario troncare

quelli sconvenienti in vista della pena riserbata

al peccato!

3. Dunque l'importanza del silenzio è tale che

persino ai discepoli perfetti bisogna concedere

raramente il permesso di parlare, sia pure di

argomenti buoni, santi ed edificanti, perché sta

scritto:

4. "Nelle molte parole non eviterai il peccato"

5. e altrove: "Morte e vita sono in potere della

lingua".

6. Se infatti parlare e insegnare é compito del

maestro, il dovere del discepolo è di tacere e

ascoltare.

7. Quindi, se bisogna chiedere qualcosa al

superiore, lo si faccia con grande umiltà e

rispettosa sottomissione.

8. Escludiamo poi sempre e dovunque la

trivialità, le frivolezze e le buffonerie e non

permettiamo assolutamente che il monaco apra

la bocca per discorsi di questo genere.
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VII - De humilitate

1. Clamat nobis scriptura divina, fratres, dicens:
Omnis qui se exaltat humiliabitur et qui se



humiliat exaltabitur.

2. Cum haec ergo dicit, ostendit nobis omnem

exaltationem genus esse superbiae.

3. Quod se cavere propheta indicat dicens:
Domine, non est exaltatum cor meum neque

elati sunt oculi mei, neque ambulavi in magnis

neque in mirabilibus super me.

4. Sed quid si non humiliter sentiebam, si exaltavi



animam meam?-- sicut ablactatum super

matrem suam, ita retribues in animam meam.

5. Unde, fratres, si summae humilitatis volumus

culmen attingere et ad exaltationem illam

caelestem ad quam per praesentis vitae

humilitatem ascenditur volumus velociter

pervenire,

6. actibus nostris ascendentibus scala illa

erigenda est quae in somnio lacob apparuit, per

quam ei descendentes et ascendentes angeli

monstrabantur.

7. Non aliud sine dubio descensus ille et ascensus

a nobis intellegitur nisi exaltatione descendere

et humilitate ascendere.

8. Scala vero ipsa erecta nostra est vita in saeculo,

quae humiliato corde a Domino erigatur ad

caelum.

9. Latera enim eius scalae dicimus nostrum esse

corpus et animam, in qua latera diversos gradus

humilitatis vel disciplinae evocatio divina

ascendendo inseruit.

10. Primus itaque humilitatis gradus est si,

timorem Dei sibi ante oculos semper ponens,

oblivionem omnino fugiat

11. et semper sit memor omnia quae praecepit

Deus, ut qualiter et contemnentes Deum

gehenna de peccatis incendat et vita aeterna

quae timentibus Deum praeparata est animo

suo semper evolvat.

12. Et custodiens se omni hora a peccatis et vitiis,

id est cogitationum, linguae, manuum, pedum

vel voluntatis propriae sed et desideria carnis,

13. aestimet se homo de caelis a Deo semper

respici omni hora et facta sua omni loco ab

aspectu divinitatis videri et ab angelis omni

hora renuntiari.

14. Demonstrans nobis hoc propheta, cum in

cogitationibus nostris ita Deum semper
praesentem ostendit dicens: Scrutans corda et



renes Deus;

15. et item: Dominus nouit cogitationes hominum;

16. et item dicit: Intellexisti cogitationes meas a



VII - L'umiltà

1. La sacra Scrittura si rivolge a noi, fratelli,

proclamando a gran voce: "Chiunque si esalta

sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato".

2. Così dicendo, ci fa intendere che ogni

esaltazione è una forma di superbia,

3. dalla quale il profeta mostra di volersi guardare

quando dice: "Signore, non si è esaltato il mio

cuore, né si è innalzato il mio sguardo, non

sono andato dietro a cose troppo grandi o

troppo alte per me".

4. E allora? "Se non ho nutrito sentimenti di

umiltà, se il mio cuore si è insuperbito, tu mi

tratterai come un bimbo svezzato dalla propria

madre".

5. Quindi, fratelli miei, se vogliamo raggiungere

la vetta più eccelsa dell'umiltà e arrivare

rapidamente a quella glorificazione celeste, a

cui si ascende attraverso l'umiliazione della

vita presente,

6. bisogna che con il nostro esercizio ascetico

innalziamo la scala che apparve in sogno a

Giacobbe e lungo la quale questi vide scendere

e salire gli angeli.

7. Non c'è dubbio che per noi quella discesa e

quella salita possono essere interpretate solo

nel senso che con la superbia si scende e con

l'umiltà si sale.

8. La scala così eretta, poi, è la nostra vita terrena

che, se il cuore è umile, Dio solleva fino al

cielo;

9. noi riteniamo infatti che i due lati della scala

siano il corpo e l'anima nostra, nei quali la

divina chiamata ha inserito i diversi gradi di

umiltà o di esercizio ascetico per cui bisogna

salire.

10. Dunque il primo grado dell'umiltà è quello in

cui, rimanendo sempre nel santo timor di Dio,

si fugge decisamente la leggerezza e la

dissipazione,

11. si tengono costantemente presenti i divini

comandamenti e si pensa di continuo

all'inferno, in cui gli empi sono puniti per i loro

peccati, e alla vita eterna preparata invece per i

giusti.

12. In altre parole, mentre si astiene costantemente

dai peccati e dai vizi dei pensieri, della lingua,

delle mani, dei piedi e della volontà propria,

come pure dai desideri della carne,

13. l'uomo deve prendere coscienza che Dio lo

osserva a ogni istante dal cielo e che, dovunque

egli si trovi, le sue azioni non sfuggono mai

allo sguardo divino e sono di continuo riferite

dagli angeli.

14. E' ciò che ci insegna il profeta, quando mostra

Dio talmente presente ai nostri pensieri da
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longe;

17. et: Quia cogitatio hominis confitebitur tibi.


18. Nam ut sollicitus sit circa cogitationes suas

perversas, dicat semper utilis frater in corde
suo: Tunc ero immaculatus coram eo si



observavero me ab iniquitate mea.

19. Voluntatem vero propriam ita facere
prohibemur cum dicit scriptura nobis: Et a



voluntatibus tuis avertere.

20. Et item rogamus Deum in oratione ut fiat illius

voluntas in nobis.

21. Docemur ergo merito nostram non facere

voluntatem cum cavemus illud quod dicit
sancta scriptura: Sunt viae quae putantur ab



hominibus rectae, quarum finis usque ad

profundum inferni demergit,

22. et cum item pavemus illud quod de
neglegentibus dictum est: Corrupti sunt et



abominabiles facti sunt in voluntatibus suis.

23. In desideriis vero carnis ita nobis Deum

credamus semper esse praesentem cum dicit
propheta Domino: Ante te est omne desiderium



meum.

24. Cavendum ergo ideo malum desiderium quia

mors secus introitum delectationis posita est.
25. Unde scriptura praecepit dicens: Post



concupiscentias tuas non eas.

26. Ergo si oculi Domini speculantur bonos et



malos

27. et Dominus de caelo semper respicit super



filios hominum, ut videat si est intellegens aut

requirens Deum,

28. et si ab angelis nobis deputatis cotidie die

noctuque Domino factorum nostrorum opera

nuntiantur,

29. cavendum est ergo omni hora, fratres, sicut
dicit in psalmo propheta, ne nos declinantes in

malo et inutiles factos aliqua hora aspiciat


Deus

30. et, parcendo nobis in hoc tempore quia pius est

et exspectat nos converti in melius, ne dicat
nobis in futuro: Haec fecisti et tacui.


31. Secundus humilitatis gradus est si propriam

quis non amans voluntatem desideria sua non

delectetur implere,

32. sed vocem illam Domini factis imitetur
dicentis: Non veni facere voluntatem meam,



sed eius qui me misit.

33. Item dicit scriptura: Voluntas habet poenam et

necessitas parit coronam.

34. Tertius humilitatis gradus est ut quis pro Dei

affermare: "Dio scruta le reni e i cuori"

15. come pure: "Dio conosce i pensieri degli

uomini".

16. Poi aggiunge: "Hai intuito di lontano i miei

pensieri"

17. e infine: "Il pensiero dell'uomo sarà svelato

dinanzi a te".

18. Quindi, per potersi coscienziosamente guardare

dai cattivi pensieri, bisogna che il monaco

vigile e fedele ripeta sempre tra sé: "Sarò senza

macchia dinanzi a lui, solo se mi guarderò da

ogni malizia".

19. Ci è poi vietato di fare la volontà propria, dato

che la Scrittura ci dice: "Allontanati dalle tue

voglie"

20. e per di più nel Pater chiediamo a Dio che in

noi si compia la sua volontà.

21. Perciò ci viene giustamente insegnato di non

fare la nostra volontà, evitando tutto quello di

cui la Scrittura dice: "Ci sono vie che agli

uomini sembrano diritte, ma che si

sprofondano negli abissi dell'inferno"

22. e anche nel timore di quanto è stato affermato

riguardo ai negligenti: "Si sono corrotti e sono

divenuti spregevoli nella loro dissolutezza".

23. Quanto poi alle passioni della nostra natura

decaduta, bisogna credere ugualmente che Dio

è sempre presente, secondo il detto del profeta:

"Ogni mio desiderio sta davanti a te".

24. Dobbiamo quindi guardarci dalle passioni

malsane, perché la morte è annidata sulla

soglia del piacere.

25. Per questa ragione la Scrittura prescrive: "Non

seguire le tue voglie".

26. Se dunque "gli occhi di Dio scrutano i buoni e i

cattivi"

27. e se "il Signore esamina attentamente i figli

degli uomini per vedere se vi sia chi abbia

intelletto e cerchi Dio",

28. se a ogni momento del giorno e della notte le

nostre azioni vengono riferite al Signore dai

nostri angeli custodi,

29. bisogna, fratelli miei, che stiamo sempre in

guardia per evitare che un giorno Dio ci veda

perduti dietro il male e isteriliti, come dice il

profeta nel salmo e,

30. pur risparmiandoci per il momento, perché è

misericordioso e aspetta la nostra conversione,

debba dirci in avvenire: "Hai fatto questo e ho

taciuto".

31. Il secondo grado dell'umiltà è quello in cui,

non amando la propria volontà, non si trova

alcun piacere nella soddisfazione dei propri

desideri,

32. ma si imita il Signore, mettendo in pratica

quella sua parola, che dice: "Non sono venuto a

fare la mia volontà, ma quella di colui che mi
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amore omni oboedientia se subdat maiori,

imitans Dominum, de quo dicit apostolus:
Factus oboediens usque ad mortem.

35. Quartus humilitatis gradus est si, in ipsa

oboedientia duris et contrariis rebus vel etiam

quibuslibet irrogatis iniuriis, tacite conscientia

patientiam amplectatur

36. et sustinens non lassescat vel discedat, dicente
scriptura: Qui perseveraverit usque in finem,



hic salvus erit;

37. item: Confortetur cor tuum et sustine Dominum


38. Et ostendens fidelem pro Domino universa

etiam contraria sustinere debere, dicit ex
persona sufferentium: Propter te morte



afficimur tota die, aestimati sumus ut oves

occisionis.

39. Et securi de spe retributionis divinae
subsequuntur gaudentes et dicentes: Sed in his



omnibus superamus propter eum qui dilexit

nos.

40. Et item alio loco scriptura: Probasti nos, Deus,



igne nos examinasti sicut igne examinatur

argentum; induxisti nos in laqueum; posuisti

tribulationes in dorso nostro.

41. Et ut ostendat sub priore debere nos esse,
subsequitur dicens: Imposuisti homines super



capita nostra.

42. Sed et praeceptum Domini in adversis et

iniuriis per patientiam adimplentes, qui

percussi in maxillam praebent et aliam,

auferenti tunicam dimittunt et pallium,

angariati miliario vadunt duo,

43. cum Paulo Apostolo falsos fratres sustinent et

persecutionem sustinent et maledicentes se

benedicent.

44. Quintus humilitatis gradus est si omnes

cogitationes malas cordi suo advenientes vel

mala a se absconse commissa per humilem

confessionem abbatem non celaverit suum.
45. Hortans nos de hac re scriptura dicens: Revela



ad Dominum viam tuam et spera in eum.

46. Et item dicit: Confitemini Domino quoniam



bonus, quoniam in saeculum misericordia eius.

47. Et item propheta: Delictum meum cognitum tibi



feci et iniustitias meas non operui.

48. Dixi: Pronuntiabo adversum me iniustias meas

Domino, et tu remisisti impietatem cordis mei.

49. Sextus humilitatis gradus est si omni vilitate

vel extremitate contentus sit monachus, et ad

ha mandato".

33. Cosa" pure un antico testo afferma: "La

volontà propria procura la pena, mentre la

sottomissione conquista il premio".

34. Terzo grado dell'umiltà è quello in cui il

monaco per amore di Dio si sottomette al

superiore in assoluta obbedienza, a imitazione

del Signore, del quale l'Apostolo dice: "Fatto

obbediente fino alla morte".

35. Il quarto grado dell'umiltà è quello del monaco

che, pur incontrando difficoltà, contrarietà e

persino offese non provocate nell'esercizio

dell'obbedienza, accetta in silenzio e

volontariamente la sofferenza

36. e sopporta tutto con pazienza, senza stancarsi

né cedere secondo il monito della Scrittura: "

Chi avrà sopportato sino alla fine questi sarà

salvato".

37. E ancora: "Sia forte il tuo cuore e spera nel

Signore".

38. E per dimostrare come il servo fedele deve

sostenere per il Signore tutte le possibili

contrarietà, esclama per bocca di quelli che

patiscono: "Ogni giorno per te siamo messi a

morte, siamo trattati come pecore da macello".

39. Ma con la sicurezza che nasce dalla speranza

della divina retribuzione, costoro soggiungono

lietamente: "E di tutte queste cose trionfiamo

in pieno, grazie a colui che ci ha amato",

40. mentre altrove la Scrittura dice: "Ci hai

provato, Signore, ci hai saggiato come si

saggia l'argento col fuoco; ci hai fatto cadere

nella rete, ci hai caricato di tribolazioni".

41. E per indicare che dobbiamo assoggettarci a un

superiore, prosegue esclamando: "Hai posto

degli uomini sopra il nostro capo".

42. Quei monaci, però, adempiono il precetto del

Signore, esercitando la pazienza anche nelle

avversità e nelle umiliazioni, e, percossi su una

guancia, presentano l'altra, cedono anche il

mantello a chi strappa loro di dosso la tunica,

quando sono costretti a fare un miglio di

cammino ne percorrono due,

43. come l'Apostolo Paolo sopportano i falsi

fratelli e ricambiano con parole le offese e le

ingiurie.

44. Il quinto grado dell'umiltà consiste nel

manifestare con un'umile confessione al

proprio abate tutti i cattivi pensieri che sorgono

nell'animo o le colpe commesse in segreto,

45. secondo l'esortazione della Scrittura, che dice:

"Manifesta al Signore la tua via e spera in lui".

46. E anche: "Aprite l'animo vostro al Signore,

perché è buono ed eterna è la sua

misericordia",

47. mentre il profeta esclama: "Ti ho reso noto il

mio peccato e non ho nascosto la mia colpa.
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omnia quae sibi iniunguntur velut operarium

malum se iudicet et indignum
50. dicens sibi cum propheta: Ad nihilum redactus



sum et nescivi, ut iumentum factus sum apud te

et ego semper tecum.

51. Septimus humilitatis gradus est si omnibus se

inferiorem et viliorem non solum sua lingua

pronuntiet, sed etiam intimo cordis credat

affectu,
52. humilians se et dicens cum propheta: Ego



autem sum uermis et non homo, opprobrium

hominum et abiectio plebis.

53. Exaltatus sum et humiliatus et confusus.

54. Et item: Bonum mihi quod humiliasti me, ut



discam mandata tua.

55. Octavus humilitatis gradus est si nihil agat

monachus, nisi quod communis monasterii

regula vel maiorum cohortantur exempla.

56. Nonus humilitatis gradus est si linguam ad

loquendum prohibeat monachus et,

taciturnitatem habens, usque ad

interrogationem non loquatur,
57. monstrante scriptura quia in multiloquio non



effugitur peccatum,

58. et quia vir linguosus non dirigitur super



terram.

59. Decimus humilitatis gradus est si non sit facilis
ac promptus in risu, quia scriptum est: Stultus



in risu exaltat vocem suam.

60. Undecimus humilitatis gradus est si, cum

loquitur monachus, leniter et sine risu,

humiliter cum gravitate vel pauca verba et

rationabilia loquatur, et non sit clamosus in

voce,

61. sicut scriptum est: Sapiens verbis innotescit

paucis.

62. Duodecimus humilitatis gradus est si non

solum corde monachus sed etiam ipso corpore

humilitatem videntibus se semper indicet,

63. id est in Opere Dei, in oratorio, in monasterio,

in horto, in via, in agro vel ubicumque sedens,

ambulans vel stans, inclinato sit semper capite,

defixis in terram aspectibus,

64. reum se omni hora de peccatis suis aestimans

iam se tremendo iudicio repraesentari aestimet,

65. dicens sibi in corde semper illud quod

publicanus ille evangelicus fixis in terram
oculis dixit: Domine, non sum dignus, ego

peccator, levare oculos meos ad caelos.

66. Et item cum Propheta: Incurvatus sum et



humiliatus sum usquequaque.

67. Ergo, his omnibus humilitatis gradibus

ascensis, monachus mox ad caritatem Dei
perveniet illam quae perfecta foris mittit


48. Ho detto: "confesserò le mie iniquità dinanzi al

Signore" e "tu hai perdonato la malizia del mio

cuore".

49. Il sesto grado dell'umiltà è quello in cui il

monaco si contenta delle cose più misere e

grossolane e si considera un operaio incapace e

indegno nei riguardi di tutto quello che gli

impone l'obbedienza,

50. ripetendo a se stesso con il profeta: "Sono

ridotto a nulla e nulla so; eccomi dinanzi a te

come una bestia da soma, ma sono sempre con

te".

51. Il settimo grado dell'umiltà consiste non solo

nel qualificarsi come il più miserabile di tutti,

ma nell'esserne convinto dal profondo del

cuore,

52. umiliandosi e dicendo con il profeta: "Ora io

sono un verme e non un uomo, l'obbrobrio

degli uomini e il rifiuto della plebe";

53. "Mi sono esaltato e quindi umiliato e confuso"

54. e ancora: "Buon per me che fui umiliato,

perché imparassi la tua legge".

55. L'ottavo grado dell'umiltà è quello in cui il

monaco non fa nulla al di fuori di ciò a cui lo

sprona la regola comune del monastero e

l'esempio dei superiori e degli anziani.

56. Il nono grado dell'umiltà è proprio del monaco

che sa dominare la lingua e, osservando

fedelmente il silenzio, tace finché non è

interrogato,

57. perché la Scrittura insegna che "nelle molte

parole non manca il peccato"

58. e che "l'uomo dalle molte chiacchiere va senza

direzione sulla terra".

59. Il decimo grado dell'umiltà è quello in cui il

monaco non è sempre pronto a ridere, perché

sta scritto: "Lo stolto nel ridere alza la voce".

60. L'undicesimo grado dell'umiltà è quello nel

quale il monaco, quando parla, si esprime

pacatamente e seriamente, con umiltà e gravità,

e pronuncia poche parole assennate, senza

alzare la voce,

61. come sta scritto: "Il saggio si riconosce per la

sobrietà nel parlare".

62. Il dodicesimo grado, infine, è quello del

monaco, la cui umiltà non è puramente

interiore, ma traspare di fronte a chiunque lo

osservi da tutto il suo atteggiamento esteriore,

63. in quanto durante l'Ufficio divino, in coro, nel

monastero, nell'orto, per via, nei campi,

dovunque, sia che sieda, cammini o stia in

piedi, tiene costantemente il capo chino e gli

occhi bassi;

64. e, considerandosi sempre reo per i propri

peccati, si vede già dinanzi al tremendo

giudizio di Dio,

65. ripetendo continuamente in cuor suo ciò che
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timorem,

68. per quam universa quae prius non sine

formidine observabat absque ullo labore velut

naturaliter ex consuetudine incipiet custodire,

69. non iam timore gehennae, sed amore Christi et

consuetudine ipsa bona et delectatione

virtutum.

70. Quae Dominus iam in operarium suum

mundum a vitiis et peccatis Spiritu Sancto

dignabitur demonstrare.

disse, con gli occhi fissi a terra il pubblicano

del Vangelo: "Signore, io, povero peccatore,

non sono degno di alzare gli occhi al cielo".

66. E ancora con il profeta: "Mi sono sempre

curvato e umiliato".

67. Una volta ascesi tutti questi gradi dell'umiltà, il

monaco giungerà subito a quella carità, che

quando è perfetta, scaccia il timore;

68. per mezzo di essa comincerà allora a custodire

senza alcuno sforzo e quasi naturalmente,

grazie all'abitudine, tutto quello che prima

osservava con una certa paura;

69. in altre parole non più per timore dell'inferno,

ma per amore di Cristo, per la stessa buona

abitudine e per il gusto della virtù.

70. Sono questi i frutti che, per opera dello Spirito

Santo, il Signore si degnerà di rendere

manifesti nel suo servo, purificato ormai dai

vizi e dai peccati.
VIII - De officiis divinis in

noctibus

1. Hiemis tempore, id est a kalendas Novembres

usque in Pascha, iuxta considerationem

rationis, octava hora noctis surgendum est,

2. ut modice amplius de media nocte pausetur et

iam digesti surgant.

3. Quod vero restat post vigilias a fratribus qui

psalterii vel lectionum aliquid indigent

meditationi inserviatur.

4. A Pascha autem usque ad supradictas

Novembres, sic temperetur hora ut vigiliarum

agenda parvissimo intervallo, quo fratres ad

necessaria naturae exeant, mox matutini, qui

incipiente luce agendi sunt, subsequantur.
VIII - L'Ufficio divino nella notte

1. Durante la stagione invernale, cioè dal

principio di novembre sino a Pasqua, secondo

un calcolo ragionevole, la sveglia sia verso le

due del mattino,

2. in modo che il sonno si prolunghi un po' oltre

la mezzanotte e tutti si possano alzare

sufficientemente riposati.

3. Il tempo che rimane dopo l'Ufficio vigilare

venga impiegato dai monaci, che ne hanno

bisogno, nello studio del salterio o delle

lezioni.

4. Da Pasqua, invece, sino al suddetto inizio di

novembre, l'orario venga disposto in modo tale

che, dopo un brevissimo intervallo nel quale i

fratelli possono uscire per le necessità della

natura, l'Ufficio vigiliare sia seguito

immediatamente dalle Lodi, che devono essere

recitate al primo albeggiare.
IX - Quanti psalmi dicendi sunt

nocturnis horis

1. Hiemis tempore suprascripto, in primis versu
tertio dicendum: Domine, labia mea aperies, et



os meum adnuntiabit laudem tuam.

2. Cui subiungendus est tertius psalmus et gloria.

3. Post hunc, psalmum nonagesimum quartum

cum antiphona, aut certe decantandum.

4. Inde sequatur ambrosianum, deinde sex psalmi

cum antiphonas.

5. Quibus dictis, dicto versu, benedicat abbas et,
IX - I salmi dell'Ufficio notturno

1. Nel suddetto periodo invernale si dica prima di

tutto per tre volte il versetto: "Signore, apri le

mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua

lode",

2. a cui si aggiunga il salmo 3 con il Gloria;

3. dopo di questo il salmo 94 cantato con

l'antifona oppure lentamente.

4. Quindi segua l'inno e poi sei salmi con le

antifone,
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sedentibus omnibus in scamnis, legantur

vicissim a fratribus in codice super analogium

tres lectiones, inter quas et tria responsoria

cantentur:

6. duo responsoria sine gloria dicantur; post

tertiam vero lectionem, qui cantat dicat

gloriam.

7. Quam dum incipit cantor dicere, mox omnes de

sedilia sua surgant, ob honorem et reverentiam

sanctae Trinitatis.

8. Codices autem legantur in vigiliis divinae

auctoritatis, tam veteris testamenti quam novi,

sed et expositiones earum, quae a nominatis et

orthodoxis catholicis patribus factae sunt.

9. Post has vero tres lectiones cum responsoria

sua, sequantur reliqui sex psalmi, cum alleluia

canendi.

10. Post hos, lectio apostoli sequatur, ex corde

recitanda, et versus, et supplicatio litaniae, id

est Kyrie eleison.

11. Et sic finiantur vigiliae nocturnae.

5. finiti i quali e detto il versetto, l'abate dia la

benedizione e, mentre tutti stanno seduti ai

rispettivi posti, i fratelli leggano a turno dal

lezionario posto sul leggio tre lezioni,

intercalate da responsori cantati.

6. Due responsori si cantino senza il Gloria, ma

dopo la terza lezione il cantore lo intoni

7. e allora tutti subito si alzino in piedi per l'onore

e la riverenza dovuti alla Santa Trinità.

8. Quanto ai libri da leggere nell'Ufficio vigilare,

siano tutti di autorità divina, sia dell'antico che

del nuovo Testamento, compresi i relativi

commenti, scritti da padri di sicura fama e

genuina fede cattolica.

9. Dopo queste tre lezioni con i rispettivi

responsori, seguano gli altri sei salmi da

cantare con l'Alleluia

10. e dopo questi una lezione tratta dalle lettere di

S. Paolo, da recitarsi a memoria, il versetto, la

prece litanica, cioè il Kyrie eleison,

11. e così si metta fine all'Ufficio vigilare.
X - Qualiter aestatis tempore

agatur nocturna laus

1. A Pascha autem usque ad kalendas

Novembres, omnis ut supra dictum est

psalmodiae quantitas teneatur,

2. excepto quod lectiones in codice, propter

brevitatem noctium, minime legantur, sed pro

ipsis tribus lectionibus una de veteri

Testamento memoriter dicatur, quam brevis

responsorius subsequatur.

3. Et reliqua omnia ut dictum est impleantur, id

est ut numquam minus a duodecim psalmorum

quantitate ad vigilias nocturnas dicantur,

exceptis tertio et nonagesimo quarto psalmo.
X - L'Ufficio notturno dell'estate

1. Da Pasqua fino al principio di novembre si

mantenga lo stesso numero di salmi, che è stato

prescritto sopra;

2. eccetto che, a causa della brevità delle notti,

non si leggano le lezioni dal lezionario, ma,

invece di tre, se ne reciti a memoria una sola

dell'antico Testamento, seguita da un

responsorio breve;

3. tutto il resto si svolga, come è già stato

prescritto, cioè nell'Ufficio vigiliare non si

dicano mai meno di dodici salmi, senza contare

i salmi 3 e 94.
XI - Qualiter diebus dominicis

vigiliae agantur

1. Dominico die temperius surgatur ad vigilias.

2. In quibus vigiliis teneatur mensura, id est,

modulatis ut supra disposuimus sex psalmis et

versu, residentibus cunctis disposite et per

ordinem in subselliis, legantur in codice, ut

supra diximus, quattuor lectiones cum

responsoriis suis.

3. Ubi tantum in quarto responsorio dicatur a
XI - L'Ufficio notturno nelle

Domeniche

1. Per l'Ufficio vigilare della domenica ci si alzi

un po' prima.

2. Anche in questo caso si osservi un determinato

ordine, cioè, dopo aver cantato sei salmi come

abbiamo stabilito sopra ed essersi seduti tutti

ordinatamente ai propri posti, si leggano sul

lezionario quattro lezioni con i relativi

responsori, secondo quanto abbiamo già detto;

3. solo al quarto responsorio il cantore intoni il

Gloria e allora tutti si alzino subito in piedi con
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cantante gloria; quam dum incipit, mox omnes

cum reverentia surgant.

4. Post quibus lectionibus sequantur ex ordine alii

sex psalmi cum antiphonas sicut anteriores, et

versu.

5. Post quibus iterum legantur aliae quattuor

lectiones cum responsoriis suis, ordine quo

supra.

6. Post quibus dicantur tria cantica de

prophetarum, quas instituerit abbas; quae

cantica cum alleluia psallantur.

7. Dicto etiam versu et benedicente abbate,

legantur aliae quattuor lectiones de novo

testamento, ordine quo supra.

8. Post quartum autem responsorium incipiat
abbas hymnum " Te Deum laudamus ".


9. Quo perdicto, legat abbas lectionem de

Evangelia, cum honore et timore stantibus

omnibus.

10. Qua perlecta, respondeant omnes Amen, et
subsequatur mox abbas hymnum " Te decet

laus ", et data benedictione incipiant matutinos.


11. Qui ordo vigiliarum omni tempore tam aestatis

quam hiemis aequaliter in die dominico

teneatur.

12. Nisi forte -- quod absit -- tardius surgant:

aliquid de lectionibus breviandum est, aut

responsoriis.

13. Quod tamen omnino caveatur ne proveniat.

Quod si contigerit, digne inde satisfaciat Deo

in oratorio per cuius evenerit neglectum.

riverenza.

4. A queste lezioni seguano per ordine altri sei

salmi con le antifone come i precedenti e il

versetto.

5. Quindi si leggano di nuovo altre quattro lezioni

con i propri responsori, secondo le norme

precedenti.

6. Poi si recitino tre cantici, tratti dai libri dei

Profeti a scelta dell'abate, che si devono

cantare con l'Alleluia.

7. Detto quindi il versetto, con la benedizione

dell'abate si leggano altre quattro lezioni del

nuovo Testamento nel modo gi indicato.

8. Dopo il quarto responsorio l'abate intoni l'inno

" Te Deum laudamus ",

9. finito il quale lo stesso abate legga la lezione

dai Vangeli, mentre tutti stanno in piedi con la

massima reverenza.

10. Al termine di questa lettura tutti rispondano

Amen, poi l'abate prosegua immediatamente

con l'inno " Te decet laus " e, recitata la

preghiera di benedizione, si incomincino le

lodi.

11. Quest'ordine dell'Ufficio vigiliare della

domenica dev'essere mantenuto in ogni

stagione, tanto d'estate che d'inverno,

12. salvo il caso deprecabile in cui i monaci si

alzassero più tardi, nella quale circostanza

bisognerà abbreviare le lezioni e i responsori.

13. Si stia però bene attenti che ciò non avvenga;

ma se dovesse accadere, il responsabile di una

simile negligenza ne faccia in coro degna

riparazione a Dio.
XII - Quomodo matutinorum

sollemnitas agatur

1. In matutinis dominico die, in primis dicatur

sexagesimus sextus psalmus, sine antiphona, in

directum.

2. Post quem dicatur quinquagesimus cum

alleluia.

3. Post quem dicatur centesimus septimus

decimus et sexagesimus secundus.

4. Inde Benedictiones et Laudes, lectionem de

Apocalypsis unam ex corde, et responsorium,

ambrosianum, versum, canticum de Evangelia,

litaniam, et completum est.
XII - Le lodi

1. Alle Lodi della domenica, prima di tutto si dica

il salmo 66 tutto di seguito, senza antifona,

2. quindi il salmo 50 con l'Alleluia,

3. poi il 117 e il 62

4. quindi il cantico dei tre fanciulli nella fornace

(il Benedicite), i salmi di lode (148, 149, 150),

una lezione dell'Apocalisse a memoria, il

responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del

Vangelo (il Benedictus) e la prece litanica con

cui si finisce.
XIII - Privatis diebus qualiter

agantur matutini

XIII - Le lodi nei giorni feriali

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1. Diebus autem privatis, matutinorum

sollemnitas ita agatur,

2. id est, ut sexagesimus sextus psalmus dicatur

sine antiphona, subtrahendo modice, sicut

dominica, ut omnes occurrant ad

quinquagesimum, qui cum antiphona dicatur.

3. Post quem alii duo psalmi dicantur secundum

consuetudinem, id est:

4. secunda feria, quintum et tricesimum quintum;

5. tertia feria, quadragesimum secundum et

quinquagesimum sextum;

6. quarta feria, sexagesimum tertium et

sexagesimum quartum;

7. quinta feria, octogesimum septimum et

octogesimum nonum;

8. sexta feria, septuagesimum quintum et

nonagesimum primum;

9. sabbatorum autem, centesimum

quadragesimum secundum et canticum

Deuteronomium qui dividatur in duas glorias.

10. Nam ceteris diebus canticum unumquemque

die suo ex prophetis sicut psallit ecclesia

Romana dicantur.

11. Post haec sequantur laudes; deinde lectio una

apostoli memoriter recitanda, responsorium,

ambrosianum, versu, canticum de Evangelia,

litania et completum est.

12. Plane agenda matutina vel vespertina non

transeat aliquando, nisi in ultimo per ordinem

oratio dominica, omnibus audientibus, dicatur

a priore, propter scandalorum spinas quae oriri

solent,

13. ut conventi per ipsius orationis sponsionem qua
dicunt: Dimitte nobis sicut et nos dimittimus,


purgent se ab huiusmodi vitio.

14. Ceteris vero agendis, ultima pars eius orationis
dicatur, ut ab omnibus respondeatur: Sed libera



nos a malo.

1. Nei giorni feriali le Lodi si celebrino nel modo

seguente:

2. si dica il salmo 66 senza antifona, recitandolo

lentamente in modo che tutti possano essere

presenti per il salmo 50, che deve dirsi con

l'antifona.

3. Dopo di questi, si dicano altri due salmi

secondo la consuetudine e cioè

4. al lunedì i salmi 5 e 35,

5. al martedì il 42 e il 56,

6. al mercoledì il 63 e il 64,

7. al giovedì l'87 e l'89,

8. al venerdì il 75 e il 91

9. e al sabato il 142 con il cantico del

Deuteronomio, diviso in due parti dal Gloria.

10. In tutti gli altri giorni poi si dica il cantico

profetico proprio di quel giorno, secondo l'uso

della Chiesa romana.

11. Quindi seguano i salmi di lode, una breve

lezione dell'Apostolo a memoria, il

responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del

Vangelo, la prece litanica e così si termina.

12. Ma l'Ufficio delle Lodi e del Vespro non si

chiuda mai senza che, secondo l'uso stabilito,

alla fine, tra l'attenzione di tutti, il superiore

reciti il Pater per le offese alla carità fraterna

che avvengono di solito nella vita comune,

13. in modo che i presenti possano purificarsi da

queste colpe, grazie all'impegno preso con la

stessa preghiera nella quale dicono: "Rimetti a

noi, come anche noi rimettiamo".

14. Nelle altre Ore, invece, si dica ad alta voce

solo l'ultima parte del Pater, a cui tutti

rispondano: "Ma liberaci dal male".
XIV - In nataliciis Sanctorum

qualiter agantur Vigiliae

1. In sanctorum vero festivitatibus, vel omnibus

sollemnitatibus, sicut diximus dominico die

agendum, ita agatur,

2. excepto quod psalmi aut antiphonae vel

lectiones ad ipsum diem pertinentes dicantur;

modus autem suprascriptus teneatur.
XIV - L'Ufficio vigilare nelle

feste dei Santi

1. Nelle feste dei santi e in tutte le solennità si

proceda come abbiamo stabilito per la

domenica,

2. ad eccezione dei salmi, delle antifone e delle

lezioni, che saranno proprie di quel giorno; si

segua però l'ordine già fissato.
XV - Alleluia quibus temporibus

dicatur

XV - Quando si deve dire

l'Alleluia

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1. A sanctum Pascha usque Pentecosten, sine

intermissione dicatur alleluia, tam in psalmis

quam in responsoriis.

2. A Pentecosten autem usque caput

quadragesimae, omnibus noctibus, cum sex

posterioribus psalmis tantum ad nocturnos

dicatur.

3. Omni vero dominica extra quadragesima,

cantica, matutinos, prima, tertia, sexta nonaque

cum alleluia dicatur, vespera vero iam

antiphona.

4. Responsoria vero numquam dicantur cum

alleluia, nisi a Pascha usque Pentecosten.

1. L'Alleluia si dica sempre dalla santa Pasqua

fino a Pentecoste, tanto nei salmi che nei

responsori;

2. da Pentecoste poi sino al principio della

Quaresima lo si dica soltanto negli ultimi sei

salmi dell'Ufficio notturno

3. Ma in tutte le domeniche che cadano fuori del

tempo quaresimale i cantici, le Lodi, Prima,

Terza, Sesta e Nona si dicano con l'Alleluia,

mentre il Vespro avrà le antifone proprie.

4. I responsori, invece, non si dicano mai con

l'Alleluia, se non da Pasqua a Pentecoste.
XVI - Qualiter divina Opera per

diem agantur

1. Ut ait propheta: septies in die laudem dixi tibi.


2. Qui septenarius sacratus numerus a nobis sic

implebitur, si matutino, primae, tertiae, sextae,

nonae, vesperae completoriique tempore

nostrae servitutis officia persolvamus,
3. quia de his diurnis horis dixit: Septies in die



laudem dixi tibi.

4. Nam de nocturnis vigiliis idem ipse propheta
ait: Media nocte surgebam ad confitendum tibi.


5. Ergo his temporibus referamus laudes Creatori
nostro super iudicia iustitiae suae, id est


matutinis, prima, tertia, sexta, nona, vespera,

completorios, et nocte surgamus ad

confitendum ei.
XVI - La celebrazione dei divini

Offici durante il giorno

1. "Sette volte al giorno ti ho lodato", dice il

profeta.

2. Questo sacro numero di sette sarà adempiuto

da noi, se assolveremo i doveri del nostro

servizio alle Lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a

Nona, a Vespro e Compieta,

3. perché proprio di queste ore diurne il profeta

ha detto: "Sette volte al giorno ti ho lodato".

4. Infatti nelle Vigilie notturne lo stesso profeta

dice: "Nel mezzo della notte mi alzavo per

lodarti".

5. Dunque in queste ore innalziamo lodi al nostro

Creatore "per le opere della sua giustizia" e

cioè alle lodi, a Prima, a Terza, a Sesta, a

Nona, a Vespro e a Compieta e di notte

alziamoci per celebrare la sua grandezza.
XVII - Quot psalmi per easdem

horas canendi sunt

1. Iam de nocturnis vel matutinis digessimus

ordinem psalmodiae; nunc de sequentibus horis

videamus.

2. Prima hora dicantur psalmi tres singillatim et

non sub una gloria,

3. hymnum eiusdem horae post versum Deus in

adiutorium antequam psalmi incipiantur.

4. Post expletionem vero trium psalmorum

recitetur lectio una, versu et Kyrie eleison et

missas.

5. Tertia vero, sexta et nona, item eo ordine

celebretur oratio, id est versu, hymnos

earundem horarum, ternos psalmos, lectionem

et versu, Kyrie eleison et missas.
XVII - Salmi delle ore del giorno

1. Abbiamo già stabilito l'ordine della salmodia

per l'Ufficio notturno e per le Lodi; adesso

provvediamo per le altre Ore.

2. All'ora di Prima si dicano tre salmi

separatamente, ciascuno con il proprio Gloria

3. e l'inno della stessa Ora segua il versetto Deus

in adiutorium prima di iniziare i salmi.

4. Finiti i tre salmi, si reciti una sola lezione, il

versetto, il Kyrie eleison e le preci finali.

5. A Terza, a sesta e a Nona si celebri l'Ufficio

secondo lo stesso ordine e cioè il versetto

iniziale, gli inni delle rispettive Ore, tre salmi,

la lezione, il versetto, il Kyrie eleison e le preci

finali.
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6. Si maior congregatio fuerit, cum antiphonas, si

vero minor, in directum psallantur.

7. Vespertina autem synaxis quattuor psalmis

cum antiphonis terminetur.

8. Post quibus psalmis, lectio recitanda est; inde

responsorium, ambrosianum, versu, canticum

de Evangelia, litania, et oratione dominica fiant

missae.

9. Completorios autem trium psalmorum dictione

terminentur. Qui psalmi directanei sine

antiphona dicendi sunt.

10. Post quos hymnum eiusdem horae, lectionem

unam, versu, Kyrie eleison, et benedictione

missae fiant.

6. Se la comunità fosse numerosa, si salmeggi

con le antifone, altrimenti si recitino i salmi

tutti di seguito.

7. L'Ufficio del Vespro comprenda quattro salmi

con le antifone,

8. dopo i quali si reciti la lezione, quindi il

responsorio, l'inno, il versetto, il cantico del

Vangelo, il Kyrie e il Pater, a cui segue il

congedo.

9. Compieta, infine, consista in tre salmi di

seguito, senza antifona,

10. ai quali segua l'inno della medesima ora, una

sola lezione, il versetto, il Kyrie eleison e la

benedizione con cui si conclude.
XVIII - Quo ordine ipsi psalmi

dicendi sunt

1. In primis dicatur versu Deus in adiutorium
meum intende, Domine ad adiuvandum me

festina, gloria, inde hymnum uniuscuiusque


horae.

2. Deinde, prima hora dominica, dicenda quattuor

capitula psalmi centesimi octavi decimi;

3. reliquis vero horis, id est tertia, sexta vel nona,

terna capitula suprascripti psalmi centesimi

octavi decimi dicantur.

4. Ad primam autem secundae feriae, dicantur

tres psalmi, id est primus, secundus et sextus;

5. et ita per singulos dies ad primam usque

dominica dicantur per ordinem terni psalmi

usque nonum decimum psalmum, ita sane ut

nonus psalmus et septimus decimus partiantur

in binos.

6. Et sic fit ut ad vigilias dominica semper a

vicesimo incipiatur.

7. Ad tertiam vero, sextam nonamque secundae

feriae, novem capitula quae residua sunt de

centesimo octavo decimo, ipsa terna per

easdem horas dicantur.

8. Expenso ergo psalmo centesimo octavo decimo

duobus diebus, id est dominico et secunda

feria,

9. tertia feria iam ad tertiam, sextam vel nonam

psallantur terni psalmi a centesimo nono

decimo usque centesimo vicesimo septimo, id

est psalmi novem.

10. Quique psalmi semper usque dominica per

easdem horas itidem repetantur, hymnorum

nihilominus, lectionum vel versuum

dispositionem uniformem cunctis diebus

servatam.

11. Et ita scilicet semper dominica a centesimo

octavo decimo incipietur.

12. Vespera autem cotidie quattuor psalmorum
XVIII - L'ordine dei salmi nelle

ore del giorno

1. Prima di tutto si dica il versetto: "O Dio, vieni

in mio soccorso; Signore, affrettati ad

aiutarmi", il Gloria e poi l'inno di ciascuna Ora.

2. A Prima della domenica si dicano quattro

strofe del salmo 118;

3. alle altre Ore, cioè a Terza, Sesta e Nona, si

dicano tre strofe per volta dello stesso salmo.

4. A Prima del lunedì si recitino tre salmi e cioè il

salmo 1, il 2 e il 6;

5. e così nei giorni successivi fino alla domenica

si dicano di seguito tre salmi fino al 19, in

modo però che il 9 e il 17 si dividano in due.

6. Così le vigilie domenicali cominceranno

sempre con il salmo 20.

7. A Terza, Sesta e Nona del lunedì si dicano le

ultime nove strofe del salmo 118, tre per

ciascuna Ora.

8. Esaurito questo salmo in due giorni, cioè alla

domenica e al lunedì,

9. a Terza, Sesta e Nona del martedì si recitino

rispettivamente tre salmi dal 119 al 127, cioè in

tutto nove salmi.

10. Questi vengano sempre ripetuti allo stesso

modo nelle medesime Ore fino alla domenica,

lasciando però invariati gli inni, le lezioni e i

versetti per tutte le Ore della settimana,

11. in modo che alla domenica si cominci sempre

dal salmo 118.

12. Il Vespro poi si celebri ogni giorno con il canto
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modulatione canatur.

13. Qui psalmi incipiantur a centesimo nono usque

centesimo quadragesimo septimo,

14. exceptis his qui in diversis horis ex eis

sequestrantur, id est a centesimo septimo

decimo usque centesimo vicesimo septimo et

centesimo tricesimo tertio et centesimo

quadragesimo secundo;

15. reliqui omnes in vespera dicendi sunt.

16. Et quia minus veniunt tres psalmi, ideo

dividendi sunt qui ex numero suprascripto

fortiores inveniuntur, id est centesimum

tricesimum octavum et centesimum

quadragesimum tertium et centesimum

quadragesimum quartum;

17. centesimus vero sextus decimus, quia parvus

est, cum centesimo quinto decimo coniungatur.

18. Digesto ergo ordine psalmorum vespertinorum,

reliqua, id est lectionem, responsum, hymnum,

versum vel canticum, sicut supra taxavimus

impleatur.

19. Ad completorios vero cotidie idem psalmi

repetantur, id est quartum, nonagesimum et

centesimum tricesimum tertium.

20. Disposito ordine psalmodiae diurnae, reliqui

omnes psalmi qui supersunt aequaliter

dividantur in septem noctium vigilias,

21. partiendo scilicet qui inter eos prolixiores sunt

psalmi et duodecim per unamquamque

constituens noctem.

22. Hoc praecipue commonentes ut, si cui forte

haec distributio psalmorum displicuerit, ordinet

si melius aliter iudicaverit,

23. dum omnimodis id adtendat ut omni

hebdomada psalterium ex integro numero

centum quinquaginta psalmorum psallantur, et

dominico die semper a caput reprehendatur ad

vigilias.

24. Quia nimis inertem devotionis suae servitium

ostendunt monachi qui minus a psalterio cum

canticis consuetudinariis per septimanae

circulum psallunt,

25. dum quando legamus sanctos patres nostros

uno die hoc strenue implesse, quod nos tepidi

utinam septimana integra persolvamus.

di quattro salmi,

13. dal 109 fino al 147;

14. eccettuando quelli che sono riservati alle altre

Ore, cioè i salmi 117-127, 133 e 142,

15. tutti gli altri si dicano a Vespro.

16. E poiché vengono a mancare tre salmi, si

dividano i più lunghi del gruppo indicato, ossia

il 138, il 143 e il 144.

17. Il 116, invece, che è il più breve, venga unito al

115.

18. Stabilito così l'ordine della salmodia

vespertina, tutto il resto, cioè la lezione, il

responsorio, l'inno, il versetto e il cantico, si

dica come abbiamo disposto sopra.

19. A Compieta, infine, si ripetano tutti i giorni gli

stessi salmi e cioè il 4, il 90 e il 133.

20. Una volta fissato l'ordine della salmodia di tutti

i salmi rimanenti vengano distribuiti in parti

uguali nei sette Uffici notturni,

21. dividendo quelli più lunghi e assegnandone

dodici per notte.

22. Ci teniamo però ad avvertire che, se qualcuno

non trovasse conveniente tale distribuzione dei

salmi, li disponga pure come meglio crede,

23. purché badi bene di fare in modo che in tutta la

settimana si reciti l'intero salterio di

centocinquanta salmi e con l'Ufficio vigiliare

della domenica si ricominci sempre da capo.

24. Infatti i monaci, che in una settimana

salmeggiano meno dell'intero salterio con i

cantici consueti, danno prova di grande

indolenza e fiacchezza nel servizio a cui sono

consacrati,

25. dato che dei nostri padri si legge che in un sol

giorno adempivano con slancio e fervore

quanto è augurabile che noi tiepidi riusciamo a

eseguire in una settimana.
XIX - De disciplina psallendi

1. Ubique credimus divinam esse praesentiam et
oculos Domini in omni loco speculari bonos et

malos,

XIX - La partecipazione interiore

all'Ufficio divino

1. Sappiamo per fede che Dio è presente

dappertutto e che "gli occhi del Signore

guardano in ogni luogo i buoni e i cattivi",
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2. maxime tamen hoc sine aliqua dubitatione

credamus cum ad opus divinum assistimus.

3. Ideo semper memores simus quod ait propheta:
Servite Domino in timore,

4. et iterum: Psallite sapienter,

5. et: In conspectu angelorum psallam tibi.


6. Ergo consideremus qualiter oporteat in

conspectu divinitatis et angelorum eius esse,

7. et sic stemus ad psallendum ut mens nostra

concordet voci nostrae.

2. ma dobbiamo crederlo con assoluta certezza e

senza la minima esitazione, quando prendiamo

parte all'Ufficio divino.

3. Perciò ricordiamoci sempre di quello che dice

il profeta: "Servite il Signore nel timore"

4. e ancora: "Lodatelo degnamente"

5. e ancora: " Ti canterò alla presenza degli

angeli".

6. Consideriamo dunque come bisogna

comportarsi alla presenza di Dio e dei suoi

Angeli

7. e partecipiamo alla salmodia in modo tale che

l'intima disposizione dell'animo si armonizzi

con la nostra voce.
XX - De reverentia orationis

1. Si, cum hominibus potentibus volumus aliqua

suggerere, non praesumimus nisi cum

humilitate et reverentia,

2. quanto magis Domino Deo universorum cum

omni humilitate et puritatis devotione

supplicandum est.

3. Et non in multiloquio, sed in puritate cordis et

compunctione lacrimarum nos exaudiri

sciamus.

4. Et ideo brevis debet esse et pura oratio, nisi

forte ex affectu inspirationis divinae gratiae

protendatur.

5. In conventu tamen omnino brevietur oratio, et

facto signo a priore omnes pariter surgant.
XX - La riverenza nella

preghiera

1. Se quando dobbiamo chiedere un favore a

qualche personaggio, osiamo farlo solo con

soggezione e rispetto,

2. quanto più dobbiamo rivolgere la nostra

supplica a Dio, Signore di tutte le cose, con

profonda umiltà e sincera devozione.

3. Bisogna inoltre sapere che non saremo esauditi

per le nostre parole, ma per la purezza del

cuore e la compunzione che strappa le lacrime.

4. Perciò la preghiera dev'essere breve e pura, a

meno che non venga prolungata dall'ardore e

dall'ispirazione della grazia divina.

5. Ma quella che si fa in comune sia brevissima e

quando il superiore dà il segno, si alzino tutti

insieme.
XXI - De decanis monasterii

1. Si maior fuerit congregatio, eligantur de ipsis

fratres boni testimonii et sanctae

conversationis, et constituantur decani,

2. qui sollicitudinem gerant super decanias suas

in omnibus secundum mandata Dei et

praecepta abbatis sui.

3. Qui decani tales eligantur in quibus securus

abbas partiat onera sua,

4. et non eligantur per ordinem, sed secundum

vitae meritum et sapientiae doctrinam.

5. Quique decani, si ex eis aliqua forte quis

inflatus superbia repertus fuerit reprehensibilis,

correptus semel et iterum atque tertio si

emendare noluerit, deiciatur,

6. et alter in loco eius qui dignus est surrogetur.

7. Et de praeposito eadem constituimus.
XXI - I decani del monastero

1. Se la comunità è abbastanza numerosa, si

scelgano in essa alcuni monaci di buon

esempio e di santa vita per costituirli decani;

2. essi vigileranno premurosamente, secondo le

leggi di Dio e gli ordini dell'abate sui gruppi di

dieci fratelli affidati alle loro rispettive cure.

3. Come decani devono essere eletti quei monaci

con i quali l'abate possa tranquillamente

condividere i suoi pesi

4. e in tale scelta non bisogna tener conto

dell'ordine di anzianità, ma regolarsi solo in

considerazione della condotta esemplare e

della scienza delle cose di Dio.

5. Se poi fra questi decani ce ne fosse qualcuno

che, montato un po' in superbia, dovesse essere

ripreso, sia rimproverato una prima, una

seconda e una terza volta e, se non vorrà

correggersi,

6. venga sostituito con un altro veramente degno.
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7. La stessa cosa stabiliamo per il priore.
XXII - Quomodo dormiant

monachi

1. Singuli per singula lecta dormiant.

2. Lectisternia pro modo conversationis

secundum dispensationem abbatis sui

accipiant.

3. Si potest fieri omnes in uno loco dormiant; sin

autem multitudo non sinit, deni aut viceni cum

senioribus qui super eos solliciti sint pausent.

4. Candela iugiter in eadem cella ardeat usque

mane.

5. Vestiti dormiant et cincti cingellis aut funibus,

ut cultellos suos ad latus suum non habeant

dum dormiunt, ne forte per somnum vulnerent

dormientem;

6. et ut parati sint monachi semper et, facto signo

absque mora surgentes, festinent invicem se

praevenire ad opus Dei, cum omni tamen

gravitate et modestia.

7. Adulescentiores fratres iuxta se non habeant

lectos, sed permixti cum senioribus.

8. Surgentes vero ad opus Dei invicem se

moderate cohortentur propter somnulentorum

excusationes.
XXII - Il dormitorio dei monaci

1. Ciascun monaco dorma in un letto proprio

2. e ne riceva la fornitura conforme alle

consuetudini monastiche e secondo quanto

disporrà l'abate.

3. Se è possibile dormano tutti nello stesso locale,

ma se il numero rilevante non lo permette,

riposino a dieci o venti per ambiente insieme

con gli anziani incaricati della sorveglianza.

4. Nel dormitorio rimanga sempre accesa una

lampada fino al mattino.

5. Dormano vestiti, con ai fianchi semplici

cinture o corde, senza portare coltelli appesi al

lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno.

6. Così i monaci siano sempre pronti e, appena

dato il segnale, alzandosi senza indugio si

affrettino a prevenirsi vicendevolmente per

l'Ufficio divino, ma sempre con la massima

gravità e modestia.

7. I più giovani non abbiano i letti vicini, ma

alternati con quelli dei più anziani.

8. Quando poi si alzano per l'Ufficio divino, si

esortino garbatamente a vicenda per prevenire

le scuse degli assonnati.
XXIII - De excommunicatione

culparum

1. Si quis frater contumax aut inoboediens aut

superbus aut murmurans vel in aliquo

contrarius exsistens sanctae regulae et

praeceptis seniorum suorum contemptor

repertus fuerit,

2. hic secundum Domini nostri praeceptum

admoneatur semel et secundo secrete a

senioribus suis.

3. Si non emendaverit, obiurgetur publice coram

omnibus.

4. Si vero neque sic correxerit, si intellegit qualis

poena sit, excommunicationi subiaceat;

5. sin autem improbus est, vindictae corporali

subdatur.
XXIII - La scomunica per le

colpe

1. Se qualche fratello si dimostrerà ribelle o

disobbediente o superbo o mormoratore, o

assumerà un atteggiamento di ostilità e di

disprezzo nei confronti di qualche punto della

santa Regola o degli ordini dei superiori,

2. questi lo rimproverino una prima e una

seconda volta in segreto, secondo il precetto

del Signore.

3. Se non si migliorerà, venga ripreso

pubblicamente di fronte a tutti.

4. Ma nel caso che anche questo provvedimento

si dimostri inefficace, sia scomunicato, purché

sia in grado di valutare la portata di una tale

punizione.

5. Se invece difetta di una sufficiente sensibilità,
sia sottoposto al castigo corporale.



XXIV - Qualis debet esse modus XXIV - La misura della

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excommunicationis

1. Secundum modum culpae, et

excommunicationis vel disciplinae mensura

debet extendi;

2. qui culparum modus in abbatis pendat iudicio.

3. Si quis tamen frater in levioribus culpis

invenitur, a mensae participatione privetur.

4. Privati autem a mensae consortio ista erit ratio

ut in oratorio psalmum aut antiphonam non

imponat, neque lectionem recitet, usque ad

satisfactionem.

5. Refectionem autem cibi post fratrum

refectionem solus accipiat,

6. ut, si verbi gratia fratres reficiunt sexta hora,

ille frater nona, si fratres nona, ille vespera,

7. usque dum satisfactione congrua veniam

consequatur.
scomunica

1. La scomunica e, in genere, la punizione

disciplinare dev'essere proporzionata alla

gravità della colpa

2. e ciò è di competenza dell'abate.

3. Però il monaco che avrà commesso mancanze

meno gravi sia escluso dalla mensa comune.

4. Il trattamento inflitto a chi viene escluso dalla

mensa è il seguente: in coro non intoni salmo,

né antifona, né reciti lezioni fino a quando non

avrà riparato alle sue mancanze;

5. mangi da solo dopo la comunità,

6. sicché se, per esempio, i monaci pranzano

all'ora di Sesta, egli mangi a Nona; se pranzano

a Nona, egli a Vespro,

7. fino a quando avrà ottenuto il perdono con una

conveniente riparazione.
XXV - De gravioribus culpis

1. Is autem frater qui gravioris culpae noxa

tenetur suspendatur a mensa, simul ab oratorio.

2. Nullus ei fratrum in nullo iungatur consortio

nec in colloquio.

3. luctu, sciens illam terribilem apostoli

sententiam dicentis
4. traditum eiusmodi hominem in interitum



carnis, ut spiritus salvus sit in die Domini.

5. Cibi autem refectionem solus percipiat,

mensura vel hora qua praeviderit abbas ei

competere;

6. nec a quoquam benedicatur transeunte nec

cibum quod ei datur.
XXV - Le colpe più gravi

1. Il monaco colpevole di mancanze più gravi sia

invece sospeso oltre che dalla mensa anche dal

coro.

2. Nessuno lo avvicini per fargli compagnia o

parlare di qualsiasi cosa.

3. Attenda da solo al lavoro che gli sarà assegnato

e rimanga nel lutto della penitenza,

consapevole della terribile sentenza

dell'apostolo che dice:

4. "Costui è stato consegnato alla morte della

carne, perché la sua anima sia salva nel giorno

del Signore".

5. Prenda il suo cibo da solo nella quantità e

nell'ora che l'abate giudicherà più conveniente

per lui;

6. non sia benedetto da chi lo incontra e non si

benedica neppure il cibo che gli viene dato.
XXVI - De his qui sine iussione

iungunt se excommunicatis

1. Si quis frater praesumpserit sine iussione

abbatis fratri excommunicato quolibet modo se

iungere aut loqui cum eo vel mandatum ei

dirigere,

2. similem sortiatur excommunicationis

vindictam.
XXVI - Rapporti dei confratelli

con gli scomunicati

1. Se qualche monaco oserà avvicinare in qualche

modo un fratello scomunicato, o parlare con

lui, o inviargli un messaggio, senza

l'autorizzazione dell'abate,

2. incorra nella medesima punizione.
XXVII - Qualiter debeat abbas XXVII - La sollecitudine

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sollicitus esse circa

excommunicatos

1. Omni sollicitudine curam gerat abbas circa
delinquentes fratres, quia non est opus sanis



medicus sed male habentibus.

2. Et ideo uti debet omni modo ut sapiens

medicus, immittere senpectas, id est seniores

sapientes fratres,

3. qui quasi secrete consolentur fratrem

fluctuantem et provocent ad humilitatis
satisfactionem et consolentur eum ne



abundantiori tristitia absorbeatur,

4. sed, sicut ait item apostolus, confirmetur in eo

caritas et oretur pro eo ab omnibus.


5. Magnopere enim debet sollicitudinem gerere

abbas et omni sagacitate et industria currere, ne

aliquam de ovibus sibi creditis perdat.

6. Noverit enim se infirmarum curam suscepisse

animarum, non super sanas tyrannidem;

7. et metuat prophetae comminationem per quam
dicit Deus: Quod crassum videbatis



assumebatis et quod debile erat proiciebatis.

8. Et pastoris boni pium imitetur exemplum, qui,

relictis nonaginta novem ovibus in montibus,

abiit unam ovem quae erraverat quaerere;

9. cuius infirmitati in tantum compassus est, ut

eam in sacris humeris suis dignaretur imponere

et sic reportare ad gregem.
dell'abate per gli scomunicati

1. L'abate deve prendersi cura dei colpevoli con

la massima sollecitudine, perché "non sono i

sani che hanno bisogno del medico, ma i

malati".

2. Perciò deve agire come un medico sapiente,

inviando in qualità di amici fidati dei monaci

anziani e prudenti

3. che quasi inavvertitamente confortino il

fratello vacillante e lo spingano a un'umile

riparazione, incoraggiandolo perché "non sia

sommerso da eccessiva tristezza",

4. in altre parole "gli usi maggiore carità", come

dice l'Apostolo "e tutti preghino per lui".

5. Bisogna che l'abate sia molto vigilante e si

impegni premurosamente con tutta l'accortezza

e la diligenza di cui è capace per non perdere

nessuna delle pecorelle a lui affidate.

6. Sia pienamente cosciente di essersi assunto il

compito di curare anime inferme e non di

dover esercitare il dominio sulle sane

7. e consideri con timore il severo oracolo del

profeta per bocca del quale il Signore dice:

"Ciò che vedevate pingue lo prendevate; ciò

invece che era debole lo gettavate via".

8. Imiti piuttosto la misericordia del buon Pastore

che, lasciate sui monti le novantanove pecore,

andò alla ricerca dell'unica che si era smarrita

9. ed ebbe tanta compassione della sua debolezza

che si degnò di caricarsela sulle sue sacre

spalle e riportarla così all'ovile.
XXVIII - De his qui saepius

correpti emendare noluerint

1. Si quis frater frequenter correptus pro qualibet

culpa, si etiam excommunicatus non

emendaverit, acrior ei accedat correptio, id est

ut verberum vindicta in eum procedant.

2. Quod si nec ita correxerit, aut forte-- quod

absit-- in superbia elatus etiam defendere

voluerit opera sua, tunc abbas faciat quod

sapiens medicus:

3. si exhibuit fomenta, si unguenta

adhortationum, si medicamina scripturarum

divinarum, si ad ultimum ustionem

excommunicationis vel plagarum virgae,

4. et iam si viderit nihil suam praevalere

industriam, adhibeat etiam-- quod maius est--

suam et omnium fratrum pro eo orationem,

5. ut Dominus qui omnia potest operetur salutem

circa infirmum fratrem.

6. Quod si nec isto modo sanatus fuerit, tunc iam
XXVIII - La procedura nei

confronti degli ostinati

1. Se un monaco, già ripreso più volte per una

qualsiasi colpa, non si correggerà neppure

dopo la scomunica, si ricorra a una punizione

ancor più severa e cioè al castigo corporale.

2. Ma se neppure così si emenderà o - non sia

mai! - montato in superbia pretenderà persino

di difendere il suo operato, l'abate si regoli

come un medico provetto,

3. ossia, dopo aver usato i linimenti e gli unguenti

delle esortazioni, i medicamenti delle Scritture

divine e, infine, la cauterizzazione della

scomunica e le piaghe delle verghe,

4. vedendo che la sua opera non serve a nulla, si

affidi al rimedio più efficace e cioè alla

preghiera sua e di tutta la comunità

5. per ottenere dal Signore che tutto può la

salvezza del fratello.

6. Se, però, nemmeno questo tentativo servirà a
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utatur abbas ferro abscisionis, ut ait Apostolus:
Auferte malum ex vobis,

7. et iterum: Infidelis, si discedit, discedat,


8. ne una ovis morbida omnem gregem contagiet.

guarirlo, l'abate, metta mano al ferro del

chirurgo, secondo quanto dice l'apostolo:

"Togliete di mezzo a voi quel malvagio"

7. e ancora: "Se l'infedele vuole andarsene, vada

pure",

8. perché una pecora infetta non debba contagiare

tutto il gregge.
XXIX - Si debeant fratres

exeuntes de monasterio iterum

recipi

1. Frater qui proprio vitio egreditur de

monasterio, si reverti voluerit, spondeat prius

omnem emendationem pro quo egressus est,

2. et sic in ultimo gradu recipiatur, ut ex hoc eius

humilitas comprobetur.

3. Quod si denuo exierit, usque tertio ita

recipiatur, iam postea sciens omnem sibi

reversionis aditum denegari.
XXIX - La riammissione dei

fratelli che hanno lasciato il

monastero

1. Il monaco, che, dopo aver lasciato per propria

colpa il monastero, volesse ritornarvi, prometta

anzitutto di correggersi definitivamente dalla

colpa per la quale è uscito

2. e a questa condizione sia ricevuto all'ultimo

posto per provare la sua umiltà.

3. Se poi uscisse di nuovo sia riammesso fino alla

terza volta, ma sappia che in seguito gli sarà
negata ogni possibilità di ritorno.



XXX - De pueris minori aetate,

qualiter corripiantur

1. Omnis aetas vel intellectus proprias debet

habere mensuras.

2. Ideoque, quotiens pueri vel adulescentiores

aetate, aut qui minus intellegere possunt quanta

poena sit excommunicationis,

3. hi tales dum delinquunt, aut ieiuniis nimiis

affligantur aut acris verberibus coerceantur, ut

sanentur.
XXX - La correzione dei ragazzi

1. Ogni età e intelligenza dev'essere trattata in

modo adeguato.

2. Perciò i bambini e gli adolescenti e quelli che

non sono in grado di comprendere la gravità

della scomunica,

3. quando commettono qualche colpa siano puniti

con gravi digiuni o repressi con castighi

corporali, perché si correggano.
XXXI - De cellerario monasterii,

qualis sit

1. Cellararius monasterii eligatur de

congregatione, sapiens, maturis moribus,

sobrius, non multum edax, non elatus, non

turbulentus, non iniuriosus, non tardus, non

prodigus,

2. sed timens Deum; qui omni congregationi sit

sicut pater.

3. Curam gerat de omnibus;

4. sine iussione abbatis nihil faciat.

5. Quae iubentur custodiat;

6. fratres non contristet.
XXXI - Il cellerario del

monastero

1. Come cellerario del monastero si scelga un

fratello saggio, maturo, sobrio, che non ecceda

nel mangiare e non abbia un carattere superbo,

turbolento, facile alle male parole, indolente e

prodigo,

2. ma sia timorato di Dio e un vero padre per la

comunità.

3. Si prenda cura di tutto e di tutti.

4. Non faccia nulla senza il permesso dell'abate

5. ed esegua fedelmente gli ordini ricevuti.

6. Non dia ai fratelli motivo di irritarsi e,

7. se qualcuno di loro avanzasse pretese assurde,
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7. Si quis frater ab eo forte aliqua irrationabiliter

postulat, non spernendo eum contristet, sed

rationabiliter cum humilitate male petenti

deneget.

8. Animam suam custodiat, memor semper illud
apostolicum quia qui bene ministraverit



gradum bonum sibi acquirit.

9. Infirmorum, infantum, hospitum pauperumque

cum omni sollicitudine curam gerat, sciens sine

dubio quia pro his omnibus in die iudicii

rationem redditurus est.

10. Omnia vasa monasterii cunctamque

substantiam ac si altaris vasa sacrata

conspiciat.

11. Nihil ducat neglegendum.

12. Neque avaritiae studeat, neque prodigus sit et

stirpator substantiae monasterii, sed omnia

mensurate faciat et secundum iussionem

abbatis.

13. Humilitatem ante omnia habeat, et cui

substantia non est quod tribuatur, sermo

responsionis porrigatur bonus,
14. ut scriptum est: Sermo bonus super datum



optimum.

15. Omnia quae ei iniunxerit abbas, ipsa habeat

sub cura sua; a quibus eum prohibuerit, non

praesumat.

16. Fratribus constitutam annonam sine aliquo

typho vel mora offerat, ut non scandalizentur,
memor divini eloquii quid mereatur qui



scandalizaverit unum de pusillis.

17. Si congregatio maior fuerit, solacia ei dentur, a

quibus adiutus et ipse aequo animo impleat

officium sibi commissum.

18. Horis competentibus dentur quae danda sunt et

petantur quae petenda sunt,

19. ut nemo perturbetur neque contristetur in domo

Dei.

non lo mortifichi sprezzantemente, ma sappia

respingere la richiesta inopportuna con

ragionevolezza e umiltà.

8. Custodisca l'anima sua, ricordandosi sempre di

quella sentenza dell'apostolo che dice: "Chi

avrà esercitato bene il proprio ministero, si

acquisterà un grado onorevole".

9. Si interessi dei malati, dei ragazzi, degli ospiti

e dei poveri con la massima diligenza, ben

sapendo che nel giorno del giudizio dovrà

rendere conto di tutte queste persone affidate

alle sue cure.

10. Tratti gli oggetti e i beni del monastero con la

reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare

11. e non tenga nulla in poco conto.

12. Non si lasci prendere dall'avarizia né si

abbandoni alla prodigalità, ma agisca sempre

con criterio e secondo le direttive dell'abate.

13. Soprattutto sia umile e se non può concedere

quanto gli è stato richiesto, dia almeno una

risposta caritatevole,

14. perché sta scritto: "Una buona parola vale più

del migliore dei doni".

15. Si interessi solo delle incombenze che gli ha

affidato l'abate, senza ingerirsi in quelle da cui

lo ha escluso.

16. Distribuisca ai fratelli la porzione di vitto

prestabilita senza alterigia o ritardi, per non

dare motivo di scandalo, ricordandosi di quello

che toccherà, secondo la divina promessa, a

"chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli".

17. Se la comunità fosse numerosa, gli si

concedano degli aiuti con la cui collaborazione

possa svolgere serenamente il compito che gli

è stato assegnato.

18. Nelle ore fissate si distribuisca quanto si deve

dare e si chieda quello che si deve chiedere,

19. in modo che nella casa di Dio non ci sia alcun

motivo di turbamento o di malcontento.
XXXII - De ferramentis vel rebus

monasterii

1. Substantia monasterii in ferramentis vel

vestibus seu quibuslibet rebus praevideat abbas

fratres de quorum vita et moribus securus sit,

2. et eis singula, ut utile iudicaverit, consignet

custodienda atque recolligenda.
XXXII - Gli arnesi e gli oggetti

del monastero

1. Per la cura di tutto quello che il monastero

possiede di arnesi, vesti o qualsiasi altro

oggetto l'abate scelga dei monaci su cui possa

contare a motivo della loro vita virtuosa

2. e affidi loro i singoli oggetti nel modo che gli
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3. Ex quibus abbas brevem teneat, ut dum sibi in

ipsa assignata fratres vicissim succedunt, sciat

quid dat aut quid recipit.

4. Si quis autem sordide aut neglegenter res

monasterii tractaverit, corripiatur;

5. si non emendaverit, disciplinae regulari

subiaceat.

sembrerà più opportuno, perché li custodiscano

e li raccolgano.

3. Tenga l'inventario di tutto, in maniera che,

quando i vari monaci si succedono negli

incarichi loro assegnati, egli sappia che cosa dà

e che cosa riceve.

4. Se poi qualcuno trattasse con poca pulizia o

negligenza le cose del monastero, venga

debitamente rimproverato;

5. nel caso che non si corregga, sia sottoposto alle

punizioni previste dalla Regola.
XXXIII - Si quid debeant

monachi proprium habere

1. Praecipue hoc vitium radicitus amputandum est

de monasterio,

2. ne quis praesumat aliquid dare aut accipere

sine iussione abbatis,

3. neque aliquid habere proprium, nullam omnino

rem, neque codicem, neque tabulas, neque

graphium, sed nihil omnino,

4. ippe quibus nec corpora sua nec voluntates

licet habere in propria voluntate;

5. omnia vero necessaria a patre sperare

monasterii, nec quicquam liceat habere quod

abbas non dederit aut permiserit.
6. Omniaque omnium sint communia, ut scriptum

est, ne quisquam suum aliquid dicat vel


praesumat.

7. Quod si quisquam huic nequissimo vitio

deprehensus fuerit delectari, admoneatur semel

et iterum;

8. si non emendaverit, correptioni subiaceat.
XXXIII - Il "vizio" della

proprietà

1. Nel monastero questo vizio dev'essere

assolutamente stroncato fin dalle radici,

2. sicché nessuna si azzardi a dare o ricevere

qualche cosa senza il permesso dell'abate,

3. né pensi di avere nulla di proprio,

assolutamente nulla, né un libro, né un

quaderno o un foglio di carta e neppure una

matita,

4. dal momento che ai monaci non è più concesso

di disporre liberamente neanche del proprio

corpo e della propria volontà,

5. ma bisogna sperare tutto il necessario dal padre

del monastero e non si può tenere presso di sé

alcuna cosa che l'abate che l'abate non abbia

dato o permesso.

6. "Tutto sia comune a tutti", come dice la

Scrittura, e "nessuno dica o consideri propria

qualsiasi cosa".

7. Se poi si scoprisse qualcuno che si compiace in

questo pessimo vizio, bisognerà rimproverarlo

una prima e una seconda volta

8. e, nel caso che non si corregga, infliggergli il

dovuto castigo.
XXXIV - Si omnes aequaliter

debeant necessaria accipere

1. Sicut scriptum est: Dividebatur singulis prout



cuique opus erat.

2. Ubi non dicimus ut personarum-- quod absit--

acceptio sit, sed infirmitatum consideratio;

3. ubi qui minus indiget agat Deo gratias et non

contristetur,

4. qui vero plus indiget humilietur pro infirmitate,
XXXIV - La distribuzione del

necessario

1. "Si distribuiva a ciascuno proporzionatamente

al bisogno", si legge nella Scrittura.

2. Con questo non intendiamo che si debbano fare

preferenze - Dio ce ne liberi! - ma che si tenga

conto delle eventuali debolezze;

3. quindi chi ha meno necessità, ringrazi Dio

senza amareggiarsi,

4. mentre chi ha maggiori bisogni, si umili per la

propria debolezza, invece di montarsi la testa

per le attenzioni di cui è fatto oggetto
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non extollatur pro misericordia;

5. et ita omnia membra erunt in pace.

6. Ante omnia, ne murmurationis malum pro

qualicumque causa in aliquo qualicumque

verbo vel significatione appareat;

7. quod si deprehensus fuerit, districtiori

disciplinae subdatur.

5. e così tutti i membri della comunità staranno in

pace.

6. Soprattutto bisogna evitare che per qualsiasi

motivo faccia la sua comparsa il male della

mormorazione, sia pure attraverso una parola o

un gesto.

7. E, nel caso che se ne trovi colpevole qualcuno,
sia punito con maggior rigore.



XXXV - De septimanariis

coquinae

1. Fratres sibi invicem serviant, ut nullus

excusetur a coquinae officio, nisi aut aegritudo,

aut in causa gravis utilitatis quis occupatus

fuerit,

2. quia exinde maior merces et caritas acquiritur.

3. Imbecillibus autem procurentur solacia, ut non

cum tristitia hoc faciant;

4. sed habeant omnes solacia secundum modum

congregationis aut positionem loci.

5. Si maior congregatio fuerit, cellararius

excusetur a coquina, vel si qui, ut diximus,

maioribus utilitatibus occupantur;

6. ceteri sibi sub caritate invicem serviant.

7. Egressurus de septimana sabbato munditias

faciat.

8. Lintea cum quibus sibi fratres manus aut pedes

tergunt lavent.

9. Pedes vero tam ipse qui egreditur quam ille qui

intraturus est omnibus lavent.

10. Vasa ministerii sui munda et sana cellarario

reconsignet;

11. qui cellararius item intranti consignet, ut sciat

quod dat aut quod recipit.

12. Septimanarii autem ante unam horam

refectionis accipiant super statutam annonam

singulas biberes et panem,

13. ut hora refectionis sine murmuratione et gravi

labore serviant fratribus suis.

14. In diebus tamen sollemnibus usque ad missas

sustineant.

15. Intrantes et exeuntes hebdomadarii in oratorio

mox matutinis finitis dominica omnibus

genibus provolvantur postulantes pro se orari.
XXXV - Il servizio della cucina

1. I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia

dispensato dal servizio della cucina, se non per

malattia o per un impegno di maggiore

importanza,

2. perché così si acquista un merito più grande e

si accresce la carità.

3. Ma i più deboli siano provveduti di un aiuto, in

modo da non dover compiere questo servizio di

malumore;

4. anzi, è bene che, in generale, tutti abbiano

degli aiuti in corrispondenza alla grandezza

della comunità e alle condizioni locali.

5. In una comunità numerosa il cellerario sia

dispensato dal servizio della cucina, come

anche i fratelli che, secondo quanto abbiamo

già detto, sono occupati in compiti di maggiore

utilità,

6. ma tutti gli altri si servano a vicenda con carità.

7. Al sabato il monaco che termina il suo turno

settimanale, faccia le pulizie.

8. Si lavino gli asciugatoi usati dai fratelli per le

mani e i piedi.

9. Tanto il monaco che finisce il servizio, quanto

quello che lo comincia, lavino i piedi a tutti.

10. Il primo consegni puliti e intatti al cellerario

tutti gli utensili di cui si è servito nel proprio

turno.

11. A sua volta il cellerario li affidi al fratello che

entra in servizio, in modo da sapere quello che

dà e quello che riceve.

12. Un'ora prima del pranzo, ciascuno dei monaci

di turno in cucina riceva, oltre la quantità di

cibo stabilita per tutti, un po' di pane e di vino,

13. per poter poi all'ora del pranzo servire i propri

fratelli senza lamentele né grave disagio;

14. ma nei giorni festivi aspettino fino al termine

della celebrazione eucaristica.

15. Alla domenica, subito dopo le Lodi, quelli che

iniziano e quelli che terminano il servizio della

cucina si inginocchino in coro davanti a tutti,

chiedendo che preghino per loro.

16. Chi ha finito il proprio turno reciti il versetto:
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16. Egrediens autem de septimana dicat hunc
versum: Benedictus es, Domine Deus, qui



adiuvasti me et consolatus es me;

17. quo dicto tertio accepta benedictione egrediens,
subsequatur ingrediens et dicat: Deus in



adiutorium meum intende, Domine ad

adiuvandum me festina,

18. et hoc idem tertio repetatur ab omnibus et

accepta benedictione ingrediatur.

"Sii benedetto, Signore Dio, che mi hai aiutato

e mi hai consolato".

17. E quando lo avrà ripetuto tre volte e avrà

ricevuto la benedizione, continui il fratello che

gli succede nel servizio, dicendo: "O Dio, vieni

in mio soccorso; Signore, affrettati ad

aiutarmi";

18. anche questo versetto sarà ripetuto tre volte da

tutti, dopo di che il fratello riceverà la

benedizione e inizierà il suo turno.
XXXVI - De infirmis fratribus

1. Infirmorum cura ante omnia et super omnia

adhibenda est, ut sicut revera Christo ita eis

serviatur,
2. quia ipse dixit: Infirmus fui et visitastis me,

3. et: Quod fecistis uni de his minimis mihi



fecistis.

4. Sed et ipsi infirmi considerent in honorem Dei

sibi servire, et non superfluitate sua contristent

fratres suos servientes sibi;

5. qui tamen patienter portandi sunt, quia de

talibus copiosior merces acquiritur.

6. Ergo cura maxima sit abbati ne aliquam

neglegentiam patiantur.

7. Quibus fratribus infirmis sit cella super se

deputata et servitor timens Deum et diligens ac

sollicitus.

8. Balnearum usus infirmis quotiens expedit

offeratur --sanis autem et maxime iuvenibus

tardius concedatur.

9. Sed et carnium esus infirmis omnino debilibus

pro reparatione concedatur; at, ubi meliorati

fuerunt, a carnibus more solito omnes

abstineant.

10. Curam autem maximam habeat abbas ne a

cellarariis aut a servitoribus neglegantur

infirmi. Et ipsum respicit quicquid a discipulis

delinquitur.
XXXVI - I fratelli infermi

1. L'assistenza agli infermi deve avere la

precedenza e la superiorità su tutto, in modo

che essi siano serviti veramente come Cristo in

persona,

2. il quale ha detto di sé: "Sono stato malato e mi

avete visitato",

3. e: "Quello che avete fatto a uno di questi

piccoli, lo avete fatto a me".

4. I malati però riflettano, a loro volta, che sono

serviti per amore di Dio e non opprimano con

eccessive pretese i fratelli che li assistono,

5. ma comunque bisogna sopportarli con grande

pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un

merito più grande.

6. Quindi l'abate vigili con la massima attenzione

perché non siano trascurati sotto alcun

riguardo.

7. Per i monaci ammalati ci sia un locale apposito

e un infermiere timorato di Dio, diligente e

premuroso.

8. Si conceda loro l'uso dei bagni, tutte le volte

che ciò si renderà necessario a scopo

terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai

più giovani venga consentito più raramente.

9. I malati più deboli avranno anche il permesso

di mangiare carne per potersi rimettere in

forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti

dalla carne come al solito.

10. Ma la più grande preoccupazione dell'abate

deve essere che gli infermi non siano trascurati

dal cellerario e dai fratelli che li assistono,

perché tutte le negligenze commesse dai suoi

discepoli ricadono su di lui.
XXXVII - De senibus vel

infantibus

XXXVII - I vecchi e i ragazzi

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1. Licet ipsa natura humana trahatur ad

misericordiam in his aetatibus, senum videlicet

et infantum, tamen et regulae auctoritas eis

prospiciat.

2. Consideretur semper in eis imbecillitas et

ullatenus eis districtio regulae teneatur in

alimentis,

3. sed sit in eis pia consideratio et praeveniant

horas canonicas.

1. Benché la stessa natura umana sia portata alla

compassione per queste due età, dei vecchi,

cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi

anche l'autorità della Regola.

2. Si tenga sempre conto della loro fragilità e, per

quanto riguarda i cibi, non siano affatto

obbligati all'austerità della Regola,

3. Ma, con amorevole indulgenza, si conceda loro

un anticipo sulle ore fissate per i pasti.
XXXVIII - De hebdomodario

lectore

1. Mensis fratrum lectio deesse non debet, nec

fortuito casu qui arripuerit codicem legere ibi,

sed lecturus tota hebdomada dominica

ingrediatur.

2. Qui ingrediens post missas et communionem

petat ab omnibus pro se orari, ut avertat ab ipso

Deus spiritum elationis,

3. et dicatur hic versus in oratorio tertio ab
omnibus, ipso tamen incipiente: Domine, labia



mea aperies, et os meum adnuntiabit laudem

tuam;

4. et sic accepta benedictione ingrediatur ad

legendum.

5. Et summum fiat silentium, ut nullius mussitatio

vel vox nisi solius legentis ibi audiatur.

6. Quae vero necessaria sunt comedentibus et

bibentibus sic sibi vicissim ministrent fratres ut

nullus indigeat petere aliquid;

7. si quid tamen opus fuerit, sonitu cuiuscumque

signi potius petatur quam voce.

8. Nec praesumat ibi aliquis de ipsa lectione aut

aliunde quicquam requirere, ne detur occasio;

9. nisi forte prior pro aedificatione voluerit

aliquid breviter dicere.

10. Frater autem lector hebdomadarius accipiat

mixtum priusquam incipiat legere, propter

communionem sanctam, et ne forte grave sit ei

ieiunium sustinere.

11. Postea autem cum coquinae hebdomadariis et

servitoribus reficiat.

12. Fratres autem non per ordinem legant aut

cantent, sed qui aedificant audientes.
XXXVIII - La lettura in

refettorio

1. Alla mensa dei monaci non deve mai mancare

la lettura, né è permesso di leggere a chiunque

abbia preso a caso un libro qualsiasi, ma

bisogna che ci sia un monaco incaricato della

lettura, che inizi il suo compito alla domenica.

2. Dopo la Messa e la comunione, il lettore che

entra in funzione si raccomandi nel coro alle

preghiere dei fratelli, perché Dio lo tenga

lontano da ogni tentazione di vanità;

3. e tutti ripetano per tre volte il versetto:

"Signore apri le mie labbra e la mia bocca

annunzierà la tua lode", che è stato intonato dal

lettore stesso,

4. il quale, dopo aver ricevuta così la

benedizione, potrà iniziare il proprio turno.

5. Nel refettorio regni un profondo silenzio, in

modo che non si senta alcun bisbiglio o voce,

all'infuori di quella del lettore.

6. I fratelli si porgano a vicenda il necessario per

mangiare e per bere, senza che ci sia bisogno di

chiedere nulla.

7. Se poi proprio occorresse qualche cosa, invece

che con la voce, si chieda con un leggero

rumore che serva da richiamo.

8. E nessuno si permetta di fare delle domande

sulla lettura o su qualsiasi altro argomento, per

non offrire occasione di parlare,

9. a meno che il superiore non ritenga opportuno

di dire poche parole di edificazione.

10. Prima di iniziare la lettura, il monaco di turno

prenda un po' di vino aromatico, sia per

rispetto alla santa Comunione, sia per evitare

che il digiuno gli pesi troppo,

11. e poi mangi con i fratelli che prestano servizio

in cucina e in refettorio.

12. Però i monaci non devono leggere e cantare

tutti secondo l'ordine di anzianità, ma questo

incarico va affidato solo a coloro che sono in

grado di edificare i propri ascoltatori.
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XXXIX - De mensura cibus

1. Sufficere credimus ad refectionem cotidianam

tam sextae quam nonae, omnibus mensis, cocta

duo pulmentaria, propter diversorum

infirmitatibus,

2. ut forte qui ex illo non potuerit edere ex alio

reficiatur.

3. Ergo duo pulmentaria cocta fratribus omnibus

sufficiant et, si fuerit unde poma aut nascentia

leguminum, addatur et tertium.

4. Panis libra una propensa sufficiat in die, sive

una sit refectio sive prandii et cenae:

5. quod si cenaturi sunt, de eadem libra tertia pars

a cellarario servetur reddenda cenandis.

6. Quod si labor forte factus fuerit maior, in

arbitrio et potestate abbatis erit, si expediat,

aliquid augere,

7. remota prae omnibus crapula et ut numquam

surripiat monacho indigeries,

8. quia nihil sic contrarium est omni christiano

quomodo crapula,
9. sicut ait Dominus noster: Videte ne graventur



corda vestra crapula.

10. Pueris vero minori aetate non eadem servetur

quantitas, sed minor quam maioribus, servata

in omnibus parcitate.

11. Carnium vero quadrupedum omnimodo ab

omnibus abstineatur comestio, praeter omnino

debiles aegrotos.
XXXIX - La misura del cibo

1. Volendo tenere il debito conto delle necessità

individuali, riteniamo che per il pranzo

quotidiano fissato - a seconda delle stagioni -

dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due

pietanze cotte,

2. in modo che chi eventualmente non fosse in

condizioni di prenderne una, possa servirsi

dell'altra.

3. Dunque a tutti i fratelli devono bastare due

pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di

procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se

ne aggiunga una terza.

4. Quanto al pane penso che basti un chilo

abbondante al giorno, sia quando c'è un solo

pasto, che quando c'è pranzo e cena.

5. In quest'ultimo caso il cellerario ne metta da

parte un terzo per distribuirlo a cena.

6. Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più

gravoso del solito, se l'abate lo riterrà

opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un

piccolo supplemento,

7. purché si eviti assolutamente ogni abuso e il

monaco si guardi dall'ingordigia.

8. Perché nulla è tanto sconveniente per un

cristiano, quanto gli eccessi della tavola,

9. come dice lo stesso nostro Signore: "State

attenti che il vostro cuore non sia appesantito

dal troppo cibo".

10. Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva

loro la medesima porzione, ma una quantità

minore, salvaguardando in tutto la sobrietà.

11. Tutti infine si astengano assolutamente dalla

carne di quadrupedi, a eccezione dei malati

molto deboli.
XL - De mensura potus

1. Unusquisque proprium habet donum ex Deo,



alius sic, alius vero sic;

2. et ideo cum aliqua scrupulositate a nobis

mensura victus aliorum constituitur.

3. Tamen infirmorum contuentes imbecillitatem,

credimus heminam vini per singulos sufficere

per diem.

4. Quibus autem donat Deus tolerantiam

abstinentiae, propriam se habituros mercedem

sciant.

5. Quod si aut loci necessitas vel labor aut ardor

aestatis amplius poposcerit, in arbitrio prioris

consistat, considerans in omnibus ne surrepat
XL - La misura del vino

1. "Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un

modo, chi in un altro"

2. ed è questo il motivo per cui fissiamo la

quantità del vitto altrui con una certa

perplessità.

3. Tuttavia, tenendo conto della cagionevole

costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti

possa bastare un quarto di vino a testa.

4. Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la

forza di astenersene completamente, sappiano

che ne riceveranno una particolare ricompensa.

5. Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura

estiva richiedessero una maggiore quantità, sia
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satietas aut ebrietas.

6. Licet legamus vinum omnino monachorum non

esse, sed quia nostris temporibus id monachis

persuaderi non potest, saltem vel hoc

consentiamus ut non usque ad satietatem

bibamus, sed parcius,
7. quia vinum apostatare facit etiam sapientes.

8. Ubi autem necessitas loci exposcit ut nec

suprascripta mensura inveniri possit, sed multo

minus aut ex toto nihil, benedicant Deum qui

ibi habitant et non murmurent.

9. Hoc ante omnia admonentes ut absque

murmurationibus sint.

in facoltà del superiore concederla, badando

sempre a evitare la sazietà e ancor più

l'ubriachezza.

6. Per quanto si legga che il vino non è fatto per i

monaci, siccome oggi non è facile convincerli

di questo, mettiamoci almeno d'accordo sulla

necessità di non bere fino alla sazietà, ma più

moderatamente,

7. perché "il vino fa apostatare i saggi".

8. I monaci poi che risiedono in località nelle

quali è impossibile procurarsi la suddetta

misura, ma se ne trova solo una quantità molto

minore o addirittura nulla, benedicano Dio e

non mormorino:

9. è questo soprattutto che mi preme di

raccomandare, che si guardino dalla

mormorazione.
XLI - Quibus horis oportet

reficere fratres

1. A sancto Pascha usque Pentecosten, ad sextam

reficiant fratres et sera cenent.

2. A Pentecosten autem, tota aestate, si labores

agrorum non habent monachi aut nimietas

aestatis non perturbat, quarta et sexta feria

ieiunent usque ad nonam;

3. reliquis diebus ad sextam prandeant;

4. quam prandii sextam, si operis in agris

habuerint aut aestatis fervor nimius fuerit,

continuanda erit et in abbatis sit providentia.

5. Et sic omnia temperet atque disponat qualiter

et animae salventur et quod faciunt fratres

absque iusta murmuratione faciant.

6. Ab idus autem Septembres usque caput

quadragesimae, ad nonam semper reficiant.

7. In quadragesima vero usque in Pascha, ad

vesperam reficiant;

8. ipsa tamen vespera sic agatur ut lumen

lucernae non indigeant reficientes, sed luce

adhuc diei omnia consummentur.

9. Sed et omni tempore, sive cena sive refectionis

hora sic temperetur ut luce fiant omnia.
XLI - L'orario dei pasti

1. Dalla santa Pasqua fino a Pentecoste i fratelli

pranzino all'ora di Sesta, cioè a mezzogiorno, e

cenino la sera.

2. Invece da Pentecoste in poi, per tutta l'estate, se

non sono impegnati nei lavori agricoli o

sfibrati dalla calura estiva, al mercoledì e al

venerdì digiunino sino all'ora di Nona, cioè fin

dopo le 14

3. e negli altri giorni pranzino all'ora di Sesta.

4. Ma nel caso che abbiano da lavorare nei campi

o che il caldo sia eccessivo, potranno pranzare

tutti i giorni alle 12, secondo quanto stabilirà

paternamente l'abate.

5. Così questi regoli e disponga tutto in modo che

le anime si salvino e i monaci possano

compiere il proprio dovere senza un motivo

fondato di mormorazione.

6. Dal 14 settembre fino all'inizio della

Quaresima pranzino sempre all'ora di Nona.

7. Durante la Quaresima, poi, fino a Pasqua

pranzino all'ora di Vespro:

8. questo Ufficio però dev'essere celebrato a

un'ora tale da non aver bisogno di accendere il

lume durante il pranzo e poter terminare

mentre è ancora giorno.

9. Anzi, in ogni stagione, sia l'ora del pranzo che

quella della cena devono essere fissate in

maniera che tutto si possa fare con la luce del

sole.
XLII - Ut post completorium

nemo loquatur

XLII - Il silenzio dopo compieta

1. I monaci devono custodire sempre il silenzio
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1. Omni tempore silentium debent studere

monachi, maxime tamen nocturnis horis.

2. Et ideo omni tempore, sive ieiunii sive prandii:

3. si tempus fuerit prandii, mox surrexerint a

cena, sedeant omnes in unum et legat unus

Collationes vel Vitas Patrum aut certe aliud

quod aedificet audientes,

4. non autem Heptateuchum aut Regum, quia

infirmis intellectibus non erit utile illa hora

hanc scripturam audire, aliis vero horis

legantur.

5. Si autem ieiunii dies fuerit, dicta vespera parvo

intervallo mox accedant ad lectionem

Collationum, ut diximus.

6. Et lectis quattuor aut quinque foliis vel

quantum hora permittit,

7. omnibus in unum occurrentibus per hanc

moram lectionis, si qui forte in assignato sibi

commisso fuit occupatus,

8. omnes ergo in unum positi compleant et,

exeuntes a completoriis, nulla sit licentia denuo

cuiquam loqui aliquid.

9. Quod si inventus fuerit quisquam praevaricare

hanc taciturnitatis regulam, gravi vindictae

subiaceat --

10. excepto si necessitas hospitum supervenerit aut

forte abbas alicui aliquid iusserit,

11. quod tamen et ipsud cum summa gravitate et

moderatione honestissima fiat.

con amore, ma soprattutto durante la notte.

2. Perciò in ogni periodo dell'anno, sia di digiuno

oppure no, si procederà nel modo seguente:

3. se non si digiuna, appena alzati da cena, i

monaci si riuniscano tutti insieme e uno di loro

legga le Conferenze o le Vite dei Padri o

qualche altra opera di edificazione,

4. ma non i primi sette libri della Bibbia e

neppure quelli dei Re, perché ai temperamenti

impressionabili non fa bene ascoltare a

quell'ora i suddetti testi scritturistici, che però

si dovranno leggere in altri momenti;

5. se invece fosse giorno di digiuno, dopo la

celebrazione dei Vespri e un breve intervallo,

vadano direttamente alla lettura di cui abbiamo

parlato

6. e leggano quattro o cinque pagine o quanto è

consentito dal tempo a disposizione,

7. perché durante questo intervallo della lettura

possano radunarsi tutti, compresi quelli che

fossero eventualmente stati occupati in qualche

incombenza.

8. Quando saranno tutti riuniti, dicano insieme

Compieta, all'uscita dalla quale non sia più

permesso ad alcuno di pronunciare una parola.

9. Chiunque sia colto a trasgredire questa regola

del silenzio venga severamente punito,

10. eccetto il caso in cui sopraggiungano degli

ospiti o l'abate abbia dato un ordine a un

monaco;

11. ma anche in questa eventualità bisogna

procedere con la massima gravità e il debito

riserbo.
XLIII - De his qui ad Opus Dei

vel ad mensam tarde occurrunt

1. Ad horam divini officii, mox auditus fuerit

signus, relictis omnibus quaelibet fuerint in

manibus, summa cum festinatione curratur,

2. cum gravitate tamen, ut non scurrilitas inveniat

fomitem.

3. Ergo nihil Operi Dei praeponatur.

4. Quod si quis in nocturnis vigiliis post gloriam

psalmi nonagesimi quarti, quem propter hoc

omnino subtrahendo et morose volumus dici,

occurrerit, non stet in ordine suo in choro,

5. sed ultimus omnium stet aut in loco quem

talibus neglegentibus seorsum constituerit

abbas, ut videantur ab ipso vel ab omnibus,
XLIII - La puntualità nell'Ufficio

divino e in refettorio

1. All'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il

segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le

mani, si accorra con la massima sollecitudine,

2. ma nello stesso tempo con gravità, per non

dare adito alla leggerezza.

3. In altre parole non si anteponga nulla all'Opera

di Dio".

4. Se qualcuno arriva all'Ufficio notturno dopo il

Gloria del salmo 94, che proprio per questo

motivo vogliamo sia cantato molto lentamente

e con pause, non occupi il proprio posto nel

coro,

5. ma si metta all'ultimo o in quella parte che

l'abate avrà destinato per questi negligenti,

perché siano veduti da lui e da tutti,

6. e vi rimanga fino a quando, al termine del
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6. usque dum completo Opere Dei publica

satisfactione paeniteat.

7. Ideo autem eos in ultimo aut seorsum

iudicavimus debere stare ut, visi ab omnibus,

vel pro ipsa verecundia sua emendent;

8. nam, si foris oratorium remaneant, erit forte

talis qui se aut recollocet et dormit, aut certe

sedit sibi foris vel fabulis vacat, et datur

occasio maligno;

9. sed ingrediantur intus, ut nec totum perdant et

de reliquo emendent.

10. Diurnis autem horis, qui ad opus Dei post

versum et gloriam primi psalmi qui post

versum dicitur non occurrerit, lege qua supra

diximus in ultimo stent,

11. nec praesumant sociari choro psallentium

usque ad satisfactionem, nisi forte abbas

licentiam dederit remissione sua,

12. ita tamen ut satisfaciat reus ex hoc.

13. Ad mensam autem qui ante versu non

occurrerit, ut simul omnes dicant versu et orent

et sub uno omnes accedant ad mensam,

14. qui per neglegentiam suam aut vitio non

occurrerit, usque secunda vice pro hoc

corripiatur;

15. si denuo non emendaverit, non permittatur ad

mensae communis participationem,

16. sed sequestratus a consortio omnium reficiat

solus, sublata ei portione sua vinum, usque ad

satisfactionem et emendationem.

17. Similiter autem patiatur qui et ad illum versum

non fuerit praesens qui post cibum dicitur.

18. Et ne quis praesumat ante statutam horam vel

postea quicquam cibi aut potus praesumere;

19. sed et cui offertur aliquid a priore et accipere

renuit, hora qua desideraverit hoc quod prius

recusavit aut aliud, omnino nihil percipiat

usque ad emendationem congruam.

l'Ufficio divino, avrà riparato dinanzi a tutta la

comunità con una penitenza.

7. Abbiamo ritenuto opportuno far rimanere

questi ritardatari all'ultimo posto o in un canto,

perché si correggano almeno per la vergogna di

essere visti da tutti.

8. Se, infatti, rimanessero fuori del coro, ci

potrebbe essere qualcuno che ritorna a dormire

o si siede fuori o si mette a chiacchierare,

dando così occasione al demonio;

9. è bene invece che entrino, in modo da non

perdere tutto l'Ufficio e correggersi per

l'avvenire.

10. Nelle Ore del giorno, invece, il monaco che

arriva all'Ufficio divino dopo il versetto o il

Gloria del primo salmo, che segue lo stesso

versetto, si metta all'ultimo posto, secondo la

norma precedente,

11. e non si permetta di unirsi al coro dei fratelli

che salmeggiano, fino a che non avrà riparato,

a meno che l'abate gliene dia il permesso con il

suo perdono;

12. ma anche in questo caso il ritardatario dovrà

riparare la sua mancanza.

13. Per quanto riguarda il refettorio, chi non arriva

prima del versetto in modo che tutti uniti

dicano il versetto stesso, preghino e poi

siedano insieme a mensa,

14. se la mancanza è dovuta a negligenza o cattiva

volontà, sia rimproverato fino a due volte.

15. Ma se ancora non si corregge, sia escluso dalla

mensa comune

16. e mangi da solo, separato dalla comunità e

senza la sua razione di vino, fino a che non

abbia riparato e si sia corretto.

17. Lo stesso castigo sia inflitto al monaco che non

si trovi presente al versetto che si recita dopo il

pranzo.

18. Nessuno poi si permetta di mangiare o di bere

qualcosa prima dell'ora stabilita.

19. Ma il monaco che non avesse accettato ciò che

gli era stato offerto dal superiore, quando

desidererà quello che ha rifiutato in precedenza

o altro, non ottenga assolutamente nulla fino a

che non dimostri di essersi debitamente

corretto.
XLIV - De his qui

excommunicantur, quomodo

satisfaciant

XLIV - La riparazione degli

scomunicati

1. Il monaco che per colpe gravi è stato escluso
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1. Qui pro gravibus culpis ab oratorio et a mensa

excommunicantur, hora qua opus Dei in

oratorio percelebratur, ante fores oratorii

prostratus iaceat nihil dicens,

2. nisi tantum posito in terra capite, stratus pronus

omnium de oratorio exeuntium pedibus;

3. et hoc tamdiu faciat usque dum abbas

iudicaverit satisfactum esse.

4. Qui dum iussus ab abbate venerit, volvat se

ipsius abbatis deinde omnium vestigiis ut orent

pro ipso,

5. et tunc, si iusserit abbas, recipiatur in choro vel

in ordine quo abbas decreverit;

6. ita sane ut psalmum aut lectionem vel aliud

quid non praesumat in oratorio imponere nisi

iterum abbas iubeat;

7. et omnibus horis, dum percompletur opus Dei,

proiciat se in terra in loco quo stat,

8. et sic satisfaciat usque dum ei iubeat iterum

abbas ut quiescat iam ab hac satisfactione.

9. Qui vero pro levibus culpis excommunicantur

tantum a mensa, in oratorio satisfaciant usque

ad iussionem abbatis;

10. hoc perficiant usque dum benedicat et dicat:

Sufficit!

dal coro e della mensa comune, al termine

dell'Ufficio divino si prostri in silenzio davanti

alla porta del coro,

2. rimanendo lì disteso con la faccia a terra

dinanzi a tutti quelli che escono

3. e continui a fare in questo modo fino a quando

l'abate non giudichi che ha sufficientemente

riparato.

4. Quando poi sarà chiamato dall'abate, si getti ai

piedi di lui e di tutti i fratelli per chiedere le

loro preghiere.

5. Allora, se l'abate vorrà, potrà essere riammesso

in coro al suo posto o a quello designato dallo

stesso abate,

6. senza permettersi, però, di recitare un salmo,

una lezione o altro, a meno che l'abate glielo

ordini.

7. Inoltre al termine di tutte le Ore dell'Ufficio

divino, si prostri a terra lì dove si trova

8. e faccia così la sua riparazione, finché l'abate

non metterà fine a questa penitenza.

9. Quelli, invece, che per colpe più leggere sono

stati esclusi solo dalla mensa, facciano

penitenza in coro per il tempo stabilito

dall'abate

10. e la ripetano fin tanto che questi li benedica e

dica: Basta!
XLV - De his qui falluntur in

oratorio

1. Si quis dum pronuntiat psalmum,

responsorium, antiphonam vel lectionem

fallitus fuerit, nisi satisfactione ibi coram

omnibus humiliatus fuerit, maiori vindictae

subiaceat,

2. quippe qui noluit humilitate corrigere quod

neglegentia deliquit.

3. Infantes autem pro tali culpa vapulent.
XLV - La riparazione per gli

errori commessi in coro

1. Se un monaco commette un errore mentre

recita un salmo, un responsorio, un'antifona o

una lezione e non si umilia davanti a tutti con

una penitenza, sia sottoposto a una punizione

più severa,

2. perché non ha voluto correggersi umilmente

dell'errore commesso per negligenza.

3. Nel caso dei ragazzi, invece, per una colpa di

questo genere si ricorra al castigo corporale.
XLVI - De his qui in aliis

quibuslibet rebus delinquunt

1. Si quis dum in labore quovis, in coquina, in

cellario, in ministerio, in pistrino, in horto, in

arte aliqua dum laborat, vel in quocumque

loco, aliquid deliquerit,

2. aut fregerit quippiam aut perdiderit, vel aliud

quid excesserit ubiubi,

3. et non veniens continuo ante abbatem vel
XLVI - La riparazione per le

altre mancanze

1. Se, mentre è impegnato in un qualsiasi lavoro

in cucina, in dispensa, nel proprio servizio, nel

forno, nell'orto, in qualche attività o si trova in

un altro luogo qualunque, un monaco

commette uno sbaglio,

2. rompe o perde un oggetto o incorre comunque

in una mancanza

3. e non si presenta subito all'abate e alla
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congregationem ipse ultro satisfecerit et

prodiderit delictum suum,

4. dum per alium cognitum fuerit, maiori

subiaceat emendationi.

5. Si animae vero peccati causa fuerit latens,

tantum abbati aut spiritalibus senioribus

patefaciat,

6. qui sciat curare et sua et aliena vulnera, non

detegere et publicare.

comunità per riparare spontaneamente e

confessare la propria colpa,

4. sarà sottoposto a una punizione più severa,

quando il fatto verrà reso noto da altri.

5. Ma se il movente segreto del peccato fosse

nascosto nell'intimo della coscienza, lo

manifesti solo all'abate o a qualche monaco

anziano,

6. che sappia curare le miserie proprie e altrui

senza svelarle e renderle di pubblico dominio.
XLVII - De significanda hora

Operis Dei

1. Nuntianda hora Operis Dei dies noctesque sit

cura abbatis: aut ipse nuntiare aut tali sollicito

fratri iniungat hanc curam, ut omnia horis

competentibus compleantur.

2. Psalmos autem vel antiphonas post abbatem

ordine suo quibus iussum fuerit imponant.

3. Cantare autem et legere non praesumat nisi qui

potest ipsud officium implere ut aedificentur

audientes;

4. quod cum humilitate et gravitate et tremore

fiat, et cui iusserit abbas.
XLVII - Il segnale per l'Ufficio

divino

1. Bisogna che l'abate si assuma personalmente il

compito di dare il segnale per l'Ufficio divino,

oppure lo affidi a un monaco diligente in modo

che tutto avvenga regolarmente nelle ore

fissate.

2. L'intonazione dei salmi e delle antifone,

secondo l'ordine prestabilito, spetta, dopo

l'abate, ai monaci appositamente designati.

3. E nessuno si permetta di cantare o di leggere

all'infuori di chi è capace di farlo in maniera da

edificare i suoi ascoltatori;

4. inoltre questo compito dev'essere svolto con

umiltà, gravità e reverenza e solo dietro

incarico dell'abate.
XLVIII - De opera manuum

cotidiana

1. Otiositas inimica est animae, et ideo certis

temporibus occupari debent fratres in labore

manuum, certis iterum horis in lectione divina.

2. Ideoque hac dispositione credimus utraque

tempore ordinari:

3. id est ut a Pascha usque kalendas Octobres a

mane exeuntes a prima usque hora paene

quarta laborent quod necessarium fuerit;

4. ab hora autem quarta usque hora qua sextam

agent lectioni vacent;

5. post sextam autem surgentes a mensa pausent

in lecta sua cum omni silentio, aut forte qui

voluerit legere sibi sic legat ut alium non

inquietet;

6. et agatur nona temperius mediante octava hora,
XLVIII - Il lavoro quotidiano

1. L'ozio è nemico dell'anima, perciò i monaci

devono dedicarsi al lavoro in determinate ore e

in altre, pure prestabilite, allo studio della

parola di Dio.

2. Quindi pensiamo di regolare gli orari di queste

due attività fondamentali nel modo seguente:

3. da Pasqua fino al 14 settembre, al mattino

verso le 5 quando escono da Prima, lavorino

secondo le varie necessità fino alle 9;

4. dalle 9 fino all'ora di Sesta si dedichino allo

studio della parola di Dio.

5. Dopo l'Ufficio di Sesta e il pranzo, quando si

alzano da tavola, riposino nei rispettivi letti in

assoluto silenzio e, se eventualmente qualcuno

volesse leggere per proprio conto, lo faccia in

modo da non disturbare gli altri.

6. Si celebri Nona con un po' di anticipo, verso le

14, e poi tutti riprendano il lavoro assegnato

dall'obbedienza fino all'ora di Vespro.

7. Ma se le esigenze locali o la povertà richiedono

che essi si occupino personalmente della
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et iterum quod faciendum est operentur usque

ad vesperam.

7. Si autem necessitas loci aut paupertas exegerit

ut ad fruges recolligendas per se occupentur,

non contristentur,

8. quia tunc vere monachi sunt si labore manuum

suarum vivunt, sicut et patres nostri et apostoli.

9. Omnia tamen mensurate fiant propter

pusillanimes.

10. A kalendas autem Octobres usque caput

quadragesimae, usque in hora secunda plena

lectioni vacent;

11. hora secunda agatur tertia, et usque nona

omnes in opus suum laborent quod eis

iniungitur;

12. facto autem primo signo nonae horae,

deiungant ab opera sua singuli et sint parati

dum secundum signum pulsaverit.

13. Post refectionem autem vacent lectionibus suis

aut psalmis.

14. In quadragesimae vero diebus, a mane usque

tertia plena vacent lectionibus suis, et usque

decima hora plena operentur quod eis

iniungitur.

15. In quibus diebus quadragesimae accipiant

omnes singulos codiccs de bibliotheca, quos

per ordinem ex integro legant;

16. qui codices in caput quadragesimae dandi sunt.

17. Ante omnia sane deputentur unus aut duo

seniores qui circumeant monasterium horis

quibus vacant fratres lectioni,

18. et videant ne forte inveniatur frater acediosus

qui vacat otio aut fabulis et non est intentus

lectioni, et non solum sibi inutilis est, sed etiam

alios distollit:

19. hic talis si -- quod absit -- repertus fuerit,

corripiatur semel et secundo;

20. si non emendaverit, correptioni regulari

subiaceat taliter ut ceteri timeant.

21. Neque frater ad fratrem iungatur horis

incompetentibus.

22. Dominico item die lectioni vacent omnes,

excepto his qui variis officiis deputati sunt.

23. Si quis vero ita neglegens et desidiosus fuerit

ut non velit aut non possit meditare aut legere,

iniungatur ei opus quod faciat, ut non vacet.

raccolta dei prodotti agricoli, non se ne

lamentino,

8. perché i monaci sono veramente tali, quando

vivono del lavoro delle proprie mani come i

nostri padri e gli Apostoli.

9. Tutto però si svolga con discrezione, in

considerazione dei più deboli.

10. Dal 14 settembre, poi, fino al principio della

Quaresima, si applichino allo studio fino alle 9,

11. quando celebreranno l'ora di Terza, dopo la

quale tutti saranno impegnati nei rispettivi

lavori fino a Nona, e cioè alle 14.

12. Al primo segnale di Nona, ciascuno interrompa

il proprio lavoro per essere pronto al suono del

secondo segnale.

13. Dopo il pranzo si dedichino alla lettura

personale o allo studio dei salmi.

14. Durante la Quaresima leggano dall'alba fino

alle 9 inoltrate e poi lavorino in conformità agli

ordini ricevuti fino verso le 4 pomeridiane.

15. In quei giorni di Quaresima ciascuno riceva un

libro dalla biblioteca e lo legga ordinatamente

da cima a fondo.

16. I suddetti libri devono essere distribuiti

all'inizio della Quaresima.

17. E per prima cosa bisognerà incaricare uno o

due monaci anziani di fare il giro del

monastero nelle ore in cui i fratelli sono

occupati nello studio,

18. per vedere se per caso ci sia qualche monaco

indolente, che, invece di dedicarsi allo studio,

perda, tempo oziando e chiacchierando e

quindi, oltre a essere improduttivo per sé,

distragga anche gli altri.

19. Se si trovasse - non sia mai! - un fratello che si

comporta in questo modo, sia rimproverato una

prima e una seconda volta,

20. ma se non si corregge, gli si infligga una

punizione prevista dalla Regola, in modo da

incutere anche negli altri un salutare timore.

21. Non è neppure permesso che un monaco si

trovi con un altro fuori del tempo stabilito.

22. Anche alla domenica si dedichino tutti allo

studio della parola di Dio, a eccezione di quelli

destinati ai vari servizi.

23. Ma se ci fosse qualcuno tanto negligente e

fannullone da non volere o poter studiare o

leggere, gli si dia qualche lavoro da fare,

perché non rimanga in ozio.

24. Infine ai monaci infermi o cagionevoli si

assegni un lavoro o un'attività che non li lasci

nell'inazione e nello stesso tempo non li

sfinisca per l'eccessiva fatica, spingendoli ad

andarsene,

25. poiché l'abate ha il dovere di tener conto della

loro debolezza.
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24. Fratribus infirmis aut delicatis talis opera aut

ars iniungatur ut nec otiosi sint nec violentia

laboris opprimantur aut effugentur.

25. Quorum imbecillitas ab abbate consideranda

est.
XLIX - De Quadragesimae

observatione

1. Licet omni tempore vita monachi

quadragesimae debet observationem habere,

2. tamen, quia paucorum est ista virtus, ideo

suademus istis diebus quadragesimae omni

puritate vitam suam custodire omnes pariter,

3. et neglegentias aliorum temporum his diebus

sanctis diluere.

4. Quod tunc digne fit si ab omnibus vitiis

temperamus, orationi cum fletibus, lectioni et

compunctioni cordis atque abstinentiae operam

damus.

5. Ergo his diebus augeamus nobis aliquid solito

pensu servitutis nostrae, orationes peculiares,

ciborum et potus abstinentiam,

6. ut unusquisque super mensuram sibi indictam
aliquid propria voluntate cum gaudio Sancti

Spiritus offerat Deo,


7. id est subtrahat corpori suo de cibo, de potu, de

somno, de loquacitate, de scurrilitate, et cum

spiritalis desiderii gaudio sanctum Pascha

exspectet.

8. Hoc ipsud tamen quod unusquisque offerit

abbati suo suggerat, et cum eius fiat oratione et

voluntate,

9. quia quod sine permissione patris spiritalis fit,

praesumptioni deputabitur et vanae gloriae,

non mercedi.

10. Ergo cum voluntate abbatis omnia agenda sunt.
XLIX - La Quaresima dei monaci

1. Anche se è vero che la vita del monaco deve

avere sempre un carattere quaresimale,

2. visto che questa virtù è soltanto di pochi,

insistiamo particolarmente perché almeno

durante la Quaresima ognuno vigili con gran

fervore sulla purezza della propria vita,

3. profittando di quei santi giorni per cancellare

tutte le negligenze degli altri periodi dell'anno.

4. E questo si realizza degnamente, astenendosi

da ogni peccato e dedicandosi con impegno

alla preghiera accompagnata da lacrime di

pentimento, allo studio della parola di Dio, alla

compunzione del cuore e al digiuno.

5. Perciò durante la Quaresima aggiungiamo un

supplemento al dovere ordinario del nostro

servizio, come, per es., preghiere particolari,

astinenza nel mangiare o nel bere,

6. in modo che ognuno di noi possa di propria

iniziativa offrire a Dio "con la gioia dello

Spirito Santo" qualche cosa di più di quanto

deve già per la sua professione monastica;

7. si privi cioè di un po' di cibo, di vino o di

sonno, mortifichi la propria inclinazione alle

chiacchiere e allo scherzo e attenda la santa

Pasqua con l'animo fremente di gioioso

desiderio.

8. Ma anche ciò che ciascuno vuole offrire

personalmente a Dio dev'essere prima

sottoposto umilmente all'abate e poi compiuto

con la sua benedizione e approvazione,

9. perché tutto quello che si fa senza il permesso

dell'abate sarà considerato come presunzione e

vanità, anziché come merito.

10. Perciò si deve far tutto con l'autorizzazione

dell'abate.
L - De fratribus qui longe ab

oratorio laborant aut in via sunt

1. Fratres qui omnino longe sunt in labore et non

possunt occurrere hora competenti ad

oratorium

2. --et abbas hoc perpendet, quia ita est--
L - I monaci che lavorano

lontano o sono in viaggio

1. I fratelli, che lavorano molto lontano e non

possono essere presenti in coro nell'ora fissata

per l'Ufficio divino,

2. se l'impossibilità in cui si trovano è stata
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3. agant ibidem Opus Dei, ubi operantur, cum

tremore divino flectentes genua.

4. Similiter, qui in itinere directi sunt, non eos

praetereant horae constitutae, sed ut possunt

agant sibi et servitutis pensum non neglegant

reddere.

effettivamente accettata dall'abate,

3. recitino pure l'Ufficio divino sul posto di

lavoro, mettendosi in ginocchio per la

reverenza dovuta a Dio.

4. Così pure quelli, che sono mandati in viaggio,

non lascino passare le ore stabilite per l'Ufficio,

ma lo recitino come meglio possono e non

trascurino l'adempimento del dovere inerente al

loro sacro servizio.
LI - De fratribus qui non longe

satis profiscuntur

1. Frater qui pro quovis responso dirigitur et ea

die speratur reverti ad monasterium, non

praesumat foris manducare, etiam si omnino

rogetur a quovis,

2. nisi forte ei ab abbate suo praecipiatur.

3. Quod si aliter fecerit, excommunicetur.
LI - I monaci che si recano nelle

vicinanze

1. Il monaco, che viene mandato fuori per

qualche commissione e conta di tornare in

monastero nella stessa giornata, non si

permetta di mangiare fuori, anche se viene

pregato con insistenza da qualsiasi persona,

2. a meno che l'abate non gliene abbia dato il

permesso.

3. Se contravverrà a questa prescrizione, sarà

scomunicato.
LII - De oratorio monasterii

1. Oratorium hoc sit quod dicitur, nec ibi

quicquam aliud geratur aut condatur.

2. Expleto Opere Dei, omnes cum summo silentio

exeant, et habeatur reverentia Deo,

3. ut frater qui forte sibi peculiariter vult orare

non impediatur alterius improbitate.

4. Sed et si aliter vult sibi forte secretius orare,

simpliciter intret et oret, non in clamosa voce,

sed in lacrimis et intentione cordis.

5. Ergo qui simile opus non facit, non permittatur

explicito Opere Dei remorari in oratorio, sicut

dictum est, ne alius impedimentum patiatur.
LII - La chiesa del monastero

1. La chiesa sia quello che dice il suo nome,

quindi in essa non si faccia né si riponga altro.

2. Alla fine dell'Ufficio divino escano tutti in

perfetto silenzio e con grande rispetto per Dio,

3. in modo che, se un monaco volesse rimanere a

pregare. privatamente, non sia impedito

dall'indiscrezione altrui.

4. Se, però, anche in un altro momento qualcuno

desidera pregare per proprio conto, entri

senz'altro e preghi, non a voce alta, ma con

lacrime e intimo ardore.

5. Perciò, come abbiamo detto, chi non intende

dedicarsi all'orazione si guardi bene dal

trattenersi in chiesa dopo la celebrazione del

divino Ufficio, per evitare che altri siano

disturbati dalla sua presenza.
LIII - De hospitibus suscipiendis

1. Omnes supervenientes hospites tamquam

Christus suscipiantur, quia ipse dicturus est:
Hospes fui et suscepistis me;

2. et omnibus congruus honor exhibeatur, maxime

domesticis fidei et peregrinis.


3. Ut ergo nuntiatus fuerit hospes, occurratur ei a

priore vel a fratribus cum omni officio caritatis,
LIII - L'accoglienza degli ospiti

1. Tutti gli ospiti che giungono in monastero

siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno

egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto"

2. e a tutti si renda il debito onore, ma in modo

particolare ai nostri confratelli e ai pellegrini.

3. Quindi, appena viene annunciato l'arrivo di un

ospite, il superiore e i monaci gli vadano
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4. et primitus orent pariter, et sic sibi socientur in

pace.

5. Quod pacis osculum non prius offeratur nisi

oratione praemissa, propter illusiones

diabolicas.

6. In ipsa autem salutatione omnis exhibeatur

humilitas omnibus venientibus sive

discedentibus hospitibus:

7. inclinato capite vel prostrato omni corpore in

terra, Christus in eis adoretur qui et suscipitur.

8. Suscepti autem hospites ducantur ad orationem

et postea sedeat cum eis prior aut cui iusserit

ipse.

9. Legatur coram hospite lex divina ut aedificetur,

et post haec omnis ei exhibeatur humanitas.

10. Ieiunium a priore frangatur propter hospitem,

nisi forte praecipuus sit dies ieiunii qui non

possit violari;

11. fratres autem consuetudines ieiuniorum

prosequantur.

12. Aquam in manibus abbas hospitibus det;

13. pedes hospitibus omnibus tam abbas quam

cuncta congregatio lavet;
14. quibus lotis, hunc versum dicant: Suscepimus,



Deus, misericordiam tuam in medio templi tui.

15. Pauperum et peregrinorum maxime susceptioni

cura sollicite exhibeatur, quia in ipsis magis

Christus suscipitur; nam divitum terror ipse

sibi exigit honorem.

16. Coquina abbatis et hospitum super se sit, ut,

incertis horis supervenientes hospites, qui

numquam desunt monasterio, non inquietentur

fratres.

17. In qua coquina ad annum ingrediantur duo

fratres qui ipsud officium bene impleant.

18. Quibus, ut indigent, solacia administrentur, ut

absque murmuratione serviant, et iterum,

quando occupationem minorem habent, exeant

ubi eis imperatur in opera.

19. Et non solum ipsis, sed et in omnibus officiis

monasterii ista sit consideratio,

20. ut quando indigent solacia accommodentur eis,

et iterum quando vacant oboediant imperatis.

incontro, manifestandogli in tutti i modi il loro

amore;

4. per prima cosa preghino insieme e poi entrino

in comunione con lui, scambiandosi la pace.

5. Questo bacio di pace non dev'essere offerto

prima della preghiera per evitare le illusioni

diaboliche.

6. Nel saluto medesimo si dimostri già una

profonda umiltà verso gli ospiti in arrivo o in

partenza,

7. adorando in loro, con il capo chino o il corpo

prostrato a terra, lo stesso Cristo, che così

viene accolto nella comunità.

8. Dopo questo primo ricevimento, gli ospiti

siano condotti a pregare e poi il superiore o un

monaco da lui designato si siedano insieme con

loro.

9. Si legga all'ospite un passo della sacra

Scrittura, per sua edificazione, e poi gli si usino

tutte le attenzioni che può ispirare un fraterno e

rispettoso senso di umanità.

10. Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non

può essere violato, il superiore rompa pure il

suo digiuno per far compagnia all'ospite,

11. mentre i fratelli continuino a digiunare come al

solito.

12. L'abate versi personalmente l'acqua sulle mani

degli ospiti per la consueta lavanda;

13. lui stesso, poi, e tutta la comunità lavino i piedi

a ciascuno degli ospiti

14. e al termine di questo fraterno servizio dicano

il versetto: "Abbiamo ricevuto la tua

misericordia, o Dio, nel mezzo del tuo

Tempio".

15. Specialmente i poveri e i pellegrini siano

accolti con tutto il riguardo e la premura

possibile, perché è proprio in loro che si riceve

Cristo in modo tutto particolare e, d'altra parte,

l'imponenza dei ricchi incute rispetto già di per

sé.

16. La cucina dell'abate e degli ospiti sia a parte,

per evitare che i monaci siano disturbati

dall'arrivo improvviso degli ospiti, che non

mancano mai in monastero.

17. Il servizio di questa cucina sia affidato

annualmente a due fratelli, che sappiano

svolgerlo come si deve.

18. A costoro si diano anche degli aiuti, se ce n'è

bisogno, perché servano senza mormorare, ma,

a loro volta, quando hanno meno da fare,

vadano a lavorare dove li manda l'obbedienza.

19. E non solo in questo caso, ma nei confronti di

tutti i fratelli impegnati in qualche particolare

servizio del monastero, si segua un tale

principio

20. e cioè che, se occorre, si concedano loro degli

aiuti, mentre, una volta terminato il proprio
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21. Item et cellam hospitum habeat assignatam

frater cuius animam timor Dei possidet;

22. ubi sint lecti strati sufficienter. Et domus Dei a

sapientibus et sapienter administretur.

23. Hospitibus autem cui non praecipitur ullatenus

societur neque colloquatur;

24. sed si obviaverit aut viderit, salutatis humiliter,

ut diximus, et petita benedictione pertranseat,

dicens sibi non licere colloqui cum hospite.

lavoro, essi devono tenersi disponibili per

qualsiasi ordine.

21. Così pure la foresteria, ossia il locale destinato

agli ospiti, sia affidata a un monaco pieno di

timor di Dio:

22. in essa ci siano dei letti forniti di tutto il

necessario e la casa di Dio sia governata con

saggezza da persone sagge.

23. Nessuno, poi, a meno che ne abbia ricevuto

l'incarico, prenda contatto o si intrattenga con

gli ospiti,

24. ma se qualcuno li incontra o li vede, dopo

averli salutati umilmente come abbiamo detto e

aver chiesta la benedizione, passi oltre,

dichiarando di non avere il permesso di parlare

con gli ospiti.
LIV - Si debeat monachus litteras

vel aliquid suscipere

1. Nullatenus liceat monacho neque a parentibus

suis neque a quoquam hominum nec sibi

invicem litteras, eulogias vel quaelibet

munuscula accipere aut dare sine praecepto

abbatis.

2. Quod si etiam a parentibus suis ei quicquam

directum fuerit non praesumat suscipere illud,

nisi prius indicatum fuerit abbati.

3. Quod si iusserit suscipi, in abbatis sit potestate

cui illud iubeat dari,

4. et non contristetur frater cui forte directum

fuerat, ut non detur occasio diabolo.

5. Qui autem aliter praesumpserit, disciplinae

regulari subiaceat.
LIV - La distribuzione delle

lettere e dei regali destinati ai

singoli monaci

1. Senza il consenso dell'abate nessun monaco

può ricevere dai suoi parenti o da qualunque

altra persona lettere, oggetti di devozione o

altri piccoli regali e neanche farne a sua volta o

scambiarli con i confratelli.

2. E anche se i parenti gli mandassero qualche

dono, non si permetta di accettarlo, senza

averne prima informato l'abate.

3. Ma questi, anche nel caso che dia il suo

consenso per ricevere il dono, può sempre

assegnarlo a chi vuole

4. e il monaco a cui era destinato non deve farsi

di questo un motivo di afflizione, per non dare

occasione al diavolo.

5. Se poi qualcuno si provasse a comportarsi

diversamente, sia sottoposto ai castighi dalla

Regola.
LV - De vestiario vel calciario

fratrum

1. Vestimenta fratribus secundum locorum

qualitatem ubi habitant vel aerum temperiem

dentur,

2. quia in frigidis regionibus amplius indigetur, in

calidis vero minus.

3. Haec ergo consideratio penes abbatem est.

4. Nos tamen mediocribus locis sufficere

credimus monachis per singulos cucullam et

tunicam

5. --cucullam in hieme villosam, in aestate puram

aut vetustam --
LV - Gli abiti e le calzature dei

monaci

1. Bisogna dare ai monaci degli abiti adatti alle

condizioni e al clima della località in cui

abitano,

2. perché nelle zone fredde si ha maggiore

necessità di coprirsi e in quelle calde di meno:

3. il giudizio al riguardo è di competenza

dell'abate.

4. Comunque riteniamo che nei climi temperati

bastino per ciascun monaco una tonaca e una

cocolla,

5. quest'ultima di lana pesante per l'inverno e
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6. et scapulare propter opera, indumenta pedum

pedules et caligas.

7. De quarum rerum omnium colore aut

grossitudine non causentur monachi, sed quales

inveniri possunt in provincia qua degunt aut

quod vilius comparari possit.

8. Abbas autem de mensura provideat ut non sint

curta ipsa vestimenta utentibus ea, sed

mensurata.

9. Accipientes nova, vetera semper reddant in

praesenti reponenda in vestiario propter

pauperes.

10. Sufficit enim monacho duas tunicas et duas

cucullas habere propter noctes et propter lavare

ipsas res;

11. iam quod supra fuerit superfluum est, amputari

debet.

12. Et pedules et quodcumque est vetere reddant

dum accipiunt novum.

13. Femoralia hi qui in via diriguntur de vestario

accipiant, quae revertentes lota ibi restituant.

14. Et cucullae et tunicae sint aliquanto a solito

quas habent modice meliores; quas exeuntes in

via accipiant de vestiario et revertentes

restituant.

15. Stramenta autem lectorum sufficiant matta,

sagum et lena, et capitale.

16. Quae tamen lecta frequenter ab abbate

scrutinanda sunt propter opus peculiare, ne

inveniatur;

17. et si cui inventum fuerit quod ab abbate non

accepit, gravissimae disciplinae subiaceat.

18. Et ut hoc vitium peculiaris radicitus amputetur,

dentur ab abbate omnia quae sunt necessaria,

19. id est cuculla, tunica, pedules, caligas, bracile,

cultellum, graphium, acum, mappula, tabulas,

ut omnis auferatur necessitatis excusatio.

20. A quo tamen abbate semper consideretur illa

sententia Actuum Apostolorum, quia dabatur

singulis prout cuique opus erat.

21. Ita ergo et abbas consideret infirmitates

indigentium, non malum voluntatem

invidentium;

22. in omnibus tamen iudiciis suis Dei

retributionem cogitet.

leggera o lisa per l'estate;

6. inoltre lo scapolare per il lavoro e come

calzature, scarpe e calze.

7. Quanto al colore e alla qualità di tutti questi

indumenti, i monaci non devono attribuirvi

eccessiva importanza, accontentandosi di

quello che si può trovare sul posto ed è più a

buon mercato.

8. L'abate però stia attento alla misura degli abiti,

in modo che non siano troppo corti, ma della

taglia di chi li indossa.

9. I monaci che ricevono gli indumenti nuovi,

restituiscano i vecchi, che devono essere riposti

nel guardaroba per poi distribuirli ai poveri.

10. Infatti a ogni monaco bastano due cocolle e

due tonache per potersi cambiare la notte e per

lavarle;

11. il di più è superfluo e dev'essere eliminato.

12. Anche le calze e qualsiasi altro oggetto usato

dev'essere restituito, quando ne viene assegnato

uno nuovo.

13. I monaci, che sono mandati in viaggio,

ricevano dal guardaroba gli indumenti

occorrenti, che restituiranno poi lavati al

ritorno.

14. Anche le cocolle e le tonache per il viaggio

siano un po' migliori di quelle portate

usualmente; gli interessati le prendano in

consegna dal guardaroba, quando partono, e le

restituiscano al ritorno.

15. Per la fornitura dei letti poi bastino un

pagliericcio, una coperta di grossa tela, un

coltrone e un cuscino di paglia o di crine.

16. I letti, però, devono essere frequentemente

ispezionati dall'abate, per vedere se non ci sia

nascosta qualche piccola proprietà personale.

17. E se si scoprisse qualcuno in possesso di un

oggetto che non ha ricevuto dall'abate, sia

sottoposto a una gravissima punizione.

18. Ma, per strappare fin dalle radici questo vizio

della proprietà, l'abate distribuisca tutto il

necessario

19. e cioè: cocolla, tonaca, calze, scarpe, cintura,

coltello, ago, fazzoletti e il necessario per

scrivere, in modo da togliere ogni pretesto di

bisogno.

20. In questo, però, deve sempre tener presente

quanto è detto negli Atti degli Apostoli e cioè

che "Si dava a ciascuno secondo le sue

necessità".

21. Quindi prenda in considerazione le particolari

esigenze dei più deboli, anziché la malevolenza

degli invidiosi.

22. Comunque, in tutte le sue decisioni si ricordi

del giudizio di Dio.
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LVI - De mensa abbatis

1. Mensa abbatis cum hospitibus et peregrinis sit

semper.

2. Quotiens tamen minus sunt hospites, quos vult

de fratribus vocare in ipsius sit potestate.

3. Seniore tamen uno aut duo semper cum

fratribus dimittendum propter disciplinam.
LVI - La mensa dell'abate

1. L'abate mangi sempre in compagnia degli

ospiti e dei pellegrini.

2. Ma quando gli ospiti sono pochi, può chiamare

alla sua mensa i monaci che vuole.

3. Sarà bene tuttavia lasciare uno o due monaci

anziani con la comunità per il mantenimento

della disciplina.
LVII - De artificibus monasterii

1. Artifices si sunt in monasterio cum omni

humilitate faciant ipsas artes, si permiserit

abbas.

2. Quod si aliquis ex eis extollitur pro scientia

artis suae, eo quod videatur aliquid conferre

monasterio,

3. hic talis erigatur ab ipsa arte et denuo per eam

non transeat, nisi forte humiliato ei iterum

abbas iubeat.

4. Si quid vero ex operibus artificum

venumdandum est, videant ipsi per quorum

manus transigenda sint ne aliquam fraudem

praesumant.

5. Memorentur semper Ananiae et Saphirae, ne

forte mortem quam illi in corpore pertulerunt,

6. hanc isti vel omnes qui aliquam fraudem de

rebus monasterii fecerint in anima patiantur.

7. In ipsis autem pretiis non surripiat avaritiae

malum,

8. sed semper aliquantulum vilius detur quam ab

aliis saecularibus dari potest,
9. ut in omnibus glorificetur Deus.



LVII - I monaci che praticano

un'arte o un mestiere

1. Se in monastero ci sono dei fratelli esperti in

un'arte o in un mestiere, li esercitino con la

massima umiltà, purché l'abate lo permetta.

2. Ma se qualcuno di loro monta in superbia,

perché gli sembra di portare qualche utile al

monastero,

3. sia tolto dal suo lavoro e non gli sia più

concesso di occuparsene, a meno che rientri in

se stesso, umiliandosi, e l'abate non glielo

permetta di nuovo.

4. Se poi si deve vendere qualche prodotto del

lavoro di questi monaci, coloro, che sono stati

incaricati di trattare l'affare, si guardino bene

da qualsiasi disonestà.

5. Si ricordino sempre di Anania e Safira, per non

correre il rischio che la morte, subita da quelli

nel corpo,

6. colpisca le anime loro e di tutte le persone, che

hanno comunque defraudato le sostanze del

monastero.

7. Però nei prezzi dei suddetti prodotti non deve

mai insinuarsi l'avarizia,

8. ma bisogna sempre venderli un po' più a buon

mercato dei secolari

9. "affinché in ogni cosa sia glorificato Dio".
LVIII - De disciplina

suscipiendorum fratrum

1. Noviter veniens quis ad conversationem, non ei

facilis tribuatur ingressus,
2. sed sicut ait Apostolus: Probate spiritus si ex



Deo sunt.

LVIII - Norme per l'accettazione

dei fratelli

1. Quando si presenta un aspirante alla vita

monastica, non bisogna accettarlo con troppa

facilità,

2. ma, come dice l'Apostolo: "Provate gli spiriti

per vedere se vengono da Dio".

3. Quindi, se insiste per entrare e per tre o quattro

giorni dimostra di saper sopportare con
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3. Ergo si veniens perseveraverit pulsans et illatas

sibi iniurias et difficultatem ingressus post

quattuor aut quinque dies visus fuerit patienter

portare et persistere petitioni suae,

4. adnuatur ei ingressus et sit in cella hospitum

paucis diebus.

5. Postea autem sit in cella noviciorum ubi

meditent et manducent et dormiant.

6. Et senior eis talis deputetur qui aptus sit ad

lucrandas animas, qui super eos omnino

curiose intendat.

7. Et sollicitudo sit si revera Deum quaerit, si

sollicitus est ad opus Dei, ad oboedientiam, ad

opprobria.

8. Praedicentur ei omnia dura et aspera per quae

itur ad Deum.

9. Si promiserit de stabilitate sua perseverantia,

post duorum mensuum circulum legatur ei haec

regula per ordinem

10. et dicatur ei: Ecce lex sub qua militare vis; si

potes observare, ingredere; si vero non potes,

liber discede.

11. Si adhuc steterit, tunc ducatur in supradictam

cellam noviciorum et iterum probetur in omni

patientia.

12. Et post sex mensuum circuitum legatur ei

regula, ut sciat ad quod ingreditur.

13. Et si adhuc stat, post quattuor menses iterum

relegatur ei eadem regula.

14. Et si habita secum deliberatione promiserit se

omnia custodire et cuncta sibi imperata

servare, tunc suscipiatur in congregatione,

15. sciens et lege regulae constitutum quod ei ex

illa die non liceat egredi de monasterio,

16. nec collum excutere de sub iugo regulae quem

sub tam morosam deliberationem licuit aut

excusare aut suscipere.

17. Suscipiendus autem in oratorio coram omnibus

promittat de stabilitate sua et conversatione

morum suorum et oboedientia,

18. coram Deo et sanctis eius, ut si aliquando aliter

fecerit, ab eo se damnandum sciat quem irridit.

19. De qua promissione sua faciat petitionem ad

nomen sanctorum quorum reliquiae ibi sunt et

abbatis praesentis.

20. Quam petitionem manu sua scribat, aut certe, si

pazienza i rifiuti poco lusinghieri e tutte le altre

difficoltà opposte al suo ingresso, perseverando

nella sua richiesta,

4. sia pure accolto e ospitato per qualche giorno

nella foresteria.

5. Ma poi si trasferisca nel locale destinato ai

novizi, perché vi ricevano la loro formazione,

vi mangino e vi dormano.

6. Ad essi venga inoltre preposto un monaco

anziano, capace di conquistare le anime, con

l'incarico di osservarli molto attentamente.

7. In primo luogo bisogna accertarsi se il novizio

cerca veramente Dio, se ama l'Ufficio divino,

l'obbedienza e persino le inevitabili contrarietà

della vita comune.

8. Gli si prospetti tutta la durezza e l'asperità del

cammino che conduce a Dio.

9. Se darà sicure prove di voler perseverare nella

sua stabilità, dopo due mesi gli si legga per

intero questa Regola

10. e gli si dica: "Ecco la legge sotto la quale vuoi

militare; se ti senti di poterla osservare, entra;

altrimenti, va' pure via liberamente".

11. Se persisterà ancora nel suo proposito, sia

ricondotto nel suddetto locale dei novizi e si

metta la sua pazienza alla prova in tutti i modi

possibili.

12. Passati sei mesi, gli si legga di nuovo la

Regola, perché prenda coscienza dell'impegno

che sta per assumersi.

13. E se continua a perseverare, dopo altri quattro

mesi, gli si legga ancora una volta la stessa

Regola.

14. Se allora, dopo aver seriamente riflettuto,

prometterà di essere fedele in tutto e di

obbedire a ogni comando, sia pure accolto

nella comunità,

15. ma sappia che anche l'autorità della Regola gli

vieta da quel giorno di uscire dal monastero

16. e di sottrarsi al giogo della disciplina

monastica che, in una così prolungata

deliberazione, ha avuto la possibilità di

accettare o rifiutare liberamente.

17. Al momento dell'ammissione faccia in coro,

davanti a tutta la comunità, solenne promessa

di stabilità, conversione continua e obbedienza,

18. al cospetto di Dio e di tutti i suoi santi, in modo

da essere pienamente consapevole che, se un

giorno dovesse comportarsi diversamente, sarà

condannato da Colui del quale si fa giuoco.

19. Di tale promessa stenda un documento sotto

forma di domanda, rivolta ai Santi, le cui

reliquie sono conservate nella chiesa, e

all'abate presente.

20. Scriva di suo pugno il suddetto documento o,

se non è capace, lo faccia scrivere da un altro,

dietro sua esplicita richiesta, e lo firmi con un
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non scit litteras, alter ab eo rogatus scribat et

ille novicius signum faciat et manu sua eam

super altare ponat.

21. Quam dum imposuerit, incipiat ipse novicius
mox hunc versum: Suscipe me, Domine,



secundum eloquium tuum et vivam, et ne

confundas me ab exspectatione mea.

22. Quem versum omnis congregatio tertio

respondeat, adiungentes Gloria Patri.

23. Tunc ille frater novicius prosternatur

singulorum pedibus ut orent pro eo, et iam ex

illa die in congregatione reputetur.

24. Res, si quas habet, aut eroget prius pauperibus

aut facta sollemniter donatione conferat

monasterio, nihil sibi reservans ex omnibus,

25. quippe qui ex illo die nec proprii corporis

potestatem se habiturum scit.

26. Mox ergo in oratorio exuatur rebus propriis

quibus vestitus est et induatur rebus monasterii.

27. Illa autem vestimenta quibus exutus est

reponantur in vestiario conservanda,

28. ut si aliquando suadenti diabolo consenserit ut

egrediatur de monasterio -- quod absit -- tunc

exutus rebus monasterii proiciatur.

29. Illam tamen petitionem eius, quam desuper

altare abbas tulit, non recipiat, sed in

monasterio reservetur.

segno, deponendolo poi sull'altare con le

proprie mani.

21. Una volta depositato il documento sull'altare, il

novizio intoni subito il versetto: "Accoglimi,

Signore, secondo la tua promessa e vivrò; e

non deludermi nella mia speranza".

22. Tutta la comunità ripeta per tre volte lo stesso

versetto, aggiungendovi alla fine il Gloria.

23. Poi il novizio si prostri ai piedi di ciascuno dei

fratelli per chiedergli di pregare per lui e da

quel giorno sia considerato come un membro

della comunità.

24. Se possiede dei beni materiali, li distribuisca in

precedenza ai poveri o li doni al monastero con

un atto ufficiale senza riservare per sé la

minima proprietà,

25. ben sapendo che da quel giorno in poi non sarà

più padrone neanche del proprio corpo.

26. Quindi, subito dopo, sia spogliato in coro delle

vesti che indossa e rivestito dell'abito

monastico.

27. Ma gli indumenti di cui si è spogliato devono

essere conservati nel guardaroba,

28. in modo che, se in seguito dovesse - Dio non

voglia!- cedere alla suggestione diabolica e

lasciare il monastero, sia mandato via senza

l'abito monastico.

29. Non gli si restituisca invece la domanda che

l'abate ha ritirato dall'altare, ma sia conservata

in monastero.
LIX - De filiis nobilium aut

pauperum qui offeruntur

1. Si quis forte de nobilibus offerit filium suum

Deo in monasterio, si ipse puer minor aetate

est, parentes eius faciant petitionem quam

supra diximus

2. et cum oblatione ipsam petitionem et manum

pueri involvant in palla altaris, et sic eum

offerant.

3. De rebus autem suis, aut in praesenti petitione

promittant sub iureiurando quia numquam per

se, numquam per suffectam personam nec

quolibet modo ei aliquando aliquid dant aut

tribuunt occasionem habendi;

4. vel certe si hoc facere noluerint et aliquid

offerre volunt in eleemosynam monasterio pro

mercede sua,

5. faciant ex rebus quas dare volunt monasterio

donationem, reservato sibi, si ita voluerint,

usufructu.

6. Atque ita omnia obstruantur ut nulla suspicio

remaneat puero per quam deceptus perire

possit -- quod absit -- quod experimento
LIX - I piccoli oblati

1. Se qualche persona facoltosa volesse offrire il

proprio figlio a Dio nel monastero e il ragazzo

è ancora piccino, i genitori stendano la

domanda di cui abbiamo parlato nel capitolo

precedente

2. e l'avvolgano nella tovaglia dell'altare insieme

con l'oblazione della Messa e la mano del

bimbo, offrendolo in questo modo.

3. Per quanto riguarda poi i loro beni, o nella

domanda suddetta promettano di non dargli

mai nulla, né direttamente né per interposta

persona, né in qualsiasi altro modo, e neanche

di dargli mai l'occasione di procurarsi qualche

sostanza,

4. oppure, se non intendono regolarsi secondo

questa prassi e desiderano offrire qualche cosa

al monastero per la salute dell'anima loro,

5. facciano donazione dei beni che vogliono

regalare al monastero, riservandosene, se

credono, l'usufrutto.

6. Così si precludano tutte le vie, in modo da non
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didicimus.

7. Similiter autem et pauperiores faciant.

8. Qui vero ex toto nihil habent, simpliciter

petitionem faciant et cum oblatione offerant

filium suum coram testibus.

lasciare al ragazzo alcun miraggio da cui possa

esser tratto in inganno e - Dio non voglia! - in

perdizione, come ci ha insegnato l'esperienza.

7. La stessa procedura seguano anche i meno

abbienti.

8. Quanto a coloro che non possiedono proprio

nulla, facciano semplicemente la domanda e

offrano il loro figlioletto con l'oblazione della

Messa, alla presenza di testimoni.
LX - De sacerdotibus qui forte

voluerint in monasterio habitare

1. Si quis de ordine sacerdotum in monasterio se

suscipi rogaverit, non quidem citius ei

assentiatur.

2. Tamen, si omnino persteterit in hac

supplicatione, sciat se omnem regulae

disciplinam servaturum,

3. nec aliquid ei relaxabitur, ut sit sicut scriptum
est: Amice, ad quod venisti?


4. Concedatur ei tamen post abbatem stare et

benedicere aut missas tenere, si tamen iusserit

ei abbas;

5. sin alias, ullatenus aliqua praesumat, sciens se

disciplinae regulari subditum, et magis

humilitatis exempla omnibus det.

6. Et si forte ordinationis aut alicuius rei causa

fuerit in monasterio,

7. illum locum attendat quando ingressus est in

monasterio, non illum qui ei pro reverentia

sacerdotii concessus est.

8. Clericorum autem si quis eodem desiderio

monasterio sociari voluerit, loco mediocri

collocentur;

9. et ipsi tamen si promittunt de observatione

regulae vel propria stabilitate.
LX - I sacerdoti aspiranti alla

vita monastica

1. Se qualche sacerdote chiede di essere ammesso

nel monastero, non bisogna affrettarsi troppo

ad accogliere la sua richiesta.

2. Ma se continua a insistere in questa preghiera,

sappia che dovrà osservare tutta la disciplina

della Regola,

3. senza la minima attenuazione, in modo che gli

si possa dire con la Scrittura: "Amico, che sei

venuto a fare?".

4. Gli si conceda tuttavia di prender posto dopo

l'abate, di dare la benedizione e di recitare le

preci finali, purché l'abate disponga così;

5. altrimenti non pretenda assolutamente nulla,

anzi sia per tutti un esempio di umiltà, ben

sapendo di essere soggetto alla disciplina della

Regola.

6. E se per caso nella comunità si dovesse trattare

dell'assegnazione delle cariche o di qualche

altro affare,

7. occupi il posto che gli spetta

corrispondentemente al suo ingresso in

monastero e non quello che gli è stato concesso

in considerazione della sua dignità sacerdotale.

8. Se poi qualche chierico, spinto dallo stesso

desiderio, volesse essere aggregato alla

comunità, sia assegnato a un posto di un certo

riguardo,

9. ma sempre a condizione che prometta anche lui

l'osservanza della Regola e la propria stabilità.
LXI - De monachis peregrinis,

qualiter suscipiantur

1. Si quis monachus peregrinus de longinquis

provinciis supervenerit, si pro hospite voluerit

habitare in monasterio

2. et contentus est consuetudinem loci quam

invenerit, et non forte superfluitate sua
LXI - L'accoglienza dei monaci

forestieri

1. Se un monaco forestiero, giunto di lontano,

vuole abitare nel monastero in qualità di ospite

2. e si dimostra soddisfatto delle consuetudini

locali,

3. accontentandosi con semplicità di quello che
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perturbat monasterium,

3. sed simpliciter contentus est quod invenerit,

suscipiatur quanto tempore cupit.

4. Si qua sane rationabiliter et cum humilitate

caritatis reprehendit aut ostendit, tractet abbas

prudenter ne forte pro hoc ipsud eum Dominus

direxerit.

5. Si vero postea voluerit stabilitatem suam

firmare, non renuatur talis voluntas, et maxime

quia tempore hospitalitatis potuit eius vita

dinosci.

6. Quod si superfluus aut vitiosus inventus fuerit

tempore hospitalitatis, non solum non debet

sociari corpori monasterii,

7. verum etiam dicatur ei honeste ut discedat, ne

eius miseria etiam alii vitientur.

8. Quod si non fuerit talis qui mereatur proici,

non solum si petierit suscipiatur congregationi

sociandus,

9. verum etiam suadeatur ut stet, ut eius exemplo

alii erudiantur,

10. et quia in omni loco uni Domino servitur, uni

regi militatur.

11. Quem si etiam talem esse perspexerit abbas,

liceat eum in superiori aliquantum constituere

loco.

12. Non solum autem monachum, sed etiam de

suprascriptis gradibus sacerdotum vel

clericorum stabilire potest abbas in maiori

quam ingrediuntur loco, si eorum talem

perspexerit esse vitam.

13. Caveat autem abbas ne aliquando de alio noto

monasterio monachum ad habitandum suscipiat

sine consensu abbatis eius aut litteras

commendaticias,
14. quia scriptum est: Quod tibi non vis fieri, alio



ne feceris.

trova, senza disturbare la comunità con le sue

pretese, sia accolto per tutto il tempo che

desidera.

4. Nel caso poi che egli rilevi qualche

inconveniente o dia qualche suggerimento,

l'abate si chieda se il Signore non lo abbia

mandato proprio per questo.

5. E se in seguito vorrà fissare la sua stabilità nel

monastero, non si opponga un rifiuto a questa

sua richiesta, tanto più che durante la sua

permanenza si è avuto modo di studiarne il

comportamento.

6. Se però, quando era ospite si è dimostrato

pieno di pretese e di difetti, non solo non

dev'essere aggregato alla comunità,

7. ma bisogna dirgli garbatamente di andarsene

per evitare che le sue miserie contagino anche

gli altri.

8. Invece, se non merita di essere allontanato, non

sia accolto e incorporato nella comunità solo

nel caso che ne faccia domanda,

9. ma sia addirittura invitato a rimanere, perché

gli altri possano trarre profitto dal suo esempio

10. e perché dappertutto si serve il medesimo

Signore e si milita sotto lo stesso Re.

11. Anzi, se l'abate lo ritiene degno, può anche

assegnargli un posto un po' elevato.

12. E non solamente un monaco, ma anche coloro

che appartengono all'ordine sacerdotale o al

chiericato, l'abate può destinare a un posto

superiore a quello corrispondente al loro

ingresso in monastero, se ha notato che la

condotta lo merita.

13. Si guardi però sempre dall'ammettere

stabilmente nella sua comunità un monaco

proveniente da un monastero conosciuto, senza

il consenso e le lettere commendatizie del suo

abate,

14. perché sta scritto: "Non fare agli altri quello

che non vuoi che sia fatto a te".
LXII - De sacerdotibus

monasterii

1. Si quis abbas sibi presbyterum vel diaconem

ordinari petierit, de suis eligat qui dignus sit

sacerdotio fungi.

2. Ordinatus autem caveat elationem aut

superbiam,

3. nec quicquam praesumat nisi quod ei ab abbate

praecipitur, sciens se multo magis disciplinae

regulari subdendum.
LXII - I sacerdoti del monastero

1. Se un abate desidera che uno dei suoi monaci

sia ordinato sacerdote o diacono per il servizio

della comunità scelga in essa un fratello degno

di esercitare tali funzioni.

2. Ma il monaco ordinato si guardi dalla vanità e

dalla superbia

3. e non creda di poter fare altro che quello che

gli ordina l'abate, tenendo sempre presente che

d'ora in poi dovrà essere maggiormente

sottomesso alla disciplina.

4. Né col pretesto del sacerdozio trascuri

l'obbedienza alla Regola o la disciplina, ma
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4. Nec occasione sacerdotii obliviscatur regulae

oboedientiam et disciplinam, sed magis ac

magis in Deum proficiat.

5. Locum vero illum semper attendat quod

ingressus est in monasterio,

6. praeter officium altaris, et si forte electio

congregationis et voluntas abbatis pro vitae

merito eum promovere voluerint.

7. Qui tamen regulam decanis vel praepositis

constitutam sibi servare sciat.

8. Quod si aliter praesumpserit, non sacerdos sed

rebellio iudicetur.

9. Et saepe admonitus si non correxerit, etiam

episcopus adhibeatur in testimonio.

10. Quod si nec sic emendaverit, clarescentibus

culpis, proiciatur de monasterio,

11. si tamen talis fuerit eius contumacia ut subdi

aut oboedire regulae nolit.

anzi progredisca sempre più nelle vie di Dio.

5. Conservi sempre il posto che gli spetta in

corrispondenza del suo ingresso in monastero,

6. tranne che per il ministero dell'altare, oppure

nel caso che la scelta della comunità o la

volontà dell'abate l'abbiano promosso in

considerazione della sua vita esemplare.

7. Sappia però che deve osservare la disciplina

prestabilita per i decani e i superiori.

8. Se avrà la presunzione di agire diversamente,

non sia più trattato come un sacerdote, ma

come un ribelle.

9. E nell'eventualità che, dopo essere stato

ammonito non si correggesse, si chiami a

testimonio anche il vescovo.

10. Ma se neanche allora si emendasse e le sue

colpe diventassero sempre più evidenti, sia

espulso dal monastero,

11. purché però sia stato così ostinato da non

volersi sottomettere e obbedire alla Regola.
LXIII - De ordine congregationis

1. Ordines suos in monasterio ita conservent ut

conversationis tempus ut vitae meritum

discernit utque abbas constituerit.

2. Qui abbas non conturbet gregem sibi

commissum nec, quasi libera utens potestate,

iniuste disponat aliquid,

3. sed cogitet semper quia de omnibus iudiciis et

operibus suis redditurus est Deo rationem.

4. Ergo secundum ordines quos constituerit vel

quos habuerint ipsi fratres sic accedant ad

pacem, ad communionem, ad psalmum

imponendum, in choro standum;

5. et in omnibus omnino locis aetas non discernat

ordines nec praeiudicet,

6. quia Samuel et Daniel pueri presbyteros

iudicaverunt.

7. Ergo excepto hos quos, ut diximus, altiori

consilio abbas praetulerit vel degradaverit

certis ex causis, reliqui omnes ut convertuntur

ita sint,

8. ut verbi gratia qui secunda hora diei venerit in

monasterio iuniorem se noverit illius esse qui

prima hora venit diei, cuiuslibet aetatis aut

dignitatis sit,
LXIII - L'ordine della comunità

1. Nella comunità ognuno conservi il posto che

gli spetta secondo la data del suo ingresso o

l'esemplarità della sua condotta o la volontà

dell'abate.

2. Bisogna però che quest'ultimo non metta lo

scompiglio nel gregge che gli è stato affidato,

prendendo delle disposizioni ingiuste come se

esercitasse un potere assoluto,

3. ma pensi sempre che dovrà rendere conto a Dio

di tutte le sue decisioni e azioni.

4. Dunque i monaci si succedano nel bacio di

pace e nella comunione, nell'intonare i salmi e

nei posti in coro, secondo l'ordine stabilito

dall'abate o a essi spettante.

5. E in nessuna occasione l'età costituisca un

criterio distintivo o pregiudizievole per

stabilire i posti,

6. perché Samuele e Daniele, quando erano

ancora fanciulli, giudicarono gli anziani.

7. Quindi, a eccezione di quelli che, come

abbiamo già detto, l'abate avrà promosso per

ragioni superiori o degradato per motivi

fondati, tutti gli altri occupino sempre i posti

determinati dalla data del rispettivo ingresso,

8. in modo che il monaco, arrivato - per esempio -

in monastero alle 9, sappia di essere più

giovane di quello arrivato alle 8, quale che sia

la sua età e dignità.

9. Per quanto riguarda i ragazzi, invece, si osservi
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9. pueris per omnia ab omnibus disciplina

conservata.

10. Iuniores igitur priores suos honorent, priores

minores suos diligant.

11. In ipsa appellatione nominum nulli liceat alium

puro appellare nomine,

12. sed priores iuniores suos fratrum nomine,

iuniores autem priores suos nonnos vocent,

quod intellegitur paterna reverentia.

13. Abbas autem, quia vices Christi creditur agere,

dominus et abbas vocetur, non sua assumptione

sed honore et amore Christi;

14. ipse autem cogitet et sic se exhibeat ut dignus

sit tali honore.

15. Ubicumque autem sibi obviant fratres, iunior

priorem benedictionem petat.

16. Transeunte maiore minor surgat et det ei locum

sedendi, nec praesumat iunior consedere nisi ei

praecipiat senior suus,
17. ut fiat quod scriptum est: Honore invicem



praevenientes.

18. Pueri parvi vel adulescentes in oratorio vel ad

mensas cum disciplina ordines suos

consequantur.

19. Foris autem vel ubiubi, et custodiam habeant et

disciplinam, usque dum ad intellegibilem

aetatem perveniant.

in tutto e per tutto la relativa disciplina.

10. I più giovani, dunque, trattino con riguardo i

più anziani, che a loro volta li ricambino con

amore.

11. Anche quando si chiamano tra loro, nessuno si

permetta di rivolgersi all'altro con il solo nome,

12. ma gli anziani diano ai giovani l'appellativo di

"fratello" e i giovani usino per gli anziani

quello di "reverendo padre", come espressione

del loro rispetto filiale.

13. L'abate poi sia chiamato "signore" e "abate",

non perché si sia arrogato da sé un tale titolo,

ma in onore e per amore di Cristo del quale

sappiamo per fede che egli fa le veci.

14. Da parte sua, però, rifletta sull'onore che gli

viene tributato e se ne dimostri degno.

15. Dovunque i fratelli si incontrano, il più giovane

chieda la benedizione al più anziano;

16. quando passa un monaco anziano, il più

giovane si alzi e gli ceda il posto, guardandosi

bene dal rimettersi a sedere prima che l'anziano

glielo permetta,

17. in modo che si realizzi quanto è scritto:

"Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore".

18. I ragazzi più piccoli e i giovanetti occupino in

coro e in refettorio i posti loro spettanti

secondo la Regola:

19. ma fuori di lì siano sorvegliati e tenuti

dappertutto sotto la disciplina, finché non

avranno raggiunto un età più matura.
LXIV - De ordinando abbate

1. In abbatis ordinatione illa semper consideretur

ratio ut hic constituatur quem sive omnis

concors congregatio secundum timorem Dei,

sive etiam pars quamvis parva congregationis

saniore consilio elegerit.

2. Vitae autem merito et sapientiae doctrina

eligatur qui ordinandus est, etiam si ultimus

fuerit in ordine congregationis.

3. Quod si etiam omnis congregatio vitiis suis --

quod quidem absit -- consentientem personam

pari consilio elegerit,

4. et vitia ipsa aliquatenus in notitia episcopi ad

cuius dioecesim pertinet locus ipse vel ad

abbates aut christianos vicinos claruerint,

5. prohibeant pravorum praevalere consensum,

sed domui Dei dignum constituant

dispensatorem,

6. scientes pro hoc se recepturos mercedem

bonam, si illud caste et zelo Dei faciant, sicut e

diverso peccatum si neglegant.
LXIV - L'elezione dell'abate

1. Nell'elezione dell'abate bisogna seguire il

principio di scegliere il monaco che tutta la

comunità ha designato concordemente nel

timore di Dio, oppure quello prescelto con un

criterio più saggio da una parte sia pur piccola

di essa.

2. Il futuro abate dev'essere scelto in base alla vita

esemplare e alla scienza soprannaturale, anche

se fosse l'ultimo della comunità.

3. Se invece, - non sia mai! - la comunità

eleggesse, sia pure di comune accordo, una

persona consenziente ai suoi abusi,

4. e il vescovo della diocesi o gli abati o i fedeli

delle vicinanze ne venissero comunque a

conoscenza

5. devono impedire in tutti i modi che il

complotto di quegli sciagurati abbia il

sopravvento e nominare un degno ministro

della casa di Dio,

6. ben sapendo che ne riceveranno una grande
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7. Ordinatus autem abbas cogitet semper quale

onus suscepit et cui redditurus est rationem

vilicationis suae,

8. sciatque sibi oportere prodesse magis quam

praeesse.

9. Oportet ergo eum esse doctum lege divina, ut

sciat et sit unde proferat nova et vetera, castum,

sobrium, misericordem,
10. et semper superexaltet misericordiam iudicio,


ut idem ipse consequatur.

11. Oderit vitia, diligat fratres.

12. In ipsa autem correptione prudenter agat et ne

quid nimis, ne dum nimis eradere cupit

aeruginem frangatur vas;

13. suamque fragilitatem semper suspectus sit,

memineritque calamum quassatum non

conterendum.

14. In quibus non dicimus ut permittat nutriri vitia,

sed prudenter et cum caritate ea amputet, ut

viderit cuique expedire sicut iam diximus,

15. et studeat plus amari quam timeri.

16. Non sit turbulentus et anxius, non sit nimius et

obstinatus, non sit zelotypus et nimis

suspiciosus, quia numquam requiescit;

17. in ipsis imperiis suis providus et consideratus,

et sive secundum Deum sive secundum

saeculum sit opera quam iniungit, discernat et

temperet,
18. cogitans discretionem sancti Iacob dicentis: Si



greges meos plus in ambulando fecero

laborare, morientur cuncti una die.

19. Haec ergo aliaque testimonia discretionis

matris virtutum sumens, sic omnia temperet ut

sit et fortes quod cupiant et infirmi non

refugiant.

20. Et praecipue ut praesentem regulam in

omnibus conservet,

21. ut dum bene ministraverit audiat a Domino

quod servus bonus qui erogavit triticum

conservis suis in tempore suo:
22. Amen dico vobis, ait, super omnia bona sua



constituit eum.

ricompensa, mentre invece sarebbero

colpevoli, se non se ne curassero.

7. Il nuovo eletto, poi, pensi sempre al carico che

si è addossato e a chi dovrà rendere conto del

suo governo

8. e sia consapevole che il suo dovere è di aiutare,

piuttosto che di comandare.

9. Bisogna quindi che sia esperto nella legge di

Dio per possedere la conoscenza e la materia

da cui trarre "cose nuove e antiche",

intemerato, sobrio, comprensivo

10. e faccia "trionfare la misericordia sulla

giustizia", in modo da meritare un giorno lo

stesso trattamento per sé.

11. Detesti i vizi, ma ami i suoi monaci.

12. Nelle stesse correzioni agisca con prudenza per

evitare che, volendo raschiare troppo la

ruggine, si rompa il vaso:

13. diffidi sempre della propria fragilità e si ricordi

che "non bisogna spezzare la canna già

incrinata".

14. Con questo non intendiamo che l'abate debba

permettere ai difetti di allignare, ma che li

sradichi - come abbiamo già detto - con

prudenza e carità, nel modo che gli sembrerà

più conveniente per ciascuno,

15. e cerchi di essere più amato che temuto.

16. Non sia turbolento e ansioso, né esagerato e

ostinato, né invidioso e sospettoso, perché così

non avrebbe mai pace;

17. negli stessi ordini sia previdente e riflessivo e,

tanto se il suo comando riguarda il campo

spirituale, quanto se si riferisce a un interesse

temporale, proceda con discernimento e

moderazione,

18. tenendo presente la discrezione del santo

patriarca Giacobbe, che diceva: "Se affaticherò

troppo i miei greggi, moriranno tutti in un

giorno".

19. Seguendo questo e altri esempi di quella

discrezione che è la madre di tutte le virtù,

disponga ogni cosa in modo da stimolare le

generose aspirazioni dei forti, senza

scoraggiare i deboli.

20. E soprattutto osservi e faccia osservare

integramente la presente Regola

21. per potersi sentir dire dal Signore, al termine

della sua onesta gestione, le parole udite dal

servo fedele, che a tempo debito distribuì il

frumento ai suoi compagni:

22. "In verità vi dico: - dichiara Gesù - gli diede

potere su tutti i suoi beni".
LXV - De praeposito monasteri LXV - Il priore del monastero

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1. Saepius quidem contigit ut per ordinationem

praepositi scandala gravia in monasteriis

oriantur,

2. dum sint aliqui maligno spiritu superbiae inflati

et aestimantes se secundos esse abbates,

assumentes sibi tyrannidem, scandala nutriunt

et dissensiones in congregationes faciunt,

3. et maxime in illis locis ubi ab eodem sacerdote

vel ab eis abbatibus qui abbatem ordinant, ab

ipsis etiam et praepositus ordinatur.

4. Quod quam sit absurdum facile advertitur, quia

ab ipso initio ordinationis materia ei datur

superbiendi,

5. dum ei suggeritur a cogitationibus suis exutum

eum esse a potestate abbatis sui:

6. quia ab ipsis es et tu ordinatus a quibus et

abbas.

7. Hinc suscitantur invidiae, rixae, detractiones,

aemulationes, dissensiones, exordinationes,

8. ut dum contraria sibi abbas praepositusque

sentiunt, et ipsorum necesse est sub hanc

dissensionem animas periclitari,

9. et hi qui sub ipsis sunt, dum adulantur partibus,

eunt in perditionem.

10. Cuius periculi malum illos respicit in capite qui

talius inordinationis se fecerunt auctores.

11. Ideo nos vidimus expedire propter pacis

caritatisque custodiam in abbatis pendere

arbitrio ordinationem monasterii sui;

12. et si potest fieri per decanos ordinetur, ut ante

disposuimus, omnis utilitas monasterii, prout

abbas disposuerit,

13. ut, dum pluribus committitur, unus non

superbiat.

14. Quod si aut locus expetit aut congregatio

petierit rationabiliter cum humilitate et abbas

iudicaverit expedire,

15. quemcumque elegerit abbas cum consilio

fratrum timentium Deum ordinet ipse sibi

praepositum.

16. Qui tamen praepositus illa agat cum reverentia

quae ab abbate suo ei iniuncta fuerint, nihil

contra abbatis voluntatem aut ordinationem

1. Accade spesso che la nomina del priore dia

origine a gravi scandali,

2. perché alcuni, gonfiati da un maligno spirito di

superbia e convinti di essere altrettanti abati, si

attribuiscono indebitamente un potere assoluto,

fomentando litigi, creando divisioni nelle

comunità,

3. specialmente in quei monasteri nei quali il

priore viene nominato dallo stesso vescovo o

dagli stessi abati a cui spetta l'elezione

dell'abate.

4. E' facile rendersi conto dell'assurdità di una

simile procedura, con cui si dà motivo al priore

di insuperbirsi fin dal primo momento della sua

nomina,

5. perché la considerazione di questo stato di cose

può insinuare in lui l'idea di non essere più

soggetto all'autorità dell'abate.

6. "Tu pure - dirà a se stesso - sei stato nominato

da quelli che hanno eletto l'abate".

7. Di qui nascono invidie, liti, maldicenze,

rivalità, divisioni e disordini di ogni genere,

8. per cui, mentre l'abate e il priore sono in

disaccordo, le loro anime vengono

necessariamente a trovarsi in pericolo a motivo

di questo contrasto

9. e i loro sudditi, parteggiando per l'uno o per

l'altro, vanno in perdizione.

10. La responsabilità di questa perniciosa

situazione ricade principalmente sugli autori di

tanto disordine.

11. Quindi, per la tutela della pace e della carità ci

è sembrato necessario far dipendere

l'ordinamento del monastero unicamente dalla

volontà del suo abate.

12. E, se è possibile, tutte le attività del monastero

siano regolate - come abbiamo già stabilito in

precedenza - per mezzo di decani, secondo

quanto disporrà l'abate,

13. in modo che, ripartendo l'autorità fra varie

persone, non si dia motivo a uno solo di

insuperbirsi.

14. Ma se le condizioni locali lo esigono o la

comunità lo chiede umilmente e con ragioni

fondate e l'abate lo giudica opportuno,

15. nomini egli stesso priore quel monaco che avrà

scelto con il consiglio di fratelli timorati di

Dio.

16. Il priore, da parte sua, esegua con reverenza gli

ordini del suo abate e non faccia nulla contro la

volontà o le disposizioni di lui,

17. perché quanto più è stato elevato al di sopra

degli altri, tanto maggior impegno deve

dimostrare nell'osservanza delle prescrizioni

della Regola.

18. Se poi questo priore si rivelerà pieno di difetti

o, lusingato dalla vanità, monterà in superbia o
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faciens,

17. quia quantum praelatus est ceteris, ita eum

oportet sollicitius observare praecepta regulae.

18. Qui praepositus si repertus fuerit vitiosus aut

elatione deceptus superbire, aut contemptor

sanctae regulae fuerit comprobatus,

admoneatur verbis usque quater;

19. si non emendaverit, adhibeatur ei correptio

disciplinae regularis.

20. Quod si neque sic correxerit, tunc deiciatur de

ordine praepositurae et alius qui dignus est in

loco eius surrogetur.

21. Quod si et postea in congregatione quietus et

oboediens non fuerit, etiam de monasterio

pellatur.

22. Cogitet tamen abbas se de omnibus iudiciis

suis Deo reddere rationem, ne forte invidiae aut

zeli flamma urat animam.

darà prova manifesta di disprezzare la santa

Regola, sia ammonito a voce per quattro volte,

19. ma, nel caso che non si corregga, si prenda nei

suoi confronti il provvedimento disciplinare

previsto dalla Regola.

20. Se neppure così si ravvederà, sia deposto dalla

carica di priore e sostituito da un altro che ne

sia degno.

21. E se in seguito non intenderà starsene quieto e

sottomesso in comunità, sia addirittura espulso

dal monastero.

22. Ma l'abate, da parte sua, si ricordi sempre che

un giorno dovrà rendere conto a Dio di tutte le

sue decisioni, per evitare che la fiamma

dell'invidia e della gelosia gli divori l'anima.
LXVI - De ostiariis monasterii

1. Ad portam monasterii ponatur senex sapiens,

qui sciat accipere responsum et reddere, et

cuius maturitas eum non sinat vagari.

2. Qui portarius cellam debebit habere iuxta

portam, ut venientes semper praesentem

inveniant a quo responsum accipiant.

3. Et mox ut aliquis pulsaverit aut pauper

clamaverit, Deo gratias respondeat aut

Benedic,

4. et cum omni mansuetudine timoris Dei reddat

responsum festinanter cum fervore caritatis.

5. Qui portarius si indiget solacio iuniorem

fratrem accipiat.

6. Monasterium autem, si possit fieri, ita debet

constitui ut omnia necessaria, id est aqua,

molendinum, hortum, vel artes diversas intra

monasterium exerceantur,

7. ut non sit necessitas monachis vagandi foris,

quia omnino non expedit animabus eorum.

8. Hanc autem regulam saepius volumus in

congregatione legi, ne quis fratrum se de
LXVI - I portinai del monastero

1. Alla porta del monastero sia destinato un

monaco anziano e assennato, che sappia

ricevere e riportare le commissioni e sia

abbastanza maturo da non disperdersi, andando

in giro a destra e a sinistra.

2. Questo portinaio deve avere la sua residenza

presso la porta, in modo che le persone che

arrivano trovino sempre un monaco pronto a

rispondere.

3. Quindi, appena qualcuno bussa o un povero

chiede la carità, risponda: "Deo gratias!"

Oppure: "Benedicite!"

4. e con tutta la delicatezza che ispira il timor di

Dio venga incontro alle richieste del nuovo

arrivato, dimostrando una grande premura e

un'ardente carità.

5. Lo stesso portinaio, se ha bisogno di aiuto, sia

coadiuvato da un fratello più giovane.

6. Il monastero, poi, dev'essere possibilmente

organizzato in modo che al suo interno si trovi

tutto l'occorrente, ossia l'acqua, il mulino, l'orto

e i vari laboratori,

7. per togliere ai monaci ogni necessità di

girellare fuori, il che non giova affatto alle loro

anime.

8. Infine vogliamo che questa Regola sia letta

spesso in comunità, perché nessuno possa

giustificarsi con il pretesto dell'ignoranza.
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ignorantia excuset.
LXVII - De fratribus in viam

directis

1. Dirigendi fratres in via omnium fratrum vel

abbatis se orationi commendent,

2. et semper ad orationem ultimam Operis Dei

commemoratio omnium absentum fiat.

3. Revertentes autem de via fratres ipso die quo

redeunt per omnes canonicas horas, dum

expletur Opus Dei, prostrati solo oratorii

4. ab omnibus petant orationem propter excessos,

ne qui forte surripuerint in via visus aut auditus

malae rei aut otiosi sermonis.

5. Nec praesumat quisquam referre alio

quaecumque foris monasterium viderit aut

audierit, quia plurima destructio est.

6. Quod si quis praesumpserit, vindictae regulari

subiaceat.

7. Similiter et qui praesumpserit claustra

monasterii egredi vel quocumque ire vel

quippiam quamvis parvum sine iussione

abbatis facere.
LXVII - I monaci mandati in

viaggio

1. I monaci, che sono mandati in viaggio, si

raccomandino alle preghiere di tutti i

confratelli e dell'abate;

2. e nell'orazione conclusiva dell'Ufficio divino si

ricordino sempre tutti gli assenti.

3. Quelli, poi, che rientrano, nel giorno stesso del

loro ritorno si prostrino in coro al termine di

tutte le Ore canoniche,

4. implorando dalla comunità una preghiera per

riparare le mancanze eventualmente commesse

durante il viaggio, guardando o ascoltando

qualcosa di male o perdendosi in chiacchiere.

5. E nessuno si permetta di riferire ad altri quello

che ha visto o udito fuori del monastero,

perché questo sarebbe veramente rovinoso.

6. Se poi qualcuno si provasse a farlo, sia

sottoposto al castigo previsto dalla Regola.

7. Allo stesso modo sia punito chi osasse

oltrepassare i confini del monastero o andare in

qualunque luogo o fare qualsiasi cosa, sia pur

minima, senza il consenso dell'abate.
LXVIII - Si fratri impossibilia

iniungantur

1. Si cui fratri aliqua forte gravia aut impossibilia

iniunguntur, suscipiat quidem iubentis

imperium cum omni mansuetudine et

oboedientia.

2. Quod si omnino virium suarum mensuram

viderit pondus oneris excedere, impossibilitatis

suae causas ei qui sibi praeest patienter et

opportune suggerat,

3. non superbiendo aut resistendo vel

contradicendo.

4. Quod si post suggestionem suam in sua

sententia prioris imperium perduraverit, sciat

iunior ita sibi expedire,

5. et ex caritate, confidens de adiutorio Dei,
LXVIII - Le obbedienze

impossibili

1. Anche se a un monaco viene imposta

un'obbedienza molto gravosa, o addirittura

impossibile a eseguirsi, il comando del

superiore dev'essere accolto da lui con assoluta

sottomissione e soprannaturale obbedienza.

2. Ma se proprio si accorgesse che si tratta di un

carico, il cui peso è decisamente superiore alle

sue forze, esponga al superiore i motivi della

sua impossibilità con molta calma e senso di

opportunità,

3. senza assumere un atteggiamento arrogante,

riluttante o contestatore.

4. Se poi, dopo questa schietta e umile

dichiarazione, l'abate restasse fermo nella sua

convinzione, insistendo nel comando, il

monaco sia pur certo che per lui è bene così

5. e obbedisca per amore di Dio, confidando nel

Suo aiuto.
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oboediat.
LXIX - Ut in monasterio non

praesumat alter alterum

defendere

1. Praecavendum est ne quavis occasione

praesumat alter alium defendere monachum in

monasterio aut quasi tueri,

2. etiam si qualivis consanguinitatis propinquitate

iungantur.

3. Nec quolibet modo id a monachis praesumatur,

quia exinde gravissima occasio scandalorum

oriri potest.

4. Quod si quis haec transgressus fuerit, acrius

coerceatur.
LXIX - Divieto di arrogarsi le

difese dei confratelli

1. Bisogna evitare in tutti i modi che per qualsiasi

motivo un monaco si provi a difendere un altro

o ad assumerne in certo modo la protezione,

2. anche se ci fosse tra loro un qualsiasi vincolo

di parentela.

3. I monaci si guardino assolutamente da un

simile abuso, che può costituire una

pericolosissima occasione di disordini o di

scandali.

4. Se qualcuno trasgredisse queste norme, sia

punito con la massima severità.
LXX - Ut non praesumat passim

aliquis caedere

1. Vitetur in monasterio omnis praesumptionis

occasio;

2. atque constituimus ut nulli liceat quemquam

fratrum suorum excommunicare aut caedere,

nisi cui potestas ab abbate data fuerit.
3. Peccantes autem coram omnibus arguantur ut



ceteri metum habeant.

4. Infantum vero usque quindecim annorum

aetates disciplinae diligentia ab omnibus et

custodia sit;

5. sed et hoc cum omni mensura et ratione.

6. Nam in fortiori aetate qui praesumit

aliquatenus sine praecepto abbatis vel in ipsis

infantibus sine discretione exarserit, disciplinae

regulari subiaceat,
7. quia scriptum est: Quod tibi non vis fieri, alio



ne feceris.

LXX - Divieto di arrogarsi la

riprensione dei confratelli

1. Nel monastero si deve sopprimere decisamente

ogni occasione di arbitri e di soprusi;

2. perciò dichiariamo che non è permesso ad

alcuno di infliggere la scomunica o un castigo

corporale a un confratello, senza

l'autorizzazione dell'abate.

3. I colpevoli di tale trasgressione siano

rimproverati alla presenza dell'intera comunità,

affinché anche gli altri ne abbiano timore.

4. I ragazzi, però, rimangano fino a quindici anni

sotto la disciplina e l'oculata vigilanza di tutti,

5. ma sempre con grande moderazione e buon

senso.

6. Chi poi si arrogasse una qualsiasi autorità sugli

adulti, senza il comando dell'abate, o si

inquietasse irragionevolmente con i ragazzi, sia

sottoposto alla punizione prevista dalla Regola,

7. perché sta scritto: "Non fare agli altri ciò che

non vuoi sia fatto a te".
LXXI - Ut oboedientes sibi sint

invicem

1. Oboedientiae bonum non solum abbati

exhibendum est ab omnibus, sed etiam sibi

invicem ita oboediant fratres,

2. scientes per hanc oboedientiae viam se ituros

ad Deum.

3. Praemisso ergo abbatis aut praepositorum qui

ab eo constituuntur imperio, cui non
LXXI - L'obbedienza fraterna

1. La virtù dell'obbedienza non dev'essere solo

esercitata da tutti nei confronti dell'abate, ma

bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra

loro,

2. nella piena consapevolezza che è proprio per

questa via dell'obbedienza che andranno a Dio.

3. Dunque, dopo aver dato l'assoluta precedenza
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permittimus privata imperia praeponi,

4. de cetero omnes iuniores prioribus suis omni

caritate et sollicitudine oboediant.

5. Quod si quis contentiosus reperitur, corripiatur.

6. Si quis autem frater pro quavis minima causa

ab abbate vel a quocumque priore suo

corripitur quolibet modo,

7. vel si leviter senserit animos prioris

cuiuscumque contra se iratos vel commotos

quamvis modice,

8. mox sine mora tamdiu prostratus in terra ante

pedes eius iaceat satisfaciens, usque dum

benedictione sanetur illa commotio.

9. Quod qui contempserit facere, aut corporali

vindictae subiaceat aut, si contumax fuerit, de

monasterio expellatur.

al comando dell'abate o dei superiori da lui

designati, a cui non permettiamo che si

preferiscano ordini privati,

4. per il resto i più giovani obbediscano ai

confratelli più anziani con la massima carità e

premura.

5. Se qualcuno dà prova di un carattere litigioso

sia debitamente corretto.

6. Se poi un monaco viene comunque

rimproverato dall'abate o da qualsiasi anziano

per un qualunque motivo

7. o si accorge semplicemente che un anziano è

sdegnato o anche leggermente alterato nei suoi

riguardi,

8. si inginocchi subito dinanzi a lui, senza la

minima esitazione, e rimanga così per riparare,

finché la benedizione dell'altro non sani quel

lieve dissenso.

9. Se qualcuno si rifiutasse altezzosamente di

farlo, sia sottoposto a un castigo corporale e, se

si ostina in questo atteggiamento di ribellione,

sia scacciato dal monastero.
LXXII - De zelo bono quod

debent monachi habere

1. Sicut est zelus amaritudinis malus qui separat a

Deo et ducit ad infernum,

2. ita est zelus bonus qui separat a vitia et ducit ad

Deum et ad vitam aeternam.

3. Hunc ergo zelum ferventissimo amore

exerceant monachi,
4. id est ut honore se invicem praeveniant,


5. infirmitates suas sive corporum sive morum

patientissime tolerent,

6. oboedientiam sibi certatim impendant;

7. nullus quod sibi utile iudicat sequatur, sed

quod magis alio;

8. caritatem fraternitatis caste impendant,

9. amore Deum timeant,

10. abbatem suum sincera et humili caritate

diligant,

11. Christo omnino nihil praeponant,

12. qui nos pariter ad vitam aeternam perducat.
LXXII - Il buon zelo dei monaci

1. Come c'è un cattivo zelo, pieno di amarezza,

che separa da Dio e porta all'inferno,

2. così ce n'è uno buono, che allontana dal

peccato e conduce a Dio e alla vita eterna.

3. Ed è proprio in quest'ultimo che i monaci

devono esercitarsi con la più ardente carità

4. e cioè: si prevengano l'un l'altro nel rendersi

onore;

5. sopportino con grandissima pazienza le

rispettive miserie fisiche e morali;

6. gareggino nell'obbedirsi scambievolmente;

7. nessuno cerchi il proprio vantaggio, ma

piuttosto ciò che giudica utile per gli altri;

8. si portino a vicenda un amore fraterno e scevro

da ogni egoismo;

9. temano filialmente Dio;

10. amino il loro abate con sincera e umile carità;

11. non antepongano assolutamente nulla a Cristo,

12. che ci conduca tutti insieme alla vita eterna.
LXXIII - De hoc quod non omnis

iustitiae observatio in hac sit

Regula constituta

1. Regulam autem hanc descripsimus, ut hanc

observantes in monasteriis aliquatenus vel

honestatem morum aut initium conversationis

nos demonstremus habere.
LXXIII - La modesta portata di

questa regola

1. Abbiamo abbozzato questa Regola con

l'intenzione che, mediante la sua osservanza

nei nostri monasteri, riusciamo almeno a dar

prova di possedere una certa rettitudine di
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2. Ceterum ad perfectionem conversationis qui

festinat, sunt doctrinae sanctorum patrum,

quarum observatio perducit hominem ad

celsitudinem perfectionis.

3. Quae enim pagina aut qui sermo divinae

auctoritatis veteris ac novi testamenti non est

rectissima norma vitae humanae?

4. Aut quis liber sanctorum catholicorum patrum

hoc non resonat ut recto cursu perveniamus ad

creatorem nostrum?

5. Necnon et Collationes Patrum et Instituta et

Vitas eorum, sed et Regula sancti patris nostri

Basilii,

6. quid aliud sunt nisi bene viventium et

oboedientium monachorum instrumenta

virtutum?

7. Nobis autem desidiosis et male viventibus

atque neglegentibus rubor confusionis est.

8. Quisquis ergo ad patriam caelestem festinas,

hanc minimam inchoationis regulam

descriptam, adiuvante Christo, perfice,

9. et tunc demum ad maiora quae supra

commemoravimus doctrinae virtutumque

culmina, Deo protegente, pervenies.
Amen.


costumi e di essere ai primordi della vita

monastica.

2. Del resto, chi aspira alla pienezza di quella vita

dispone degli insegnamenti dei santi Padri, il

cui adempimento conduce all'apice della

perfezione.

3. C'è infatti una pagina, anzi una parola,

dell'antico o del nuovo Testamento, che non

costituisca una norma esattissima per la vita

umana?.

4. O esiste un'opera dei padri della Chiesa che

non mostri chiaramente la via più rapida e

diretta per raggiungere l'unione con il nostro

Creatore?

5. E le Conferenze, le Istituzioni e le Vite dei

Padri, come anche la Regola del nostro santo

padre Basilio,

6. che altro sono per i monaci fervorosi e

obbedienti se non mezzi per praticare la virtù?

7. Ma per noi, svogliati, inosservanti e negligenti,

ciò è motivo di vergogna e di confusione.

8. Chiunque tu sia, dunque, che con sollecitudine

e ardore ti dirigi verso la patria celeste, metti in

pratica con l'aiuto di Cristo questa

modestissima Regola, abbozzata come una

semplice introduzione,

9. e con la grazia di Dio giungerai finalmente a

quelle più alte cime di scienza e di virtù, di cui

abbiamo parlato sopra.
Amen.




Explicit textus Regulae Fine della Regola

Testo prelevato dal sito Web dell'Abbazia di

Pannonhalma - Ungheria

URL: http://www.osb.hu/

Testo estratto dal CD-ROM "Montecassino", ediz.

FINSIEL

Rivisto e corretto sulla base della versione di A.

Lentini ("La Regola" Pubblicazioni Cassinesi)

Ultimo aggiornamento in data 26 Dicembre '97
Per eventuali osservazioni o correzioni: alberto@ora-et-labora.net



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21 giugno 2014 a cura di Alberto da Cormano alberto@ora-et-labora.net