domenica 6 dicembre 2015

Gregorio Nazianzeno - i cinque discorsi teologici -


  Gregorio Nazianzeno

I cinque discorsi teologici

 

                                                    Difficile Parlare di Dio               Orazione 27  (1)

 3. Non crediate, voialtri, che il parlare di Dio in modo filosofico sia una cosa per chiunque. Niente affatto: tale argomento costa caro e non lo posseggono quelli che vivono terra-terra. Aggiungerò anche che non si può palar sempre di Dio né a tutti, né può parlarne chiunque: lo si può far certe volte, e a certe persone, e in una certa misura. Non lo possono fate tutti, perché è un compito che spetta a quelli che si sono esercitati e hanno trascorso tutta la loro vita nella contemplazione e, soprattutto, hanno purificato l'anima e il corpo o, almeno li stanno purificando. Forse, infatti, può essere addirittura pericoloso, per chi non è puro, toccare l'essere puro, così come è pericoloso accostarsi al raggio del sole per uno che non ci vede bene. E quando lo si potrà fare? quando non subiremo più il turbamento procuratoci dal fango e dal disordine delle cose esteriori, quando la nostra parte dominante non si turba nelle impressioni malvagie e false che le giungono dall'esterno, le quali, come lettere mal fatte, confondono delle lettere ben scritte, oppure, come fossero fango, guastano il profumo degli unguenti. Bisogna, veramente, dedicarsi allo studio disinteressato e solamente allora si può conoscere Dio e << giudicare allorquando abbiamo trovato il momento adatto >> quanto sia retta la dottrina cristiana su Dio. E con chi si può farlo? Con quelli che prendono la cosa sul serio e non come una qualunque altra occupazione, nella quale si possa trovar gusto a ciarlare stupidamente; non solo, dopo le corse dei cavalli, i teatri, le canzoni, i piaceri del ventre e quello che sta al di sotto del ventre.  Costoro trovano un momento di divertimento anche nella litigiosità e nella bravura delle loro obiezioni. E su quali argomenti bisogna discutere, e fino a che punto? Su quelli che ci sono accessibili, e fino al punto in cui possono arrivare le doti naturali e le capacità dei nostri ascoltatori. Come danneggiano l'udito o il corpo delle voci troppo forti o dei cibi eccessivi o anche come i carichi superiori alle forze di ciascuno fanno del male a chi li sostiene o  danneggiano la terra le piogge troppo violente, così anche i nostri ascoltatori, se sono schiacciati dai discorsi troppo duri ( se si può usare questo termine ) e se sono gravati a terra, potrebbero risentire un danno alla loro forza.

4. E io non intendo dire che non si debba mai pensare a Dio: non si gonfino per attaccarci coloro che sono sempre pronti e presti a farlo! Il ricordo di Dio deve essere più frequente del nostro stesso respiro; anzi, se è lecito dirlo, non dobbiamo far altro che questo. Anch'io sono uno di quelli che approvano il detto che ci esorta a  << esercitarsi notte e giorno >> e a << raccontare la sera, la mattina e il mezzogiorno >> e a << celebrare le lodi del Signore in ogni momento >>; e se dobbiamo citare anche le parole di Mosè, dobbiamo farlo << dormendo, levandosi dal letto, per strada >> o facendo qualunque altra cosa, e conformarsi con questo pensiero alla purezza. Perciò io non consiglio di ricordare frequentemente Dio, sconsiglio invece il far discorsi su Dio; e non in sé e per sé, come se fosse empio, ma ne biasimo la inopportunità; non critico l'insegnamento, ma l'eccesso. Il riempirsi di miele fino alla sazietà provoca il vomito, anche se si tratta di miele, e c'è un tempo per ogni cosa, come è parso vero a Salomone e anche a me par vero, e ciò che è bello non è bello se non lo si fa nel modo giusto, così come un fiore, d'inverno, è del tutto fuor di stagione, e inopportuno è, per una donna, un ornamento virile o per un uomo un ornamento femminile; inopportuna è la geometria quando si è afflitti e inopportune le lacrime in mezzo al vino: dovremo dunque non tenere in nessun conto il momento adatto proprio quando l'opportunità ha maggior valore?

5. No, non comportiamoci così, fratelli miei: io vi chiamo ancora fratelli, infatti, anche se son nutrite per me sentimenti fraterni; non rimuginiamo siffatti pensieri e non comportiamoci come i cavalli focosi e intrattabili, i quali hanno gettato a terra il loro cavaliere, la ragione; non rifiutiamo la paura di Dio che con nostro vantaggio ci stringe; non corriamo lontano dalla meta! Ragioniamo rimanendo all'interno dei nostri limiti e non ci lasciamo trascinare dal nostro errore che ci porta in Egitto; non lasciamoci portare in Assiria, non cantiamo << il cantico del Signore in una terra straniera >>, intendo dire alle orecchie di chiunque, straniero o dei nostri, non importa, nemico o amico, prudente o stolto; di uno che sta fin troppo attento a spiare come vanno le cose e che vorrebbe che la scintilla dei mali che cova in noi diventasse fiamma; di uno che l'accende e l'attizza e senza farsi scorgere soffiando la fa salire fino al cielo e ancora più in su della fiamma di Babilonia, che arde tutto all'intorno. Siccome la loro forza non è riposta nel loro pensiero, i nostri nemici cercano un vantaggio nella nostra debolezza e, come mosche che si posano sulle ferite, vanno attorno a quelle che non so se dobbiamo chiamare disgrazie nostre o nostri errori. Ma noi almeno non dobbiamo continuare a ignorare noi stessi e non dobbiamo disprezzare il decoro che conviene a questi argomenti; e se non è possibile porre un termine alla nostra inimicizia, mettiamoci d'accordo almeno su questo punto, cioè di parlare misticamente di quanto riguarda il mistero cristiano e santamente delle cose sante; di non gettare ad orecchie profane le dottrine segrete e di non far apparire più seri di noi quelli che sono adoratori dei demoni e sono servi di turpi racconti e di turpi pratiche; costoro sacrificherebbero il loro sangue piuttosto che far conoscere ai non iniziati qualche loro discorso segreto. Ma noi dobbiamo convincerci che, come esiste per i vestiti e per il modo di vivere e per il ridere e per il camminare un certo decoro, così esiste il decoro anche per il parlare e per il tacere, perché noi - oltre che degli altri titoli e delle altre potenze di Dio - siamo adoratori della sua Parola: dunque anche il nostro contendere rimanga all'interno della legge!

6.  Perché il pagano ci sente parlare di generazione e di creazione di Dio, di Dio che proviene da ciò che non esiste, di un troncamento e di una separazione e di un dissolvimento? Egli esamina queste parole con malevolenza! Perché ci facciamo giudicare da coloro che ci accusano? Perché mettiamo le spade in mano ai nostri nemici? In che modo o con quale mente credi tu che ascolterà i nostri discorsi su questi problemi colui che approva gli adulteri e gli infanticidi, che è adoratore delle passioni degli dei, che non è capace di avere pensieri più elevati del suo corpo, che ancora ieri e l'altro ieri si costruiva degli dei, e per giunta degli dei famosi per le azioni più vergognose? Non li intenderà in modo materiale, questi discorsi? In modo turpe? Da ignorante? Nel modo che gli è proprio? Non farà del tuo ragionare di Dio un argomento a favore dei suoi dei e delle sue passioni? Se noi stessi ci danneggiamo con queste parole, tanto meno riusciremo a convincere i pagani a discutere filosoficamente delle nostre dottrine; e se, tra di loro, essi sono capaci di inventare fatti riprovevoli, come potrebbero non farlo con quelli che noi stessi facciamo loro conoscere? Ecco a che cosa serve la nostra guerra intestina; ecco a che vantaggio arrivano coloro che fanno la guerra in difesa del Logos più di quanto non sia gradito al Logos e subiscono la medesima sorte che capita ai pazzi, i quali danno fuoco alle loro case o dilaniano i loro figli o maltrattano i loro genitori credendogli degli estranei.

 

                                                      Il vero Teologo

 7. Ora, dunque, siccome ci siamo liberati di quello che è estraneo alla nostra parola e abbiamo ricacciato << la grande legione >> entro la mandria dei porsi che andranno a gettarsi in fondo al mare, ci rimane da fare una seconda cosa: guardiamoci dentro di noi e plasmiamo come se fosse una statua perfettamente compiuta, il vero teologo. Consideriamo anzitutto questo aspetto della questione: che significa questa litigiosità nel discorrere, questa mania nel parlare? Che malattia è questa nuova, questa insaziabilità? Perché se ci siamo legati le mani, abbiamo armato la nostra lingua? Non apprezziamo più l'ospitalità? Non diamo importanza all'amore fraterno, all'amore coniugale, alla verginità, al sostentamento dei poveri? Non ha più valore per noi il canto dei salmi, la veglia durante la notte intera, il pianto? Non travagliamo più il nostro corpo con i digiuni? Non usciamo da noi per andare incontro a Dio con la preghiera? Non sottomettiamo la parte peggiore di noi a quella migliore, intendo dire << la terra >> allo spirito, come fanno quelli che pronunciano un giusto giudizio sulla mescolanza che costituisce il nostro corpo? Non facciamo della nostra vita una meditazione della morte? Non ci rendiamo signori delle nostre passioni, memori della nobiltà che ci proviene dal cielo? Non domiamo la nostra ira, che è come una bestia feroce che si gonfia  e infuria? Non facciamo altrettanto con l'orgoglio che ci conduce alla rovina, con il dolore irrazionale, con il piacere grossolano, con il riso sguaiato, con la curiosità senza freni, con l'ascolto insaziabile, con il parlare senza limiti, con il pensare cose assurde, con tutti quegli atti che il Malvagio prende da noi e esercita contro di noi, introducendo la morte attraverso le nostre finestre, come dice la Scrittura, vale a dire attraverso i nostri sensi? . No, facciamo tutto il contrario: abbiamo concesso la libertà alle passioni degli altri, come fanno i re che donano il congedo dopo la vittoria; basta che si volgano verso di noi e si muovano contro dio, con un'audacia che supera la devozione. E noi preghiamo una cattiva ricompensa a un'azione che non è buona, vale a dire doniamo all'eresia la libertà di parlare.

8. Eppure, tu che ti diverti con la dialettica e le chiacchiere, io vorrei porti alcune brevi domande, << e tu rispondi >> - come disse a Giacobbe colui che dava i suoi oracoli attraverso la tempesta delle nuvole. secondo quello che tu senti dire dalla Scrittura, presso Dio vi sono molte dimore o una sola? Molte, e non una sola, tu mi concederai senza dubbio. E bisogna che tutte siano occupate, oppure soltanto alcune e altre no, in modo che queste dimore rimangano vuote e siano state preparate inutilmente? Senza dubbio, dovranno essere occupate tutte, perché Dio non fa niente senza un scopo. Ebbene, saresti in grado di dirmi cosa sarà questa dimora? Non significherà essa il riposo nei cieli e la gloria riservata ai beati, o invece sarà qualcosa di diverso? No, sarà esattamente questo. Poiché, dunque, siamo d'accordo su questo punto, esaminiamone un altro ancora. C'è qualche cosa che ci assicura l'accoglienza in queste dimore ( e questo è anche il mio pensiero ) oppure non c'è assolutamente niente? Senza dubbio c'è qualche cosa. E quale? E' il fatto che esistono differenti modi di vivere e scelte svariate: una porta in un posto, un'altra in un altro, in relazione alla nostra fede; e queste sono quelle che noi chiamiamo le << vie >>. Ebbene, dobbiamo percorrere tutte le vie o solamente alcune? Se la stessa persona può percorrerle tutte, bene; se no, quante più può; se no, alcune solamente; e se nemmeno questo è possibile, accontentiamoci di percorrerne bene una: questo è il mio pensiero. Tu ragioni giustamente a questo proposito. E allora? Quando tu senti dire che esiste una sola strada, e che questa è stretta, che cosa ti sembra che voglia significare la parola della Scrittura? Che c'è una sola strada, quella che passa attraverso la virtù: essa è unica, infatti, anche se si biforca in varie direzioni; e in ogni caso è stretta, perché fa sudare e non la percorrono molti, se confrontati col gran numero di quelli che vanno in senso contrario e percorrono le strade del male. Sono anch'io dello stesso parere. Ebbene, mio caro, se le cose stanno in questo modo, perché condannate il nostro discorso con la taccia di povertà ( se così la si può chiamare ) e non vi curate di tutte le altre strade, ma vi volgete solamente a questa e vi urtate per percorrerla ( intendo dire la strada della discussione e della contemplazione, come voi chiamate, mentre, secondo me, non è altro che la strada della chiacchiera e della ciarlataneria )? Accettate i rimproveri di Paolo, il quale, dopo aver enumerato i carismi, condanna  proprio questo atteggiamento, allorquando dice: << Forse sono tutti apostoli? Sono tutti profeti? >>, e quel che segue.

9. Sia pure: tu sei una persona eccellente e al di sopra di quanto vi è di eccellente e ti elevi anche al di sopra delle nuvole  ( se vuoi, te lo concedo ): tu contempli quello che non si può contemplare, ascolti << le parole ineffabili >>, ti elevi in alto come Elia e , come Mosè, sei stato ritenuto degno della teofania e, come Paolo, sei stato levato al cielo: perché, sull'istante, tu che vuoi che siano dei santi tutti gli altri cristiani e li eleggi teologi e, per così dire, inspiri in essi la scienza e costituisci svariate assemblee di eloquenti che sono ignoranti? Perché avvolgi i più deboli entro tele di ragno, come se fosse qualcosa di saggio e di grande? Perché aizzi nidi di vespe contro la fede? Perché improvvisi contro di noi una ribellione di dialettici, come i giganti di cui ,parla la mitologia? Perché hai raccolto tutti gli uomini vacui e spregevoli, come un mucchio di spazzatura in una buca e, dopo averli ancor più infiacchiti con le tue adulazioni, hai creato un'inaudita officina di eresia, astutamente raccogliendo il frutto della loro stoltezza? Puoi ribattere anche a queste mie parole? E secondo te il resto non conta niente? Inoltre tu devi tenere a freno la tua lingua, assolutamente - e non riesci a trattenere i dolori del tuo parto di parole? Tu conosci anche molti altri importanti argomenti di discussione: è verso quel campo che tu devi volgere la tua malattia: ne trarrai profitto.

10. Attacca piuttosto, per favore, il silenzio di Pitagora e le fave di Orfeo e quell'inaudita arroganza che riguarda il motto: << l'ha detto lui >>! Attacca le idee di Platone e i vari modi di metempsicosi e i ritorni periodici delle nostre anime e la reminescenza e gli amori - non certo belli ! - che si manifestano attraverso bei corpi e affliggono la nostra anima. Attacca l'irreligiosità di Epicuro e i suoi atomi e il suo ,piacere, indegno di un filosofo; la meschina provvidenza di Aristotele e la sua arte dialettica e i suoi ragionamenti sulla morte dell'anima e la umana limitatezza delle sue dottrine; attacca la superbia di della Stoa, la ghiottoneria e la cialtroneria dei cinici. Attacca il vuoto e il pieno e tutte quelle chiacchiere che riguardano gli dei, i sacrifici, gli idoli, i demoni benefattori o malefici, tutte quelle invenzioni che si escogitano a proposito della divinazione, della evocazione degli dei, della guida delle anime, delle potenze astrali. E se tu rifiuti questi argomenti indegni del tuo discorso, perché sarebbero banali e già ripetuti più volte: se invece insisti sui problemi che ti riguardano più da vicino e cerchi quanto vi è di nobile in essi, allora io saprò prepararti ampie strade anche a questo proposito. Esercita, ti prego, il tuo ragionamento sul mondo o sui mondi, sulla materia, sull'anima, sulle creature razionali, quelle migliori e quelle peggiori, sulla risurrezione, sul giudizio, sulla retribuzione, sulle  sofferenze di Cristo. In questi campi di discussione, infatti, il raggiungere la verità non è cosa inutile, mentre lo sbagliare non comporta pericoli. E in ogni caso incontreremo Dio: per adesso in modo limitato, ma tra non molto tempo, forse, in modo più completo, in Gesù Cristo stesso, nostro Signore: a lui la gloria nei secoli, amen.

                                               Orazione 28 (2)

                                     LA  TEOLOGIA

 1. Poiché con il nostro discorso abbiamo purificato il teologo, e abbiamo mostrato partitamente come debba essere e con chi debba ragionare e quando e fino a che punto ( vale a dire, che si deve ragionare con persone che siano pure al massimo grado, affinché la luce sia afferrata dalla luce, e con le persone più attente, affinché non sia sterile la parola di Dio, se cadde in un terreno sterile; e inoltre, quando abbiamo dentro di noi la pace, lontano dalle tempeste dell'esterno, in modo da non perdere il respiro, come accade a quelli che sono in preda alla pazzia; e poi, fino a che possiamo comprendere ed essere compresi ); dal momento, dunque, che questa è la situazione e abbiamo << rinnovato >> per noi << un nuovo maggese >>, in modo da non  <<seminare tra le spine>> e <<abbiamo spianato la faccia della terra>>, plasmati dalla Scrittura e plasmando gli altri con essa- ebbene, accingiamoci ora ai discorsi della teologia. Poniamo in cima al nostro discorso il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dei quali dobbiamo parlare: che il primo si benevolo, il secondo ci aiuti, il terzo ci ispiri - o meglio, che provenga a noi, da un solo Dio, un'unica illuminazione: unitamente, e pure distinta, e congiunta, ma in maniera divisa. Questo è, appunto, il fatto straordinario!

2. E mentre mi accingo a salire di buona lena su per la montagna ( o, a dir la verità, mentre bramo salire, e insieme mi dispero, spinto dalla speranza ma impedito dalla debolezza) e cerco di penetrare all'interno della nube e di essere con Dio ché Dio ci comanda di fare proprio questo, se c'è uno che sia Aronne, salga insieme con me e si fermi vicino a me e se dovrà rimanere fuori della nube, lo accetti di buon grado. E se ce uno come Nadab o Abiud o un altro degli anziani, salga pure, ma si fermi lontano, secondo il grado della sua purificazione. E se ce uno della folla, uno di coloro che non sono degni di salire a questa altezza e di giungere a questa contemplazione, se costui è assolutamente impuro, nemmeno si accosti alla montagna, perché non è sicuro, e se è almeno per il momento purificato, rimanga in basso e ascolti la voce e la tromba, cioè le semplici parole della nostra religione; guardi la montagna avvolta di fumo e colpita dalle folgori, minaccia e insieme meraviglia per coloro che non sono in grado di salire. E se uno è bestia malvagia e feroce e assolutamente incapace di comprendere le parole della contemplazione e della teologia, non si nasconda nelle selve con sentimenti di malvagità e di malignità, per balzar fuori all'improvviso e afferrare qualche dottrina o qualche parola e fare a brani <<i discorsi sani>> con le sue calunnie: costui rimanga ancor più lontano dalla montagna e si tenga in disparte, se non vuole essere lapidato e schiacciato e <<perire miseramente, da quel malvagio che è>>: ché per gli uomini bestiali le parole veritiere e solide sono come delle pietre. Altrettanto dicasi se costui è <<un leopardo>>: che muoia << con le sue chiazze nella pelle>>; o << un leone>> che preda e <<ruggisce>> e <<cerca di divorare>> tra le nostre anime o le nostre affermazioni; o <<un maiale che calpesta>> le belle e splendide <<perle>> della verità; o <<un lupo dell'Arabia>>, venuto da lontano o ancor più crudele dei lupi presenti, con i sofismi con cui si serve; o <<una volpe>>, cioè un'anima ingannatrice e infida, che ora è in un modo ora in un altro e si conforma alle varie situazioni e alle varie occasioni di guadagno, animale che si nutre di cadaveri e di corpi imputriditi, o <<delle piccole vigne>> ( ché <<le grandi vigne>> gli sfuggono); o un altro animale carnivoro, di quelli che sono stati rifiutati dalla Legge e che non sono puri per mangiarne e servirsene. Infatti il nostro discorso,col tenersi lontano da quegli animali, vuole essere inciso su delle tavole dure e di pietra e inoltre sulle due facce della tavola, intendendo la parte visibile e la parte nascosta della Legge: una parte serve per la folla, per tutti quelli che rimangono giù in basso, l'altra per i pochi, per quelli che arrivano alla vetta.

3. Cos'è questo che provo, miei cari, amici che siete iniziati alla dottrina cristiana e insieme con me amate la verità? Stavo correndo per raggiungere Dio e stavo salendo sulla montagna; mi ero aperto la strada attraverso la nube e vi ero penetrato, lontano dalla materia e dalle cose materiali, e, per quanto mi era possibile, mi ero raccolto in me stesso. Ma poiché ho gettato dentro uno sguardo, a stento non riuscivo a vedere la parte posteriore di Dio, nonostante che fossi protetto dalla roccia, cioè dal Logos che si è incarnato per causa nostra. E dopo essermi sporto a guardare, ho visto non la prima e purissima sostanza, quella che è conosciuta solo da se stessa (intendo dire dalla Trinità), e tutto quello che rimane all'interno del primo velo ed è coperto dai cherubini, bensì la sua parte finale, quella che giunge fino a noi. Ma questa parte, per quel che ne so, non è altro che la grandezza di Dio che si trova nelle creature e negli esseri da lui prodotti e governati, vale a dire, per usare il termine del divino David, <<la magnificenza>> di Dio. Ecco in che cosa consiste la parte posteriore di Dio, cioè quello che si conosce di lui dopo che è passato, come le ombre del sole sulle acque e le immagini che rappresentano il sole agli occhi malati, poiché non è possibile vedere il sole stesso: esso supera con la purezza della sua luce ogni nostra sensazione. Così, dunque, tu mediterai sulla natura di Dio, anche se tu sei Mosè e <<il Dio del Faraone>>, anche se, come Paolo, tu arrivi <<al terzo cielo>> e ascolti <<parole ineffabili>>, anche se sei più sublime di Paolo, e ascritto a un ordine o a una gerarchia di angeli o di arcangeli. Infatti ogni essere celeste o sopraceleste, ogni essere la cui natura fosse infinitamente superiore alla nostra e più vicina a Dio, sarebbe distante da lui e dalla perfetta comprensione della sua natura più di quanto non sarebbe superiore a noi, che pure siamo un miscuglio composito e meschino e che grava al basso.

4. Dunque, bisogna ricominciare in questo modo: comprendere Dio è difficile, ma parlare di lui è addirittura impossibile, come disse un filosofo greco parlando di Dio: affermazione non sciocca, a mio parere, che serve a mostrare di aver compreso quanto sia difficile parlarne, e che evita ogni confutazione proprio a causa della inesprimibilità di Dio. Al contrario, io penso che parlare di Dio è impossibile e comprenderlo è ancor più impossibile. Ché quello che si è pensato, la parola potrebbe fors'anche manifestarlo, se non adeguatamente, comunque in modo oscuro, a colui che non sia completamente malato d'udito e tardo di mente. Ma comprendere con la mente una sostanza così grande è assolutamente impossibile e irraggiungibile, non solo per quelli che sono torpidi e rivolti a terra, ma anche per quelli che sono di spirito elevato e amano Dio, e, allo stesso modo, a tutta la natura creata, a tutti quelli davanti ai quali si addensa questa caligine e ai quali questo spesso elemento carnale fa ostacolo alla conoscenza della verità. E non so se sia possibile alle sostanze intelligenti che vivono più in alto di noi, le quali, grazie alla loro vicinanza a Dio e al loro essere illuminate da tutta la luce divina, potrebbero anche essere rischiarate, se non in modo totale, almeno in modo più perfetto e più netto di quanto non siamo noi: le une di più le altre di meno, secondo la loro posizione.

                                                      LA PACE DÌ DIO

5. Basta, dunque, di tutto ciò: quello che, invece, ci riguarda, non è solamente <<la pace di Dio>>, che <<è al di sopra di ogni intelligenza>> e di ogni comprensione, e non solamente quello che è stato riservato ai giusti nelle promesse, cioè quei beni che occhio non può vedere né orecchio udire né intelletto contemplare (se non un poco); e non è nemmeno la conoscenza esatta della creazione (anche di questa, infatti, tu puoi possedere- convincitene - solamente le ombre, allorquando tu senti dire:<<Vedrò i cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle>> e la immobile razionalità che si trova in quelle sostanze; ché ora tu non vedi, ma un giorno vedrai): va molto più oltre di queste sostanze, il nostro argomento; esso riguarda la natura che è al di sopra di esse e che ne è la causa, una natura inafferrabile e incomprensibile - quanto sto dicendo non si riferisce alla sua esistenza, ma alla sua essenza. Ché <<la nostra predicazione>> non <<è vana>> né << stolta è la nostra fede>>, né questa è la dottrina che noi professiamo: non considerate la nostra sincerità un principio di irreligiosità o di malvagità, e non inorgoglire per il solo fatto che noi ammettiamo la nostra ignoranza: l'essere convinti dell'esistenza di una cosa è ben diverso dal sapere che cosa essa sia.

6. Che esista Dio ed esista la causa creatrice e conservatrice di tutte le cose, ce lo insegnano gli occhi e la legge di natura: gli occhi ci accostano alle cose che vediamo e che sono perfettamente stabili e procedono in bel ordine e si muovono e vanno, senza muovere, per dir così, la loro regolarità; la legge di natura, invece, deduce dall'ordine di quello che vediamo l'esistenza di una causa di esso. Come, infatti, avrebbe potuto cominciare o sussistere tutto questo universo, se Dio non avesse dato la sostanza al tutto e non lo conservasse? Se uno vedesse una cetra perfettamente disposta, l'ordine ed il gioco delle sue varie parti, o se ne ascoltasse il suono, non penserebbe forse a chi l'ha costruita e non risalirebbe immediatamente a lui con il pensiero, anche se potesse conoscerlo con gli occhi? Allo stesso modo ci è chiaro il principio creatore dell'universo, che muove e conserva quello che ha creato, anche se non riusciamo a comprenderlo con il pensiero; e fin troppo stolto sarebbe colui che non volesse procedere fino a questo punto e non seguisse le indicazioni dategli in questo senso dalla natura- e ciò nonostante Dio non è nemmeno questo essere che noi ci immaginiamo e ci raffiguriamo e ci disegniamo per mezzo del nostro ragionamento. E anche se riuscissimo a immaginare questa sostanza, in un modo o nell'altro, come si potrebbe poi mostrarla? Chi potrebbe giungere, in questo modo, all'estremo culmine della sapienza? Chi è mai stato considerato degno di un dono siffatto? Chi ha mai <<aperto>> in tal modo <<la bocca>> del suo pensiero e <<ha tratto lo spirito>> per poter comprendere Dio per mezzo dello spirito, << che scruta e conosce tutte le cose, anche le profondità di Dio>>? Così non avrebbe più bisogno di procedere oltre, perché ormai possederebbe il culmine di quello che si può desiderare, l'oggetto al quale tende tutto il comportamento e tutta la mente dell'uomo elevato.

7. Che cosa, infatti, tu penserai che sia l'essere divino, se è vero che tu hai fiducia in tutte le risorse del tuo pensiero? O a che cosa ti farà salire il discorso, quando verrà messo alla prova, tu che sei il più bravo nella filosofia e nella teologia e ti vanti senza limiti? Pensi che sia un corpo? E allora come può essere la sostanza infinita, illimitata, priva di forma, intangibile e invisibile? Oppure che queste proprietà sono corporee? E' una bella pretesa, la tua! Ché non è questa la natura dei corpi. Oppure Dio è un corpo, ma non ha niente a che vedere con queste qualità?  Che modo grossolano di ragionare! Così Dio non avrebbe niente più di noi. Come può, infatti, adorato, se è circoscritto? O come potrà evitare la conseguenza di essere composto di elementi e di tornare a decomporsi in quegli elementi che lo costituiscono o di dissolversi totalmente? Ché la composizione è l'inizio del contrasto e il contrasto l'inizio della separazione; questa, a sua volta, del dissolvimento, e il dissolvimento è qualcosa di totalmente estraneo a Dio e alla prima sostanza. Dunque, non c'è separazione, in Dio, perché non ci sia dissolvimento; e non c'è composizione, perché non ci sia contrasto; pertanto non c'è nemmeno il corpo, perché non ci sia composizione. Il nostro ragionamento risale dalle ultime conclusioni per ritornare ai postulati, e a questo punto si ferma.

8. E come potrai conservare anche la proprietà di distendersi attraverso l'universo e di riempirlo, secondo la parola della Scrittura << Non riempio forse io il cielo e la terra? dice il Signore>>; e: <<lo Spirito di Dio ha riempito la terra abitata>>. Questo non sarebbe possibile se Dio da una parte limitasse e dall'altra fosse limitato. Infatti, o percorrerà l'universo come un tutto vuoto, e allora non esisterà più niente e così Dio subirà l'offesa di essere diventato un corpo e di non possedere quello che lui stesso ha creato; oppure sarà un corpo entro altri corpi, e questo è impossibile; oppure si intreccerà entro altri corpi e si estenderà per tutta la loro estensione, come avviene nelle sostanze liquide quando si mescolano, e un oggetto taglierà, da un altro sarà tagliato ( cosa che è ancora più assurda e <<degna di una vecchia>> degli atomi di Epicuro). E così il discorso sulla presunta natura corporea di Dio crollerà tutto e non avrà...corpo né consistenza alcuna. E se diremo che Dio è immateriale, se fosse il quinto elemento, come è parso ad alcuni, che si muove di un movimento circolare, ebbene, sia pure qualcosa di immateriale, sia il quinto elemento, quello incorporeo, secondo l'arbitrato moto del loro ragionamento e le loro invenzioni ( ché, quanto a questo, ora non sarò in disaccordo con loro). Ma in che direzione andrà questo elemento, se lo consideriamo tra gli elementi che si muovono e si spostano? Per non parlare della violenza che deve subire il creatore, se si muoverà come le cose da lui create e se colui che muove si muoverà come le cose che sono mosse ( ammesso che ce lo concedano). Ma , a sua volta, che cosa darà il movimento a questo essere in movimento? E quale sarà l'essere che muove tutto l'universo? E quell'essere,  chi lo muove? E ancora quell'altro, allo stesso modo? Si va col ragionamento all'infinito. Dunque, come può Dio non essere affatto nel luogo, se si muove? E se i nostri avversari diranno che Dio è qualcos'altro, e non il quinto elemento, se pensano che sia di natura angelica, come è possibile che anche gli angeli siano dei corpi? E di che natura sarebbero questi corpi? E Dio quanto dovrebbe essere superiore all'angelo, se l'angelo è suo servo! E se dio è superiore a questi esseri, ecco che si fa strada a viva forza un assurdo sciame di corpi e un abisso di stoltezza, che non può trovare un limite da nessuna parte.

9. Dunque, Dio non è un corpo. Nessuno degli uomini ispirati da Dio, infatti, ha mai detto e approvato questa affermazione, né questa affermazione appartiene alla nostra << dimora>>. Non rimane altro che supporre che Dio sia incorporeo. Ma, nemmeno se è incorporeo, questa peculiarità ci fa comprendere o contiene la sua sostanza,  così come non la contengono i concetti di <<ingenerato>> e di <<privo di inizio>> e di <<immutabile>> e di <<incorruttibile>>   e tutti quelli che vengono espressi a proposito di Dio o in relazione a Dio. Che cosa deve essere, infatti, sia nella sua natura sia nella sua esistenza,  per non avere inizio e per non uscire da se stesso e non ricevere un limite? Non rimane altro, dunque, che afferrare l'essere nella sua totalità, e filosofare ed esaminare partendo da questo punto, se, almeno, abbiamo <<il pensiero di Dio>> e se siamo più perfetti nella contemplazione. Come non è sufficiente, infatti, dire che qualcosa è un corpo o che è stato generato, se vogliamo far comprendere o manifestare che quell'essere di cui stiamo parlando è fatto in questa o quella maniera, ma si deve dire anche quale sia il sostrato di tutte queste caratterizzazioni, se vogliamo presentare all'ascoltatore in modo completo e sufficiente il concetto che abbiamo nella mente ( perché questo essere corporeo e generato e soggetto a corruzione, di cui parliamo, può essere anche un uomo o un bue o un cavallo). allo stesso modo, nemmeno a proposito di Dio colui che si affanna per conoscere la natura di <<colui che è>> non può limitarsi a dire che cosa Dio non è,  aggiungere anche quello che è, tanto più che è più facile comprendere una cosa nel suo complesso piuttosto che escludere ad una ad una tutte le varie determinazioni. In questo modo, dalla negazione di quello che non è e dall'affermazione di quello che è, si potrà comprendere quello che viene pensato. Invece, se si dice quello che Dio non è, ma si tace quello che è, ci si comporta più o meno come colui che, interrogato che cosa sia due volte cinque, dicesse che non è due e nemmeno tre e nemmeno quattro e nemmeno cinque e non è venti e non è trenta, e non è nessuno, per concludere, dei numeri compresi entro il dieci o superiori al dieci, ma non dicesse che due volte cinque fa dieci e non fermasse su quello che gli viene richiesto l'attenzione di chi lo interroga. E' molto più facile e rapido, infatti, basarsi su quello che è per poi enunciare tutto quello che non è, piuttosto che enunciare quello che è eliminando tutto quello che non è. Questo, direi, è chiaro a tutti.

10. Dal momento, dunque, che secondo noi Dio è un essere incorporeo, facciamo un'ulteriore indagine. Quest'essere non si trova da nessuna parte o è in qualche luogo? Se non si trova da nessuna parte, uno di coloro che si dilettano di porre domande potrebbe anche chiederci come potrebbe esistere. Se, infatti, quello che non esiste non è da nessuna parte, quello che non si trova da nessuna parte, nemmeno esiste. Se, invece, si trova in qualche luogo, allora sicuramente, dal momento che esiste, o è del tutto o è al di sopra del tutto. Ma se è nel tutto, o è in qualche parte o è dappertutto. E se è in qualche parte, allora sarà circoscritto da questa parte, che è meno grande del tutto; se, invece, si trova dappertutto, sarà circoscritto da qualcosa che è più grande ed è diverso; intendo dire che l'essere che è circoscritto sarà limitato da quello che lo circoscrive, se è vero che il tutto dovrà essere abbracciato dal tutto e in nessun luogo sarà privo di limite. Ecco quello che succede se l'essere divino si trova nel tutto. E allora dove si trovava prima che esistesse l'universo? Anche questo punto non è di scarso peso per quanto riguarda le difficoltà del problema. Se, invece, Dio è al di sopra dell'universo, allora non c'era niente che lo separava dall'universo. Ma dove si trova quello che è al di sopra dell'universo? E come si può concepire quello che solleva al di sopra dell'universo e quello e quello che viene sollevato, dal momento che non c'è un confine che separa questi esseri e li distingue? Non è forse vero che deve assolutamente esistere qualcosa di intermedio, dal quale l'universo viene ad essere separato da quello che è al di sopra dell'universo? Ebbene, questo qualcosa di intermedio che cos'altro è se non il luogo, che noi volevamo evitare? E ancora non sto dicendo che l'essere divino è per forza limitato se è comprensibile con l'intelligenza - ché anche la comprensione intellettuale è una forma di limitazione.

11. Per quale motivo ho passato in rassegna tutte queste ipotesi, e forse dilungandomi più di quanto non tollerassero le orecchie della gente, ma conformandomi al tipo dei discorsi ora più in voga? E' un tipo di discorsi che non apprezza la schiettezza e la semplicità, ma preferisce introdurre al loro posto la tortuosità e l'oscurità, così come l'albero lo si riconosce dal frutto: intendo dire che la tenebra che produce siffatti insegnamenti è testimoniata dalla oscurità dei discorsi che vengono comunemente fatti. Ho passato in rassegna queste ipotesi, dicevo, non tanto per apparire capace anch'io di presentare idee paradossali, e di apparire <<straordinario per la scienza>>, intrecciando <<dei nodi e sciogliendo gi enigmi>> ( questo è il grande prodigio di cui era capace Daniele), ma per giungere a dimostrare quel punto verso il quale il mio parlare si stava volgendo fin dall'inizio. E di che si tratta, dunque? Si tratta dell'idea che l'essere divino non è comprensibile da intelletto umano, né ce lo possiamo immaginare in tutta la sua grandezza - e questo non succede perché Dio sia invidioso, ché l'invidia è ben lontana dalla natura di Dio, che è priva di ogni passione ed è l'unica buona ed è sovrana, soprattutto verso la creatura che per essa è più preziosa di tutte: che cosa è più prezioso, per il Logos, degli esseri razionali? Anche la loro stessa esistenza è dovuta alla suprema bontà di Dio! Non perché sia invidioso, stavo dicendo, né perché voglia essere onorato e glorificato, lui che è <<pieno>>, in modo da ottenere, perché non è raggiungibile da noi, il nostro onore e la nostra adorazione. Queste considerazioni sono completamente sofistiche, estranee alla natura, non solo di Dio, ma pure di un uomo onesto anche soltanto un poco e che è conscio di possedere almeno qualche qualità positiva, cioè quella di procurarsi il primo posto escludendo gli altri.

 

                             Quelli che sono vicini a Dio

12. E se questo avviene per altri motivi, lo potrebbero sapere quelli che sono più vicini a Dio e sino capaci di conoscere e valutare <<i suoi impercorribili giudizi>>, se è vero che esistono certe persone che con la loro virtù possono <<camminare sulle tracce dell'abisso>>, come dice la Scrittura. Comunque, per quanto abbiamo potuto comprendere, misurando con brevi misure le realtà che nessuno può contemplare, forse Dio non si lascia conoscere perché, se il raggiungimento di questa conoscenza è troppo facile, non ne sia ancora più facile la perdita: di solito, infatti, si conserva meglio quello che si è ottenuto a prezzo di fatica, mentre quello che si è ottenuto facilmente viene anche gettato via senza scrupoli perché si pensa che lo si possa riacquistare una seconda volta: in questo modo diventa un beneficio proprio la difficoltà di conseguire il beneficio, almeno per coloro che sono prudenti. Un altro motivo potrebbe essere anche che non avessimo a subire la sorte di Lucifero, che cadde dal cielo, cioè la sorte di <<levare in alto il collo>> in faccia al Signore onnipotente perché si è in grado di comprenderne tutta la luce; così anche noi cadremmo in seguito al nostro innalzarci, e sarebbe la caduta più miserevole di tutte. Forse ancora, perché ci fosse su nel cielo un premio maggiore per lo zelo e per la vita luminosa che alcuni hanno vissuto qua in terra purificandosi e bramando di raggiungere l'oggetto del loro desiderio. Per questo motivo si è posta tra noi e Dio questa <<tenebra>> costituita dal corpo, come la nube che, un tempo, separava gli Egizi dagli Ebrei. E forse è questo il significato di << fece della oscurità il suo recesso>>, vale a dire, questa oscurità è la nostra grossezza, attraverso la quale pochi e per poco riescono a sporgersi. Su questo problema facciamo pure dei discorsi filosofici coloro ai quali interessa, e giungano fino al punto più alto di questa ricerca. Per noi, almeno, che siamo <<legati alla terra>>, come dice il divino Geremia, e siamo rivestiti di questa grossolana sostanza carnale, una cosa sola è sicura, che, come è impossibile oltrepassare la propria ombra, anche se ci affrettiamo, ché l'ombra ci precede sempre tanto quanto la raggiungiamo, o come è impossibile tendere la nostra vista verso gli oggetti visibili facendo a meno della luce e dell'aria che ci separa da quelli; come è impossibile, infine, per gli animali acquatici scivolare fuori della natura liquida; allo stesso modo è impossibile per chi vive nella realtà corporea essere con le realtà oggetto di conoscenza intellettuale prescindendo completamente dalle cose corporee. Sempre, infatti, si insinuerà nel mezzo di tipicamente nostro, anche se l'intelletto si separa il più possibile dalle cose che vede e si ritrae in se stesso per accingersi poi a dedicarsi alle realtà a lui affini e invisibili. Comprenderai tutto ciò nel modo seguente.

13. Non è forse vero che i titoli che si riferiscono alla sostanza prima sono quelli di <<soffio>>, <<fuoco>>, <<luce>>,<<amore>>,<<sapienza>>,<<giustizia>>,<<intelletto>>, <<logos>> e altri analoghi? Ebbene? Puoi forse immaginare il soffio senza immaginare anche il movimento e la diffusione? O il fuoco senza la materia e il movimento verso l'alto e un particolare colore e una particolare forma? O una luce che non sia mescolata all'aria ma sia separata da lei, che, per così dire, la produce e l'illumina? E che tipo di intelletto? Un intelletto che si trova in un altro essere, che è quello a cui appartengono i pensieri e i movimenti, fermi che siamo, o manifestati all'esterno? E quale logos che non sia quello che sta immobile dentro di noi o si diffonde? ( Non vorrei dire che si dissolve all'esterno). E se pensi ad una sapienza, a quale sapienza che non sia un atteggiamento naturale, che si coglie negli oggetti della contemplazione, siano essi umani o divini? La giustizia e l'amore non sono forse delle lodevoli disposizioni d'animo, l'una contraria all'ingiustizia, l'altra all'odio, che si tendono e si rilassano, sopraggiungono e si spengono e, nel complesso, ci dispongono in un determinato modo e ci mutano, come i colori mutano i corpi? Oppure noi dobbiamo separarci da tutte queste determinazioni e cercare di vedere l'essere divino in sé e per sé senza di esse, per quanto è possibile, mettendo insieme una immagine parziale dalle nostre congetture? Com'è possibile, dunque, che Dio provenga da tali determinazioni e pure non si identifichi con esse? Oppure, come può essere tutte quelle determinazioni, e ciascuna in modo totale, quell'essere che è uno  per sua natura e non composto e incomparabile? A tal punto la nostra intelligenza fa fatica a separarsi dalle cose corporee e a unirsi alle cose incorporee così come esse sono, fin tanto che esamina, debole com'è, le sostanze che sono superiori alle sue forze! Poiché ogni natura razionale desidera, sì, Dio e la prima causa, ma non riesce ad afferrarla per i motivi che ho detto, e, spossata dal suo desiderio e in preda alle convulsioni, se così si può dire, mal tollerando questo insuccesso, è costretta a percorrere una rotta secondaria, cioè a considerare le cose visibili e a fare di esse un dio ( e questa una decisione sbagliata:quale cosa visibile, infatti, è più elevata e più simile a Dio di colui che vede la cosa stessa? Sarebbe più giusto che l'uno fosse adorato e l'altra lo adorasse). Oppure è costretta a conoscere Dio attraverso la bellezza e l'ordine delle cose che si vedono e a servirsi della propria vista come di una guida che conduca alle realtà che sono superiori alla vista, in modo da non essere privata di Dio a causa della grandiosità di tutto quello che vede.

14.  Per questo motivo alcuni hanno adorato il sole, altri la luna, altri in gran numero delle stelle, altri il cielo stesso insieme con quelle, e hanno attribuito loro anche la prerogativa di reggere l'universo, secondo la qualità o la quantità del loro movimento. Altri hanno adorato gli elementi: la terra l'acqua, l'aria, il fuoco, a causa della loro utilità, perché senza di essi la vita umana non è nemmeno in grado di esistere. Altri, invece, venerarono ciascuno l'oggetto visibile che capitava, facendosi degli dei con gli oggetti più belli che vedevano. Vi furono anche alcuni che adorarono immagini e statue: dapprima quelle dei consanguinei ( costoro erano sicuramente quelli più esposti all'impeto delle passioni e i più sensibili ai desideri del corpo e veneravano con questa forma di ricordo i loro morti); poi anche delle statue di estranei, e questo lo fecero coloro che vissero dopo, a grande distanza di tempo: erano indotti a far ciò dall'ignoranza della prima natura e perché seguivano passivamente gli onori tributati ad altri, come se fossero legittimi e necessari, poiché con il passar del tempo l'abitudine invalsa divenne legge. Io credo che alcuni venerarono il potere di altri uomini e ne esaltarono la forza fisica o ne ammirarono la bellezza: pertanto, con il passar del tempo, fecero un dio di colui che essi magnificavano e vi aggiunsero anche qualche favola che favorisse il proprio inganno.

15. Quelli, invece, che erano più sensibili alle passioni considerarono le loro stesse passioni come divinità o le onorarono considerandoli dei: l'ira, l'omicidio, la sfrontatezza, l'ebbrezza, e non so quanti vizi analoghi: in tal modo escogitarono una non bella e non giusta difesa delle proprie colpe. E alcuni di questi dei li calarono in basso, sulla terra, altri li nascosero sotto terra ( questa fu l'unica cosa intelligente!), altri li fecero salire nel cielo. Che ridicola assegnazione di competenze! Poi attribuirono a ciascuna delle nature da essi create un nome di divinità o di demoni, a seconda di quanto era libero e indipendente il loro errore; elevarono loro delle statue, la cui magnificenza costituiva un'attrattiva, e credettero di venerarli se offrivano loro il sangue e il grasso delle vittime, talvolta anche mediante delle pratiche fin troppo turpi, come atti di pazzia ed assassinii. era logico che, di siffatte divinità, tali fossero anche gli atti di culto! Ecco, dunque, che fecero offesa a se stessi <<con mostri, con quadrupedi e con rettili>>, e per giunta con i più ributtanti e i più ridicoli, e trasferirono a attribuirono a questi animali la gloria di essere dei, sì che non è facile stabilire se si debbano disprezzare di più coloro che adorano o coloro che sono adorati; forse, però, molto di più quelli che li adorarono, perché, pur essendo di natura razionale e pur avendo ricevuto la grazia di Dio, preferirono il peggio credendo che fosse il meglio. E questo non fu altro che un'astuzia del Maligno, il quale si serviva del bene, depravandolo, per fare il male: in tal modo dobbiamo giudicare la maggior parte delle sue nefandezze. Il Maligno, infatti, approfittando del loro ardore, traviato alla ricerca di Dio, trasse a proprio vantaggio la violenza di questa forza e ne catturò il desiderio; prese per mano, come se fosse un cieco, l'uomo, che aveva bisogno di trovare una strada, e lo fece cadere nel precipizio, chi da una parte chi dall'altra, e tutti li separò in un unico baratro di morte e di rovina.

16.  Ecco quello che successe agli antichi; quanto a noi, invece, la ragione ci accolse mentre sentivamo il bisogno di Dio e non sopportavamo la mancanza di una guida e di un timoniere; quindi, la ragione, applicandosi alle cose visibili e venendo a considerare quelle che esistono fin dagli inizi, non si è fermata ad esse, ché non era logico concedere la posizione di privilegio a delle cose che meritano il nostro stesso onore, in quanto sensibili, e per questi motivi ci condusse verso quell'essere che è al di sopra di tali realtà e concede loro di esistere. Chi, infatti, dispose le cose che sono in cielo e quelle che sono in terra,quelle che sono diffuse nell'aria e quelle che sono sott'acqua,e soprattutto quelle che sono più importanti di loro, cioè il cielo, la terra, l'aria e la natura dell'acqua? Chi mescolò e distinse tutti questi elementi? In che consiste questo loro rapporto reciproco, la loro coesione e la loro concordia? Io approvo, infatti, colui che ha fatto questa affermazione, anche se è pagano: << chi è stato quell'essere che ha dato movimento a queste cose e che le conduce nel loro impeto incessante e irresistibile?>>. Non è stato forse colui che le ha create e che ha inserito in ciascuna la loro ragione di vita, in virtù della quale si muove e viene diretta? Ma chi è il loro creatore? Non è forse colui che ha fatto tutte queste cose e le ha portate all'esistenza?   Ché di sicuro non si deve assegnare al caso una tale capacità! Ammettiamo, comunque, che la nascita del tutto dipenda dal caso: a chi spetta, però, il disporle in ordine? Attribuiamo al caso anche questo, se ti sembra giusto. A chi spetta il conservare e il proteggere le cose secondo questa razionalità in base alla quale esse furono create? Spetta ad un altro essere, oppure si addice al caso? A un altro essere, evidentemente, e non al caso. E questo cosa dovrebbe essere, se non Dio? Così dunque la ragione, che proviene da Dio ed è innata in tutti e costituisce la legge originaria in noi ed è interna a tutte le cose, ci ha ricondotti a Dio dagli oggetti che vediamo. E allora parliamo partendo da un nuovo punto del nostro ragionamento.

17. Dio - qualunque essere Dio sia per sua natura e per sua sostanza - nessuno lo ha mai scoperto né lo scoprirà giammai, e se mai dovrà capitare che sia scoperto un giorno, questa è una questione che lascio investigare e discutere a coloro che ne hanno voglia. L'uomo lo potrà scoprire, a mio, parere, allorquando questa nostra sostanza d'aspetto e di natura divina ( intendo dire il nostro intelletto e la nostra ragione) si sarà unita all'essere che ad essa è imparentato e allorquando l'immagine sarà risalita al suo archetipo, del quale ora ha brama. E questo mi sembra il punto su cui si sta indagando con tanto impegno, cioè che noi conosceremo un giorno tanto quanto siamo stati conosciuti. Per ora, invece, è soltanto un esiguo rivolo, quello che giunge fino a noi; è una specie di piccolo lampo che proviene da una grande luce. Cosicché, anche se uno ha conosciuto Dio, o è stato detto che lo ha conosciuto, lo ha conosciuto tanto da apparire più luminoso di un altro che non ha ricevuto, invece, la sua illuminazione. E colui è stato più grande di un altro è stato creduto perfetto, perché è stato commisurato non alla realtà, ma solo alla capacità del suo simile.

18. Per questo motivo Enos << sperò di invocare il Signore>>: il risultato a cui pervenne fu solo una speranza, e una speranza di non conoscere, ma di invocare. Enoch, poi, fu trasportato in cielo, e non è chiaro se perché comprese la natura di Dio o perché fu destinato a comprenderla. Il merito di Noé fu quello di piacere a Dio; a lui fu affidato il compito di salvare il mondo intero dalle acque, o di salvare i semi del mondo, allorquando scampò al diluvio per mezzo di un piccolo legno. Abramo fu giustificato dalla fede, il grande patriarca, e offerse un sacrificio non conosciuto fino ad allora, figura del grande sacrificio; e pur tuttavia egli non vide Dio in quanto Dio, ma offrì del cibo a Dio che era sottoforma di uomo, e fu lodato ,per aver venerato Dio nella misura in cui lo comprese. Giacobbe vide in sogno una scala elevata e degli angeli che vi salivano e unse di olio una pietra secondo un mistico significato ( forse il significato era quello di mostrare la pietra che fu unta per la nostra salvezza); dette il nome di <<visione di Dio>> a un certo luogo per onorare colui che era stato visto e lottò con Dio come con un uomo ( comunque si debba intendere la lotta di Dio con un uomo; o forse si tratta di un confronto fra l'uomo virtuoso e Dio?); egli portò sul suo corpo i segni della lotta, mostrando che la natura generata era stata sconfitta, e ottenne di cambiare il suo nome come premio della sua devozione: ebbe il nome grande e venerabile di Israele, da Giacobbe che era. Ma ne Giacobbe né alcuno delle dodici tribù delle quali egli fu padre, nessuno che sia vissuto dopo di lui fino ai giorni nostri si vantò mai per aver compreso la natura di Dio o per averlo visto tutto.

19. Elia ricevette un'immagine della presenza di Dio non da un violento soffio di vento né dal fuoco né da un terremoto, come tu apprendi dalla storia, ma da una lieve brezza, e comunque non poté raffigurarsi la vera natura di Dio. E chi fu questo Elia? Uno che un carro di fuoco fece salire al cielo, mostrando il grado sovrumano della sua giustizia. E perché non ammiri tu in primo luogo Manuè, il giudice, e poi Pietro, il discepolo? Il primo non poté sopportare nemmeno la vista di Dio, che gli era apparso, e per questo motivo gridò: <<Siamo morti, o donna: abbiamo visto Dio!>>, poiché, di Dio, nemmeno la visione è comprensibile agli uomini: tanto meno, quindi, la natura! L'altro non voleva che Cristo, che aveva veduto, si accostasse alla sua barca e perciò lo voleva allontanare. Eppure Pietro fu più ardente degli altri discepoli a riconoscere Cristo, e per questo motivo fu detto <<beato>> e gli furono affidati i compiti più importanti. E che cosa potresti dire di Isaia? Di Ezechiele, che contemplò le realtà più grandi, e degli altri profeti? Il primo di essi vide il Signore Sabaoth seduto sul trono della gloria, circondato dai serafini a sei ali e glorificato e nascosto da esse; vide che era purificato per mezzo di un carbone ardente e che così veniva preparato al suo compito di profetare; l'altro descrisse il carro di Dio, costituito dai cherubini, e il trono posto sopra di essi e il firmamento al di sopra del trono e colui che appariva nel firmamento, e certe voci e certi movimenti e certe azioni. Che tutto questo fosse un'apparizione alla luce del giorno, visibile solamente ai santi, o una veritiera visione notturna, o un'impressione dell'intelletto, che viene a partecipare agli eventi futuri come se fossero già presenti o qualche altro genere ineffabile di profezia, tutto questo non son in grado di dirlo: ma lo sa il Dio dei profeti e lo sanno coloro che hanno esperimentato tali operazioni divine. Ma sicuramente né costoro dei quali stiamo parlando né alcun altro di quelli che sono come loro <<fu nella sussistenza>> e nella sostanza <<del Signore>>, come dice la Scrittura, né vide mai né manifestò la natura di Dio.

20. E se Paolo avesse potuto rivelare quelle realtà che si trovano nel terzo cielo e che gli furono manifestate dalla sua avanzata ( o salta o assunzione che dir si voglia) verso si esso, forse noi potremmo sapere qualcosa di più a proposito di Dio, se in questo consisteva il mistero del suo rapimento. Ma poiché quelle realtà furono inenarrabili, siano anche da noi onorate con il silenzio. Ascoltiamo Paolo, che dice solamente: << In parte conosciamo e in parte profetiamo>>. Questa, e altre simili ammissioni, ci insegna colui che certo non fu inesperto nella conoscenza di Dio, colui che minacciò di dare una prova di Cristo che in lui parlava, il grande difensore, il grande maestro della verità. Per questo motivo egli ritiene che tutta la conoscenza che abbiamo qui in terra non sia niente di più che una conoscenza in uno specchio e in enigma, in quanto si ferma a delle piccole immagini della verità. E, se non sembra a qualcuno che io sia troppo curioso e insistente nell'indagare questi problemi, forse non erano altro che queste realtà quelle a cui il Logos fece riferimento quando disse che noi ora non saremmo stati in grado di portarle, ma che un giorno avremmo portato e ci sarebbero state rivelate chiaramente; sono quelle realtà che Giovanni, il precursore del Logos, la grande voce della verità, spiegò che <<il mondo di quaggiù non era in grado di comprendere>>.

 

 

 

 

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