Gregorio Nazianzeno
I cinque discorsi teologici
Difficile Parlare di Dio
Orazione 27
(1)
3. Non crediate,
voialtri, che il parlare di Dio in modo filosofico sia una cosa per chiunque.
Niente affatto: tale argomento costa caro e non lo posseggono quelli che vivono
terra-terra. Aggiungerò anche che non si può palar sempre di Dio né a tutti, né
può parlarne chiunque: lo si può far certe volte, e a certe persone, e in una
certa misura. Non lo possono fate tutti, perché è un compito che spetta a
quelli che si sono esercitati e hanno trascorso tutta la loro vita nella
contemplazione e, soprattutto, hanno purificato l'anima e il corpo o, almeno li
stanno purificando. Forse, infatti, può essere addirittura pericoloso, per chi
non è puro, toccare l'essere puro, così come è pericoloso accostarsi al raggio
del sole per uno che non ci vede bene. E quando lo si potrà fare? quando non
subiremo più il turbamento procuratoci dal fango e dal disordine delle cose
esteriori, quando la nostra parte dominante non si turba nelle impressioni
malvagie e false che le giungono dall'esterno, le quali, come lettere mal fatte,
confondono delle lettere ben scritte, oppure, come fossero fango, guastano il
profumo degli unguenti. Bisogna, veramente, dedicarsi allo studio
disinteressato e solamente allora si può conoscere Dio e << giudicare
allorquando abbiamo trovato il momento adatto >> quanto sia retta la
dottrina cristiana su Dio. E con chi si può farlo? Con quelli che prendono la
cosa sul serio e non come una qualunque altra occupazione, nella quale si possa
trovar gusto a ciarlare stupidamente; non solo, dopo le corse dei cavalli, i
teatri, le canzoni, i piaceri del ventre e quello che sta al di sotto del
ventre. Costoro trovano un momento di
divertimento anche nella litigiosità e nella bravura delle loro obiezioni. E su
quali argomenti bisogna discutere, e fino a che punto? Su quelli che ci sono
accessibili, e fino al punto in cui possono arrivare le doti naturali e le
capacità dei nostri ascoltatori. Come danneggiano l'udito o il corpo delle voci
troppo forti o dei cibi eccessivi o anche come i carichi superiori alle forze
di ciascuno fanno del male a chi li sostiene o
danneggiano la terra le piogge troppo violente, così anche i nostri
ascoltatori, se sono schiacciati dai discorsi troppo duri ( se si può usare
questo termine ) e se sono gravati a terra, potrebbero risentire un danno alla
loro forza.
4. E io non intendo dire che non si debba mai pensare a Dio:
non si gonfino per attaccarci coloro che sono sempre pronti e presti a farlo!
Il ricordo di Dio deve essere più frequente del nostro stesso respiro; anzi, se
è lecito dirlo, non dobbiamo far altro che questo. Anch'io sono uno di quelli
che approvano il detto che ci esorta a
<< esercitarsi notte e giorno >> e a << raccontare la
sera, la mattina e il mezzogiorno >> e a << celebrare le lodi del
Signore in ogni momento >>; e se dobbiamo citare anche le parole di Mosè,
dobbiamo farlo << dormendo, levandosi dal letto, per strada >> o
facendo qualunque altra cosa, e conformarsi con questo pensiero alla purezza.
Perciò io non consiglio di ricordare frequentemente Dio, sconsiglio invece il
far discorsi su Dio; e non in sé e per sé, come se fosse empio, ma ne biasimo
la inopportunità; non critico l'insegnamento, ma l'eccesso. Il riempirsi di
miele fino alla sazietà provoca il vomito, anche se si tratta di miele, e c'è
un tempo per ogni cosa, come è parso vero a Salomone e anche a me par vero, e
ciò che è bello non è bello se non lo si fa nel modo giusto, così come un
fiore, d'inverno, è del tutto fuor di stagione, e inopportuno è, per una donna,
un ornamento virile o per un uomo un ornamento femminile; inopportuna è la
geometria quando si è afflitti e inopportune le lacrime in mezzo al vino:
dovremo dunque non tenere in nessun conto il momento adatto proprio quando
l'opportunità ha maggior valore?
5. No, non comportiamoci così, fratelli miei: io vi chiamo
ancora fratelli, infatti, anche se son nutrite per me sentimenti fraterni; non rimuginiamo
siffatti pensieri e non comportiamoci come i cavalli focosi e intrattabili, i
quali hanno gettato a terra il loro cavaliere, la ragione; non rifiutiamo la
paura di Dio che con nostro vantaggio ci stringe; non corriamo lontano dalla
meta! Ragioniamo rimanendo all'interno dei nostri limiti e non ci lasciamo
trascinare dal nostro errore che ci porta in Egitto; non lasciamoci portare in
Assiria, non cantiamo << il cantico del Signore in una terra straniera
>>, intendo dire alle orecchie di chiunque, straniero o dei nostri, non
importa, nemico o amico, prudente o stolto; di uno che sta fin troppo attento a
spiare come vanno le cose e che vorrebbe che la scintilla dei mali che cova in
noi diventasse fiamma; di uno che l'accende e l'attizza e senza farsi scorgere
soffiando la fa salire fino al cielo e ancora più in su della fiamma di
Babilonia, che arde tutto all'intorno. Siccome la loro forza non è riposta nel
loro pensiero, i nostri nemici cercano un vantaggio nella nostra debolezza e,
come mosche che si posano sulle ferite, vanno attorno a quelle che non so se
dobbiamo chiamare disgrazie nostre o nostri errori. Ma noi almeno non dobbiamo
continuare a ignorare noi stessi e non dobbiamo disprezzare il decoro che
conviene a questi argomenti; e se non è possibile porre un termine alla nostra
inimicizia, mettiamoci d'accordo almeno su questo punto, cioè di parlare
misticamente di quanto riguarda il mistero cristiano e santamente delle cose
sante; di non gettare ad orecchie profane le dottrine segrete e di non far
apparire più seri di noi quelli che sono adoratori dei demoni e sono servi di
turpi racconti e di turpi pratiche; costoro sacrificherebbero il loro sangue
piuttosto che far conoscere ai non iniziati qualche loro discorso segreto. Ma
noi dobbiamo convincerci che, come esiste per i vestiti e per il modo di vivere
e per il ridere e per il camminare un certo decoro, così esiste il decoro anche
per il parlare e per il tacere, perché noi - oltre che degli altri titoli e
delle altre potenze di Dio - siamo adoratori della sua Parola: dunque anche il nostro
contendere rimanga all'interno della legge!
6. Perché il pagano
ci sente parlare di generazione e di creazione di Dio, di Dio che proviene da
ciò che non esiste, di un troncamento e di una separazione e di un
dissolvimento? Egli esamina queste parole con malevolenza! Perché ci facciamo
giudicare da coloro che ci accusano? Perché mettiamo le spade in mano ai nostri
nemici? In che modo o con quale mente credi tu che ascolterà i nostri discorsi
su questi problemi colui che approva gli adulteri e gli infanticidi, che è
adoratore delle passioni degli dei, che non è capace di avere pensieri più
elevati del suo corpo, che ancora ieri e l'altro ieri si costruiva degli dei, e
per giunta degli dei famosi per le azioni più vergognose? Non li intenderà in
modo materiale, questi discorsi? In modo turpe? Da ignorante? Nel modo che gli
è proprio? Non farà del tuo ragionare di Dio un argomento a favore dei suoi dei
e delle sue passioni? Se noi stessi ci danneggiamo con queste parole, tanto
meno riusciremo a convincere i pagani a discutere filosoficamente delle nostre
dottrine; e se, tra di loro, essi sono capaci di inventare fatti riprovevoli,
come potrebbero non farlo con quelli che noi stessi facciamo loro conoscere?
Ecco a che cosa serve la nostra guerra intestina; ecco a che vantaggio arrivano
coloro che fanno la guerra in difesa del Logos più di quanto non sia gradito al
Logos e subiscono la medesima sorte che capita ai pazzi, i quali danno fuoco
alle loro case o dilaniano i loro figli o maltrattano i loro genitori
credendogli degli estranei.
Il vero Teologo
7. Ora, dunque,
siccome ci siamo liberati di quello che è estraneo alla nostra parola e abbiamo
ricacciato << la grande legione >> entro la mandria dei porsi che
andranno a gettarsi in fondo al mare, ci rimane da fare una seconda cosa:
guardiamoci dentro di noi e plasmiamo come se fosse una statua perfettamente
compiuta, il vero teologo. Consideriamo anzitutto questo aspetto della
questione: che significa questa litigiosità nel discorrere, questa mania nel
parlare? Che malattia è questa nuova, questa insaziabilità? Perché se ci siamo
legati le mani, abbiamo armato la nostra lingua? Non apprezziamo più
l'ospitalità? Non diamo importanza all'amore fraterno, all'amore coniugale,
alla verginità, al sostentamento dei poveri? Non ha più valore per noi il canto
dei salmi, la veglia durante la notte intera, il pianto? Non travagliamo più il
nostro corpo con i digiuni? Non usciamo da noi per andare incontro a Dio con la
preghiera? Non sottomettiamo la parte peggiore di noi a quella migliore,
intendo dire << la terra >> allo spirito, come fanno quelli che
pronunciano un giusto giudizio sulla mescolanza che costituisce il nostro
corpo? Non facciamo della nostra vita una meditazione della morte? Non ci
rendiamo signori delle nostre passioni, memori della nobiltà che ci proviene dal
cielo? Non domiamo la nostra ira, che è come una bestia feroce che si
gonfia e infuria? Non facciamo
altrettanto con l'orgoglio che ci conduce alla rovina, con il dolore
irrazionale, con il piacere grossolano, con il riso sguaiato, con la curiosità
senza freni, con l'ascolto insaziabile, con il parlare senza limiti, con il
pensare cose assurde, con tutti quegli atti che il Malvagio prende da noi e
esercita contro di noi, introducendo la morte attraverso le nostre finestre,
come dice la Scrittura, vale a dire attraverso i nostri sensi? . No, facciamo
tutto il contrario: abbiamo concesso la libertà alle passioni degli altri, come
fanno i re che donano il congedo dopo la vittoria; basta che si volgano verso
di noi e si muovano contro dio, con un'audacia che supera la devozione. E noi
preghiamo una cattiva ricompensa a un'azione che non è buona, vale a dire
doniamo all'eresia la libertà di parlare.
8. Eppure, tu che ti diverti con la dialettica e le chiacchiere,
io vorrei porti alcune brevi domande, << e tu rispondi >> - come
disse a Giacobbe colui che dava i suoi oracoli attraverso la tempesta delle
nuvole. secondo quello che tu senti dire dalla Scrittura, presso Dio vi sono
molte dimore o una sola? Molte, e non una sola, tu mi concederai senza dubbio.
E bisogna che tutte siano occupate, oppure soltanto alcune e altre no, in modo
che queste dimore rimangano vuote e siano state preparate inutilmente? Senza
dubbio, dovranno essere occupate tutte, perché Dio non fa niente senza un
scopo. Ebbene, saresti in grado di dirmi cosa sarà questa dimora? Non
significherà essa il riposo nei cieli e la gloria riservata ai beati, o invece
sarà qualcosa di diverso? No, sarà esattamente questo. Poiché, dunque, siamo
d'accordo su questo punto, esaminiamone un altro ancora. C'è qualche cosa che
ci assicura l'accoglienza in queste dimore ( e questo è anche il mio pensiero )
oppure non c'è assolutamente niente? Senza dubbio c'è qualche cosa. E quale? E'
il fatto che esistono differenti modi di vivere e scelte svariate: una porta in
un posto, un'altra in un altro, in relazione alla nostra fede; e queste sono
quelle che noi chiamiamo le << vie >>. Ebbene, dobbiamo percorrere
tutte le vie o solamente alcune? Se la stessa persona può percorrerle tutte,
bene; se no, quante più può; se no, alcune solamente; e se nemmeno questo è
possibile, accontentiamoci di percorrerne bene una: questo è il mio pensiero.
Tu ragioni giustamente a questo proposito. E allora? Quando tu senti dire che
esiste una sola strada, e che questa è stretta, che cosa ti sembra che voglia
significare la parola della Scrittura? Che c'è una sola strada, quella che
passa attraverso la virtù: essa è unica, infatti, anche se si biforca in varie
direzioni; e in ogni caso è stretta, perché fa sudare e non la percorrono
molti, se confrontati col gran numero di quelli che vanno in senso contrario e
percorrono le strade del male. Sono anch'io dello stesso parere. Ebbene, mio
caro, se le cose stanno in questo modo, perché condannate il nostro discorso
con la taccia di povertà ( se così la si può chiamare ) e non vi curate di
tutte le altre strade, ma vi volgete solamente a questa e vi urtate per
percorrerla ( intendo dire la strada della discussione e della contemplazione,
come voi chiamate, mentre, secondo me, non è altro che la strada della
chiacchiera e della ciarlataneria )? Accettate i rimproveri di Paolo, il quale,
dopo aver enumerato i carismi, condanna
proprio questo atteggiamento, allorquando dice: << Forse sono
tutti apostoli? Sono tutti profeti? >>, e quel che segue.
9. Sia pure: tu sei una persona eccellente e al di sopra di
quanto vi è di eccellente e ti elevi anche al di sopra delle nuvole ( se vuoi, te lo concedo ): tu contempli
quello che non si può contemplare, ascolti << le parole ineffabili
>>, ti elevi in alto come Elia e , come Mosè, sei stato ritenuto degno
della teofania e, come Paolo, sei stato levato al cielo: perché, sull'istante,
tu che vuoi che siano dei santi tutti gli altri cristiani e li eleggi teologi
e, per così dire, inspiri in essi la scienza e costituisci svariate assemblee
di eloquenti che sono ignoranti? Perché avvolgi i più deboli entro tele di
ragno, come se fosse qualcosa di saggio e di grande? Perché aizzi nidi di vespe
contro la fede? Perché improvvisi contro di noi una ribellione di dialettici,
come i giganti di cui ,parla la mitologia? Perché hai raccolto tutti gli uomini
vacui e spregevoli, come un mucchio di spazzatura in una buca e, dopo averli
ancor più infiacchiti con le tue adulazioni, hai creato un'inaudita officina di
eresia, astutamente raccogliendo il frutto della loro stoltezza? Puoi ribattere
anche a queste mie parole? E secondo te il resto non conta niente? Inoltre tu
devi tenere a freno la tua lingua, assolutamente - e non riesci a trattenere i
dolori del tuo parto di parole? Tu conosci anche molti altri importanti
argomenti di discussione: è verso quel campo che tu devi volgere la tua
malattia: ne trarrai profitto.
10. Attacca piuttosto, per favore, il silenzio di Pitagora e
le fave di Orfeo e quell'inaudita arroganza che riguarda il motto: <<
l'ha detto lui >>! Attacca le idee di Platone e i vari modi di
metempsicosi e i ritorni periodici delle nostre anime e la reminescenza e gli
amori - non certo belli ! - che si manifestano attraverso bei corpi e
affliggono la nostra anima. Attacca l'irreligiosità di Epicuro e i suoi atomi e
il suo ,piacere, indegno di un filosofo; la meschina provvidenza di Aristotele
e la sua arte dialettica e i suoi ragionamenti sulla morte dell'anima e la
umana limitatezza delle sue dottrine; attacca la superbia di della Stoa, la
ghiottoneria e la cialtroneria dei cinici. Attacca il vuoto e il pieno e tutte
quelle chiacchiere che riguardano gli dei, i sacrifici, gli idoli, i demoni
benefattori o malefici, tutte quelle invenzioni che si escogitano a proposito della
divinazione, della evocazione degli dei, della guida delle anime, delle potenze
astrali. E se tu rifiuti questi argomenti indegni del tuo discorso, perché
sarebbero banali e già ripetuti più volte: se invece insisti sui problemi che
ti riguardano più da vicino e cerchi quanto vi è di nobile in essi, allora io
saprò prepararti ampie strade anche a questo proposito. Esercita, ti prego, il
tuo ragionamento sul mondo o sui mondi, sulla materia, sull'anima, sulle
creature razionali, quelle migliori e quelle peggiori, sulla risurrezione, sul
giudizio, sulla retribuzione, sulle
sofferenze di Cristo. In questi campi di discussione, infatti, il
raggiungere la verità non è cosa inutile, mentre lo sbagliare non comporta pericoli.
E in ogni caso incontreremo Dio: per adesso in modo limitato, ma tra non molto
tempo, forse, in modo più completo, in Gesù Cristo stesso, nostro Signore: a
lui la gloria nei secoli, amen.
Orazione 28 (2)
LA
TEOLOGIA
1. Poiché con il
nostro discorso abbiamo purificato il teologo, e abbiamo mostrato partitamente
come debba essere e con chi debba ragionare e quando e fino a che punto ( vale
a dire, che si deve ragionare con persone che siano pure al massimo grado,
affinché la luce sia afferrata dalla luce, e con le persone più attente,
affinché non sia sterile la parola di Dio, se cadde in un terreno sterile; e
inoltre, quando abbiamo dentro di noi la pace, lontano dalle tempeste
dell'esterno, in modo da non perdere il respiro, come accade a quelli che sono
in preda alla pazzia; e poi, fino a che possiamo comprendere ed essere compresi
); dal momento, dunque, che questa è la situazione e abbiamo << rinnovato
>> per noi << un nuovo maggese >>, in modo da non <<seminare tra le spine>> e
<<abbiamo spianato la faccia della terra>>, plasmati dalla
Scrittura e plasmando gli altri con essa- ebbene, accingiamoci ora ai discorsi
della teologia. Poniamo in cima al nostro discorso il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo, dei quali dobbiamo parlare: che il primo si benevolo, il secondo
ci aiuti, il terzo ci ispiri - o meglio, che provenga a noi, da un solo Dio,
un'unica illuminazione: unitamente, e pure distinta, e congiunta, ma in maniera
divisa. Questo è, appunto, il fatto straordinario!
2. E mentre mi accingo a salire di buona lena su per la
montagna ( o, a dir la verità, mentre bramo salire, e insieme mi dispero,
spinto dalla speranza ma impedito dalla debolezza) e cerco di penetrare
all'interno della nube e di essere con Dio ché Dio ci comanda di fare proprio
questo, se c'è uno che sia Aronne, salga insieme con me e si fermi vicino a me
e se dovrà rimanere fuori della nube, lo accetti di buon grado. E se ce uno
come Nadab o Abiud o un altro degli anziani, salga pure, ma si fermi lontano,
secondo il grado della sua purificazione. E se ce uno della folla, uno di
coloro che non sono degni di salire a questa altezza e di giungere a questa
contemplazione, se costui è assolutamente impuro, nemmeno si accosti alla
montagna, perché non è sicuro, e se è almeno per il momento purificato, rimanga
in basso e ascolti la voce e la tromba, cioè le semplici parole della nostra
religione; guardi la montagna avvolta di fumo e colpita dalle folgori, minaccia
e insieme meraviglia per coloro che non sono in grado di salire. E se uno è
bestia malvagia e feroce e assolutamente incapace di comprendere le parole
della contemplazione e della teologia, non si nasconda nelle selve con
sentimenti di malvagità e di malignità, per balzar fuori all'improvviso e
afferrare qualche dottrina o qualche parola e fare a brani <<i discorsi
sani>> con le sue calunnie: costui rimanga ancor più lontano dalla
montagna e si tenga in disparte, se non vuole essere lapidato e schiacciato e
<<perire miseramente, da quel malvagio che è>>: ché per gli uomini
bestiali le parole veritiere e solide sono come delle pietre. Altrettanto
dicasi se costui è <<un leopardo>>: che muoia << con le sue
chiazze nella pelle>>; o << un leone>> che preda e
<<ruggisce>> e <<cerca di divorare>> tra le nostre
anime o le nostre affermazioni; o <<un maiale che calpesta>> le
belle e splendide <<perle>> della verità; o <<un lupo
dell'Arabia>>, venuto da lontano o ancor più crudele dei lupi presenti,
con i sofismi con cui si serve; o <<una volpe>>, cioè un'anima
ingannatrice e infida, che ora è in un modo ora in un altro e si conforma alle
varie situazioni e alle varie occasioni di guadagno, animale che si nutre di
cadaveri e di corpi imputriditi, o <<delle piccole vigne>> ( ché
<<le grandi vigne>> gli sfuggono); o un altro animale carnivoro, di
quelli che sono stati rifiutati dalla Legge e che non sono puri per mangiarne e
servirsene. Infatti il nostro discorso,col tenersi lontano da quegli animali,
vuole essere inciso su delle tavole dure e di pietra e inoltre sulle due facce della
tavola, intendendo la parte visibile e la parte nascosta della Legge: una parte
serve per la folla, per tutti quelli che rimangono giù in basso, l'altra per i
pochi, per quelli che arrivano alla vetta.
3. Cos'è questo che provo, miei cari, amici che siete
iniziati alla dottrina cristiana e insieme con me amate la verità? Stavo
correndo per raggiungere Dio e stavo salendo sulla montagna; mi ero aperto la
strada attraverso la nube e vi ero penetrato, lontano dalla materia e dalle
cose materiali, e, per quanto mi era possibile, mi ero raccolto in me stesso.
Ma poiché ho gettato dentro uno sguardo, a stento non riuscivo a vedere la
parte posteriore di Dio, nonostante che fossi protetto dalla roccia, cioè dal
Logos che si è incarnato per causa nostra. E dopo essermi sporto a guardare, ho
visto non la prima e purissima sostanza, quella che è conosciuta solo da se
stessa (intendo dire dalla Trinità), e tutto quello che rimane all'interno del
primo velo ed è coperto dai cherubini, bensì la sua parte finale, quella che
giunge fino a noi. Ma questa parte, per quel che ne so, non è altro che la
grandezza di Dio che si trova nelle creature e negli esseri da lui prodotti e
governati, vale a dire, per usare il termine del divino David, <<la
magnificenza>> di Dio. Ecco in che cosa consiste la parte posteriore di
Dio, cioè quello che si conosce di lui dopo che è passato, come le ombre del
sole sulle acque e le immagini che rappresentano il sole agli occhi malati,
poiché non è possibile vedere il sole stesso: esso supera con la purezza della
sua luce ogni nostra sensazione. Così, dunque, tu mediterai sulla natura di
Dio, anche se tu sei Mosè e <<il Dio del Faraone>>, anche se, come
Paolo, tu arrivi <<al terzo cielo>> e ascolti <<parole
ineffabili>>, anche se sei più sublime di Paolo, e ascritto a un ordine o
a una gerarchia di angeli o di arcangeli. Infatti ogni essere celeste o
sopraceleste, ogni essere la cui natura fosse infinitamente superiore alla
nostra e più vicina a Dio, sarebbe distante da lui e dalla perfetta comprensione
della sua natura più di quanto non sarebbe superiore a noi, che pure siamo un
miscuglio composito e meschino e che grava al basso.
4. Dunque, bisogna ricominciare in questo modo: comprendere
Dio è difficile, ma parlare di lui è addirittura impossibile, come disse un
filosofo greco parlando di Dio: affermazione non sciocca, a mio parere, che
serve a mostrare di aver compreso quanto sia difficile parlarne, e che evita
ogni confutazione proprio a causa della inesprimibilità di Dio. Al contrario,
io penso che parlare di Dio è impossibile e comprenderlo è ancor più
impossibile. Ché quello che si è pensato, la parola potrebbe fors'anche
manifestarlo, se non adeguatamente, comunque in modo oscuro, a colui che non
sia completamente malato d'udito e tardo di mente. Ma comprendere con la mente
una sostanza così grande è assolutamente impossibile e irraggiungibile, non
solo per quelli che sono torpidi e rivolti a terra, ma anche per quelli che
sono di spirito elevato e amano Dio, e, allo stesso modo, a tutta la natura
creata, a tutti quelli davanti ai quali si addensa questa caligine e ai quali
questo spesso elemento carnale fa ostacolo alla conoscenza della verità. E non
so se sia possibile alle sostanze intelligenti che vivono più in alto di noi,
le quali, grazie alla loro vicinanza a Dio e al loro essere illuminate da tutta
la luce divina, potrebbero anche essere rischiarate, se non in modo totale,
almeno in modo più perfetto e più netto di quanto non siamo noi: le une di più
le altre di meno, secondo la loro posizione.
LA PACE DÌ DIO
5. Basta, dunque, di tutto ciò: quello che, invece, ci
riguarda, non è solamente <<la pace di Dio>>, che <<è al di
sopra di ogni intelligenza>> e di ogni comprensione, e non solamente
quello che è stato riservato ai giusti nelle promesse, cioè quei beni che
occhio non può vedere né orecchio udire né intelletto contemplare (se non un
poco); e non è nemmeno la conoscenza esatta della creazione (anche di questa,
infatti, tu puoi possedere- convincitene - solamente le ombre, allorquando tu
senti dire:<<Vedrò i cieli, opera delle tue dita, la luna e le
stelle>> e la immobile razionalità che si trova in quelle sostanze; ché
ora tu non vedi, ma un giorno vedrai): va molto più oltre di queste sostanze,
il nostro argomento; esso riguarda la natura che è al di sopra di esse e che ne
è la causa, una natura inafferrabile e incomprensibile - quanto sto dicendo non
si riferisce alla sua esistenza, ma alla sua essenza. Ché <<la nostra
predicazione>> non <<è vana>> né << stolta è la nostra
fede>>, né questa è la dottrina che noi professiamo: non considerate la
nostra sincerità un principio di irreligiosità o di malvagità, e non
inorgoglire per il solo fatto che noi ammettiamo la nostra ignoranza: l'essere
convinti dell'esistenza di una cosa è ben diverso dal sapere che cosa essa sia.
6. Che esista Dio ed esista la causa creatrice e
conservatrice di tutte le cose, ce lo insegnano gli occhi e la legge di natura:
gli occhi ci accostano alle cose che vediamo e che sono perfettamente stabili e
procedono in bel ordine e si muovono e vanno, senza muovere, per dir così, la
loro regolarità; la legge di natura, invece, deduce dall'ordine di quello che
vediamo l'esistenza di una causa di esso. Come, infatti, avrebbe potuto
cominciare o sussistere tutto questo universo, se Dio non avesse dato la
sostanza al tutto e non lo conservasse? Se uno vedesse una cetra perfettamente
disposta, l'ordine ed il gioco delle sue varie parti, o se ne ascoltasse il
suono, non penserebbe forse a chi l'ha costruita e non risalirebbe
immediatamente a lui con il pensiero, anche se potesse conoscerlo con gli
occhi? Allo stesso modo ci è chiaro il principio creatore dell'universo, che
muove e conserva quello che ha creato, anche se non riusciamo a comprenderlo
con il pensiero; e fin troppo stolto sarebbe colui che non volesse procedere
fino a questo punto e non seguisse le indicazioni dategli in questo senso dalla
natura- e ciò nonostante Dio non è nemmeno questo essere che noi ci immaginiamo
e ci raffiguriamo e ci disegniamo per mezzo del nostro ragionamento. E anche se
riuscissimo a immaginare questa sostanza, in un modo o nell'altro, come si
potrebbe poi mostrarla? Chi potrebbe giungere, in questo modo, all'estremo
culmine della sapienza? Chi è mai stato considerato degno di un dono siffatto?
Chi ha mai <<aperto>> in tal modo <<la bocca>> del suo
pensiero e <<ha tratto lo spirito>> per poter comprendere Dio per
mezzo dello spirito, << che scruta e conosce tutte le cose, anche le
profondità di Dio>>? Così non avrebbe più bisogno di procedere oltre,
perché ormai possederebbe il culmine di quello che si può desiderare, l'oggetto
al quale tende tutto il comportamento e tutta la mente dell'uomo elevato.
7. Che cosa, infatti, tu penserai che sia l'essere divino,
se è vero che tu hai fiducia in tutte le risorse del tuo pensiero? O a che cosa
ti farà salire il discorso, quando verrà messo alla prova, tu che sei il più
bravo nella filosofia e nella teologia e ti vanti senza limiti? Pensi che sia
un corpo? E allora come può essere la sostanza infinita, illimitata, priva di
forma, intangibile e invisibile? Oppure che queste proprietà sono corporee? E'
una bella pretesa, la tua! Ché non è questa la natura dei corpi. Oppure Dio è
un corpo, ma non ha niente a che vedere con queste qualità? Che modo grossolano di ragionare! Così Dio
non avrebbe niente più di noi. Come può, infatti, adorato, se è circoscritto? O
come potrà evitare la conseguenza di essere composto di elementi e di tornare a
decomporsi in quegli elementi che lo costituiscono o di dissolversi totalmente?
Ché la composizione è l'inizio del contrasto e il contrasto l'inizio della
separazione; questa, a sua volta, del dissolvimento, e il dissolvimento è
qualcosa di totalmente estraneo a Dio e alla prima sostanza. Dunque, non c'è
separazione, in Dio, perché non ci sia dissolvimento; e non c'è composizione,
perché non ci sia contrasto; pertanto non c'è nemmeno il corpo, perché non ci
sia composizione. Il nostro ragionamento risale dalle ultime conclusioni per
ritornare ai postulati, e a questo punto si ferma.
8. E come potrai conservare anche la proprietà di
distendersi attraverso l'universo e di riempirlo, secondo la parola della
Scrittura << Non riempio forse io il cielo e la terra? dice il Signore>>;
e: <<lo Spirito di Dio ha riempito la terra abitata>>. Questo non
sarebbe possibile se Dio da una parte limitasse e dall'altra fosse limitato.
Infatti, o percorrerà l'universo come un tutto vuoto, e allora non esisterà più
niente e così Dio subirà l'offesa di essere diventato un corpo e di non
possedere quello che lui stesso ha creato; oppure sarà un corpo entro altri
corpi, e questo è impossibile; oppure si intreccerà entro altri corpi e si
estenderà per tutta la loro estensione, come avviene nelle sostanze liquide
quando si mescolano, e un oggetto taglierà, da un altro sarà tagliato ( cosa
che è ancora più assurda e <<degna di una vecchia>> degli atomi di
Epicuro). E così il discorso sulla presunta natura corporea di Dio crollerà
tutto e non avrà...corpo né consistenza alcuna. E se diremo che Dio è
immateriale, se fosse il quinto elemento, come è parso ad alcuni, che si muove
di un movimento circolare, ebbene, sia pure qualcosa di immateriale, sia il
quinto elemento, quello incorporeo, secondo l'arbitrato moto del loro
ragionamento e le loro invenzioni ( ché, quanto a questo, ora non sarò in
disaccordo con loro). Ma in che direzione andrà questo elemento, se lo
consideriamo tra gli elementi che si muovono e si spostano? Per non parlare
della violenza che deve subire il creatore, se si muoverà come le cose da lui
create e se colui che muove si muoverà come le cose che sono mosse ( ammesso
che ce lo concedano). Ma , a sua volta, che cosa darà il movimento a questo
essere in movimento? E quale sarà l'essere che muove tutto l'universo? E
quell'essere, chi lo muove? E ancora
quell'altro, allo stesso modo? Si va col ragionamento all'infinito. Dunque,
come può Dio non essere affatto nel luogo, se si muove? E se i nostri avversari
diranno che Dio è qualcos'altro, e non il quinto elemento, se pensano che sia
di natura angelica, come è possibile che anche gli angeli siano dei corpi? E di
che natura sarebbero questi corpi? E Dio quanto dovrebbe essere superiore
all'angelo, se l'angelo è suo servo! E se dio è superiore a questi esseri, ecco
che si fa strada a viva forza un assurdo sciame di corpi e un abisso di
stoltezza, che non può trovare un limite da nessuna parte.
9. Dunque, Dio non è un corpo. Nessuno degli uomini ispirati
da Dio, infatti, ha mai detto e approvato questa affermazione, né questa
affermazione appartiene alla nostra << dimora>>. Non rimane altro
che supporre che Dio sia incorporeo. Ma, nemmeno se è incorporeo, questa
peculiarità ci fa comprendere o contiene la sua sostanza, così come non la contengono i concetti di
<<ingenerato>> e di <<privo di inizio>> e di
<<immutabile>> e di <<incorruttibile>> e tutti quelli che vengono espressi a
proposito di Dio o in relazione a Dio. Che cosa deve essere, infatti, sia nella
sua natura sia nella sua esistenza, per
non avere inizio e per non uscire da se stesso e non ricevere un limite? Non
rimane altro, dunque, che afferrare l'essere nella sua totalità, e filosofare
ed esaminare partendo da questo punto, se, almeno, abbiamo <<il pensiero
di Dio>> e se siamo più perfetti nella contemplazione. Come non è
sufficiente, infatti, dire che qualcosa è un corpo o che è stato generato, se
vogliamo far comprendere o manifestare che quell'essere di cui stiamo parlando
è fatto in questa o quella maniera, ma si deve dire anche quale sia il sostrato
di tutte queste caratterizzazioni, se vogliamo presentare all'ascoltatore in
modo completo e sufficiente il concetto che abbiamo nella mente ( perché questo
essere corporeo e generato e soggetto a corruzione, di cui parliamo, può essere
anche un uomo o un bue o un cavallo). allo stesso modo, nemmeno a proposito di
Dio colui che si affanna per conoscere la natura di <<colui che è>>
non può limitarsi a dire che cosa Dio non è,
aggiungere anche quello che è, tanto più che è più facile comprendere
una cosa nel suo complesso piuttosto che escludere ad una ad una tutte le varie
determinazioni. In questo modo, dalla negazione di quello che non è e
dall'affermazione di quello che è, si potrà comprendere quello che viene
pensato. Invece, se si dice quello che Dio non è, ma si tace quello che è, ci
si comporta più o meno come colui che, interrogato che cosa sia due volte
cinque, dicesse che non è due e nemmeno tre e nemmeno quattro e nemmeno cinque
e non è venti e non è trenta, e non è nessuno, per concludere, dei numeri
compresi entro il dieci o superiori al dieci, ma non dicesse che due volte
cinque fa dieci e non fermasse su quello che gli viene richiesto l'attenzione
di chi lo interroga. E' molto più facile e rapido, infatti, basarsi su quello
che è per poi enunciare tutto quello che non è, piuttosto che enunciare quello
che è eliminando tutto quello che non è. Questo, direi, è chiaro a tutti.
10. Dal momento, dunque, che secondo noi Dio è un essere
incorporeo, facciamo un'ulteriore indagine. Quest'essere non si trova da
nessuna parte o è in qualche luogo? Se non si trova da nessuna parte, uno di
coloro che si dilettano di porre domande potrebbe anche chiederci come potrebbe
esistere. Se, infatti, quello che non esiste non è da nessuna parte, quello che
non si trova da nessuna parte, nemmeno esiste. Se, invece, si trova in qualche
luogo, allora sicuramente, dal momento che esiste, o è del tutto o è al di
sopra del tutto. Ma se è nel tutto, o è in qualche parte o è dappertutto. E se
è in qualche parte, allora sarà circoscritto da questa parte, che è meno grande
del tutto; se, invece, si trova dappertutto, sarà circoscritto da qualcosa che
è più grande ed è diverso; intendo dire che l'essere che è circoscritto sarà
limitato da quello che lo circoscrive, se è vero che il tutto dovrà essere
abbracciato dal tutto e in nessun luogo sarà privo di limite. Ecco quello che
succede se l'essere divino si trova nel tutto. E allora dove si trovava prima
che esistesse l'universo? Anche questo punto non è di scarso peso per quanto
riguarda le difficoltà del problema. Se, invece, Dio è al di sopra
dell'universo, allora non c'era niente che lo separava dall'universo. Ma dove
si trova quello che è al di sopra dell'universo? E come si può concepire quello
che solleva al di sopra dell'universo e quello e quello che viene sollevato,
dal momento che non c'è un confine che separa questi esseri e li distingue? Non
è forse vero che deve assolutamente esistere qualcosa di intermedio, dal quale
l'universo viene ad essere separato da quello che è al di sopra dell'universo?
Ebbene, questo qualcosa di intermedio che cos'altro è se non il luogo, che noi
volevamo evitare? E ancora non sto dicendo che l'essere divino è per forza
limitato se è comprensibile con l'intelligenza - ché anche la comprensione
intellettuale è una forma di limitazione.
11. Per quale motivo ho passato in rassegna tutte queste
ipotesi, e forse dilungandomi più di quanto non tollerassero le orecchie della
gente, ma conformandomi al tipo dei discorsi ora più in voga? E' un tipo di
discorsi che non apprezza la schiettezza e la semplicità, ma preferisce
introdurre al loro posto la tortuosità e l'oscurità, così come l'albero lo si
riconosce dal frutto: intendo dire che la tenebra che produce siffatti
insegnamenti è testimoniata dalla oscurità dei discorsi che vengono comunemente
fatti. Ho passato in rassegna queste ipotesi, dicevo, non tanto per apparire
capace anch'io di presentare idee paradossali, e di apparire
<<straordinario per la scienza>>, intrecciando <<dei nodi e
sciogliendo gi enigmi>> ( questo è il grande prodigio di cui era capace
Daniele), ma per giungere a dimostrare quel punto verso il quale il mio parlare
si stava volgendo fin dall'inizio. E di che si tratta, dunque? Si tratta
dell'idea che l'essere divino non è comprensibile da intelletto umano, né ce lo
possiamo immaginare in tutta la sua grandezza - e questo non succede perché Dio
sia invidioso, ché l'invidia è ben lontana dalla natura di Dio, che è priva di
ogni passione ed è l'unica buona ed è sovrana, soprattutto verso la creatura
che per essa è più preziosa di tutte: che cosa è più prezioso, per il Logos,
degli esseri razionali? Anche la loro stessa esistenza è dovuta alla suprema
bontà di Dio! Non perché sia invidioso, stavo dicendo, né perché voglia essere
onorato e glorificato, lui che è <<pieno>>, in modo da ottenere,
perché non è raggiungibile da noi, il nostro onore e la nostra adorazione.
Queste considerazioni sono completamente sofistiche, estranee alla natura, non
solo di Dio, ma pure di un uomo onesto anche soltanto un poco e che è conscio
di possedere almeno qualche qualità positiva, cioè quella di procurarsi il
primo posto escludendo gli altri.
Quelli che sono vicini a
Dio
12. E se questo avviene per altri motivi, lo potrebbero
sapere quelli che sono più vicini a Dio e sino capaci di conoscere e valutare
<<i suoi impercorribili giudizi>>, se è vero che esistono certe
persone che con la loro virtù possono <<camminare sulle tracce
dell'abisso>>, come dice la Scrittura. Comunque, per quanto abbiamo
potuto comprendere, misurando con brevi misure le realtà che nessuno può
contemplare, forse Dio non si lascia conoscere perché, se il raggiungimento di
questa conoscenza è troppo facile, non ne sia ancora più facile la perdita: di
solito, infatti, si conserva meglio quello che si è ottenuto a prezzo di
fatica, mentre quello che si è ottenuto facilmente viene anche gettato via
senza scrupoli perché si pensa che lo si possa riacquistare una seconda volta:
in questo modo diventa un beneficio proprio la difficoltà di conseguire il
beneficio, almeno per coloro che sono prudenti. Un altro motivo potrebbe essere
anche che non avessimo a subire la sorte di Lucifero, che cadde dal cielo, cioè
la sorte di <<levare in alto il collo>> in faccia al Signore
onnipotente perché si è in grado di comprenderne tutta la luce; così anche noi
cadremmo in seguito al nostro innalzarci, e sarebbe la caduta più miserevole di
tutte. Forse ancora, perché ci fosse su nel cielo un premio maggiore per lo
zelo e per la vita luminosa che alcuni hanno vissuto qua in terra purificandosi
e bramando di raggiungere l'oggetto del loro desiderio. Per questo motivo si è
posta tra noi e Dio questa <<tenebra>> costituita dal corpo, come
la nube che, un tempo, separava gli Egizi dagli Ebrei. E forse è questo il
significato di << fece della oscurità il suo recesso>>, vale a
dire, questa oscurità è la nostra grossezza, attraverso la quale pochi e per
poco riescono a sporgersi. Su questo problema facciamo pure dei discorsi
filosofici coloro ai quali interessa, e giungano fino al punto più alto di
questa ricerca. Per noi, almeno, che siamo <<legati alla terra>>,
come dice il divino Geremia, e siamo rivestiti di questa grossolana sostanza
carnale, una cosa sola è sicura, che, come è impossibile oltrepassare la
propria ombra, anche se ci affrettiamo, ché l'ombra ci precede sempre tanto
quanto la raggiungiamo, o come è impossibile tendere la nostra vista verso gli
oggetti visibili facendo a meno della luce e dell'aria che ci separa da quelli;
come è impossibile, infine, per gli animali acquatici scivolare fuori della
natura liquida; allo stesso modo è impossibile per chi vive nella realtà
corporea essere con le realtà oggetto di conoscenza intellettuale prescindendo
completamente dalle cose corporee. Sempre, infatti, si insinuerà nel mezzo di
tipicamente nostro, anche se l'intelletto si separa il più possibile dalle cose
che vede e si ritrae in se stesso per accingersi poi a dedicarsi alle realtà a
lui affini e invisibili. Comprenderai tutto ciò nel modo seguente.
13. Non è forse vero che i titoli che si riferiscono alla
sostanza prima sono quelli di <<soffio>>, <<fuoco>>,
<<luce>>,<<amore>>,<<sapienza>>,<<giustizia>>,<<intelletto>>,
<<logos>> e altri analoghi? Ebbene? Puoi forse immaginare il soffio
senza immaginare anche il movimento e la diffusione? O il fuoco senza la
materia e il movimento verso l'alto e un particolare colore e una particolare
forma? O una luce che non sia mescolata all'aria ma sia separata da lei, che,
per così dire, la produce e l'illumina? E che tipo di intelletto? Un intelletto
che si trova in un altro essere, che è quello a cui appartengono i pensieri e i
movimenti, fermi che siamo, o manifestati all'esterno? E quale logos che non
sia quello che sta immobile dentro di noi o si diffonde? ( Non vorrei dire che
si dissolve all'esterno). E se pensi ad una sapienza, a quale sapienza che non
sia un atteggiamento naturale, che si coglie negli oggetti della
contemplazione, siano essi umani o divini? La giustizia e l'amore non sono
forse delle lodevoli disposizioni d'animo, l'una contraria all'ingiustizia,
l'altra all'odio, che si tendono e si rilassano, sopraggiungono e si spengono
e, nel complesso, ci dispongono in un determinato modo e ci mutano, come i colori
mutano i corpi? Oppure noi dobbiamo separarci da tutte queste determinazioni e
cercare di vedere l'essere divino in sé e per sé senza di esse, per quanto è
possibile, mettendo insieme una immagine parziale dalle nostre congetture?
Com'è possibile, dunque, che Dio provenga da tali determinazioni e pure non si
identifichi con esse? Oppure, come può essere tutte quelle determinazioni, e
ciascuna in modo totale, quell'essere che è uno per sua natura e non composto e incomparabile?
A tal punto la nostra intelligenza fa fatica a separarsi dalle cose corporee e
a unirsi alle cose incorporee così come esse sono, fin tanto che esamina,
debole com'è, le sostanze che sono superiori alle sue forze! Poiché ogni natura
razionale desidera, sì, Dio e la prima causa, ma non riesce ad afferrarla per i
motivi che ho detto, e, spossata dal suo desiderio e in preda alle convulsioni,
se così si può dire, mal tollerando questo insuccesso, è costretta a percorrere
una rotta secondaria, cioè a considerare le cose visibili e a fare di esse un
dio ( e questa una decisione sbagliata:quale cosa visibile, infatti, è più
elevata e più simile a Dio di colui che vede la cosa stessa? Sarebbe più giusto
che l'uno fosse adorato e l'altra lo adorasse). Oppure è costretta a conoscere
Dio attraverso la bellezza e l'ordine delle cose che si vedono e a servirsi
della propria vista come di una guida che conduca alle realtà che sono
superiori alla vista, in modo da non essere privata di Dio a causa della
grandiosità di tutto quello che vede.
14. Per questo motivo
alcuni hanno adorato il sole, altri la luna, altri in gran numero delle stelle,
altri il cielo stesso insieme con quelle, e hanno attribuito loro anche la
prerogativa di reggere l'universo, secondo la qualità o la quantità del loro
movimento. Altri hanno adorato gli elementi: la terra l'acqua, l'aria, il
fuoco, a causa della loro utilità, perché senza di essi la vita umana non è
nemmeno in grado di esistere. Altri, invece, venerarono ciascuno l'oggetto
visibile che capitava, facendosi degli dei con gli oggetti più belli che
vedevano. Vi furono anche alcuni che adorarono immagini e statue: dapprima
quelle dei consanguinei ( costoro erano sicuramente quelli più esposti
all'impeto delle passioni e i più sensibili ai desideri del corpo e veneravano
con questa forma di ricordo i loro morti); poi anche delle statue di estranei,
e questo lo fecero coloro che vissero dopo, a grande distanza di tempo: erano
indotti a far ciò dall'ignoranza della prima natura e perché seguivano
passivamente gli onori tributati ad altri, come se fossero legittimi e
necessari, poiché con il passar del tempo l'abitudine invalsa divenne legge. Io
credo che alcuni venerarono il potere di altri uomini e ne esaltarono la forza
fisica o ne ammirarono la bellezza: pertanto, con il passar del tempo, fecero
un dio di colui che essi magnificavano e vi aggiunsero anche qualche favola che
favorisse il proprio inganno.
15. Quelli, invece, che erano più sensibili alle passioni
considerarono le loro stesse passioni come divinità o le onorarono
considerandoli dei: l'ira, l'omicidio, la sfrontatezza, l'ebbrezza, e non so
quanti vizi analoghi: in tal modo escogitarono una non bella e non giusta
difesa delle proprie colpe. E alcuni di questi dei li calarono in basso, sulla
terra, altri li nascosero sotto terra ( questa fu l'unica cosa intelligente!),
altri li fecero salire nel cielo. Che ridicola assegnazione di competenze! Poi
attribuirono a ciascuna delle nature da essi create un nome di divinità o di
demoni, a seconda di quanto era libero e indipendente il loro errore; elevarono
loro delle statue, la cui magnificenza costituiva un'attrattiva, e credettero
di venerarli se offrivano loro il sangue e il grasso delle vittime, talvolta
anche mediante delle pratiche fin troppo turpi, come atti di pazzia ed
assassinii. era logico che, di siffatte divinità, tali fossero anche gli atti
di culto! Ecco, dunque, che fecero offesa a se stessi <<con mostri, con
quadrupedi e con rettili>>, e per giunta con i più ributtanti e i più
ridicoli, e trasferirono a attribuirono a questi animali la gloria di essere
dei, sì che non è facile stabilire se si debbano disprezzare di più coloro che
adorano o coloro che sono adorati; forse, però, molto di più quelli che li
adorarono, perché, pur essendo di natura razionale e pur avendo ricevuto la
grazia di Dio, preferirono il peggio credendo che fosse il meglio. E questo non
fu altro che un'astuzia del Maligno, il quale si serviva del bene,
depravandolo, per fare il male: in tal modo dobbiamo giudicare la maggior parte
delle sue nefandezze. Il Maligno, infatti, approfittando del loro ardore,
traviato alla ricerca di Dio, trasse a proprio vantaggio la violenza di questa
forza e ne catturò il desiderio; prese per mano, come se fosse un cieco,
l'uomo, che aveva bisogno di trovare una strada, e lo fece cadere nel
precipizio, chi da una parte chi dall'altra, e tutti li separò in un unico
baratro di morte e di rovina.
16. Ecco quello che
successe agli antichi; quanto a noi, invece, la ragione ci accolse mentre
sentivamo il bisogno di Dio e non sopportavamo la mancanza di una guida e di un
timoniere; quindi, la ragione, applicandosi alle cose visibili e venendo a
considerare quelle che esistono fin dagli inizi, non si è fermata ad esse, ché
non era logico concedere la posizione di privilegio a delle cose che meritano
il nostro stesso onore, in quanto sensibili, e per questi motivi ci condusse
verso quell'essere che è al di sopra di tali realtà e concede loro di esistere.
Chi, infatti, dispose le cose che sono in cielo e quelle che sono in
terra,quelle che sono diffuse nell'aria e quelle che sono sott'acqua,e
soprattutto quelle che sono più importanti di loro, cioè il cielo, la terra,
l'aria e la natura dell'acqua? Chi mescolò e distinse tutti questi elementi? In
che consiste questo loro rapporto reciproco, la loro coesione e la loro
concordia? Io approvo, infatti, colui che ha fatto questa affermazione, anche
se è pagano: << chi è stato quell'essere che ha dato movimento a queste
cose e che le conduce nel loro impeto incessante e irresistibile?>>. Non
è stato forse colui che le ha create e che ha inserito in ciascuna la loro
ragione di vita, in virtù della quale si muove e viene diretta? Ma chi è il
loro creatore? Non è forse colui che ha fatto tutte queste cose e le ha portate
all'esistenza? Ché di sicuro non si
deve assegnare al caso una tale capacità! Ammettiamo, comunque, che la nascita
del tutto dipenda dal caso: a chi spetta, però, il disporle in ordine?
Attribuiamo al caso anche questo, se ti sembra giusto. A chi spetta il conservare
e il proteggere le cose secondo questa razionalità in base alla quale esse
furono create? Spetta ad un altro essere, oppure si addice al caso? A un altro
essere, evidentemente, e non al caso. E questo cosa dovrebbe essere, se non
Dio? Così dunque la ragione, che proviene da Dio ed è innata in tutti e
costituisce la legge originaria in noi ed è interna a tutte le cose, ci ha
ricondotti a Dio dagli oggetti che vediamo. E allora parliamo partendo da un
nuovo punto del nostro ragionamento.
17. Dio - qualunque essere Dio sia per sua natura e per sua
sostanza - nessuno lo ha mai scoperto né lo scoprirà giammai, e se mai dovrà
capitare che sia scoperto un giorno, questa è una questione che lascio
investigare e discutere a coloro che ne hanno voglia. L'uomo lo potrà scoprire,
a mio, parere, allorquando questa nostra sostanza d'aspetto e di natura divina
( intendo dire il nostro intelletto e la nostra ragione) si sarà unita
all'essere che ad essa è imparentato e allorquando l'immagine sarà risalita al
suo archetipo, del quale ora ha brama. E questo mi sembra il punto su cui si
sta indagando con tanto impegno, cioè che noi conosceremo un giorno tanto
quanto siamo stati conosciuti. Per ora, invece, è soltanto un esiguo rivolo,
quello che giunge fino a noi; è una specie di piccolo lampo che proviene da una
grande luce. Cosicché, anche se uno ha conosciuto Dio, o è stato detto che lo
ha conosciuto, lo ha conosciuto tanto da apparire più luminoso di un altro che
non ha ricevuto, invece, la sua illuminazione. E colui è stato più grande di un
altro è stato creduto perfetto, perché è stato commisurato non alla realtà, ma
solo alla capacità del suo simile.
18. Per questo motivo Enos << sperò di invocare il
Signore>>: il risultato a cui pervenne fu solo una speranza, e una
speranza di non conoscere, ma di invocare. Enoch, poi, fu trasportato in cielo,
e non è chiaro se perché comprese la natura di Dio o perché fu destinato a
comprenderla. Il merito di Noé fu quello di piacere a Dio; a lui fu affidato il
compito di salvare il mondo intero dalle acque, o di salvare i semi del mondo,
allorquando scampò al diluvio per mezzo di un piccolo legno. Abramo fu
giustificato dalla fede, il grande patriarca, e offerse un sacrificio non
conosciuto fino ad allora, figura del grande sacrificio; e pur tuttavia egli
non vide Dio in quanto Dio, ma offrì del cibo a Dio che era sottoforma di uomo,
e fu lodato ,per aver venerato Dio nella misura in cui lo comprese. Giacobbe
vide in sogno una scala elevata e degli angeli che vi salivano e unse di olio
una pietra secondo un mistico significato ( forse il significato era quello di
mostrare la pietra che fu unta per la nostra salvezza); dette il nome di
<<visione di Dio>> a un certo luogo per onorare colui che era stato
visto e lottò con Dio come con un uomo ( comunque si debba intendere la lotta
di Dio con un uomo; o forse si tratta di un confronto fra l'uomo virtuoso e
Dio?); egli portò sul suo corpo i segni della lotta, mostrando che la natura
generata era stata sconfitta, e ottenne di cambiare il suo nome come premio
della sua devozione: ebbe il nome grande e venerabile di Israele, da Giacobbe
che era. Ma ne Giacobbe né alcuno delle dodici tribù delle quali egli fu padre,
nessuno che sia vissuto dopo di lui fino ai giorni nostri si vantò mai per aver
compreso la natura di Dio o per averlo visto tutto.
19. Elia ricevette un'immagine della presenza di Dio non da
un violento soffio di vento né dal fuoco né da un terremoto, come tu apprendi
dalla storia, ma da una lieve brezza, e comunque non poté raffigurarsi la vera
natura di Dio. E chi fu questo Elia? Uno che un carro di fuoco fece salire al
cielo, mostrando il grado sovrumano della sua giustizia. E perché non ammiri tu
in primo luogo Manuè, il giudice, e poi Pietro, il discepolo? Il primo non poté
sopportare nemmeno la vista di Dio, che gli era apparso, e per questo motivo
gridò: <<Siamo morti, o donna: abbiamo visto Dio!>>, poiché, di
Dio, nemmeno la visione è comprensibile agli uomini: tanto meno, quindi, la
natura! L'altro non voleva che Cristo, che aveva veduto, si accostasse alla sua
barca e perciò lo voleva allontanare. Eppure Pietro fu più ardente degli altri
discepoli a riconoscere Cristo, e per questo motivo fu detto
<<beato>> e gli furono affidati i compiti più importanti. E che cosa
potresti dire di Isaia? Di Ezechiele, che contemplò le realtà più grandi, e
degli altri profeti? Il primo di essi vide il Signore Sabaoth seduto sul trono
della gloria, circondato dai serafini a sei ali e glorificato e nascosto da
esse; vide che era purificato per mezzo di un carbone ardente e che così veniva
preparato al suo compito di profetare; l'altro descrisse il carro di Dio,
costituito dai cherubini, e il trono posto sopra di essi e il firmamento al di
sopra del trono e colui che appariva nel firmamento, e certe voci e certi
movimenti e certe azioni. Che tutto questo fosse un'apparizione alla luce del
giorno, visibile solamente ai santi, o una veritiera visione notturna, o
un'impressione dell'intelletto, che viene a partecipare agli eventi futuri come
se fossero già presenti o qualche altro genere ineffabile di profezia, tutto
questo non son in grado di dirlo: ma lo sa il Dio dei profeti e lo sanno coloro
che hanno esperimentato tali operazioni divine. Ma sicuramente né costoro dei
quali stiamo parlando né alcun altro di quelli che sono come loro <<fu
nella sussistenza>> e nella sostanza <<del Signore>>, come
dice la Scrittura, né vide mai né manifestò la natura di Dio.
20. E se Paolo avesse potuto rivelare quelle realtà che si
trovano nel terzo cielo e che gli furono manifestate dalla sua avanzata ( o
salta o assunzione che dir si voglia) verso si esso, forse noi potremmo sapere
qualcosa di più a proposito di Dio, se in questo consisteva il mistero del suo
rapimento. Ma poiché quelle realtà furono inenarrabili, siano anche da noi
onorate con il silenzio. Ascoltiamo Paolo, che dice solamente: << In
parte conosciamo e in parte profetiamo>>. Questa, e altre simili
ammissioni, ci insegna colui che certo non fu inesperto nella conoscenza di
Dio, colui che minacciò di dare una prova di Cristo che in lui parlava, il
grande difensore, il grande maestro della verità. Per questo motivo egli
ritiene che tutta la conoscenza che abbiamo qui in terra non sia niente di più
che una conoscenza in uno specchio e in enigma, in quanto si ferma a delle
piccole immagini della verità. E, se non sembra a qualcuno che io sia troppo
curioso e insistente nell'indagare questi problemi, forse non erano altro che
queste realtà quelle a cui il Logos fece riferimento quando disse che noi ora
non saremmo stati in grado di portarle, ma che un giorno avremmo portato e ci
sarebbero state rivelate chiaramente; sono quelle realtà che Giovanni, il
precursore del Logos, la grande voce della verità, spiegò che <<il mondo
di quaggiù non era in grado di comprendere>>.
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